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Perchè l'evoluzione sta bene alla chiesa?

di Giuseppe Sermonti - 30/06/2006



La teoria dell’evoluzione è la storia del mondo e dei viventi sottratta
al Creatore. Darwin non ha bisogno di Dio. Perché allora la Chiesa
romana, negli ultimi cinquant’anni, non ha preso posizione contro la
teoria dell’evoluzione darwiniana? Giovanni Paolo II è arrivato anzi a
dichiarare, era il 1966, che “…nuove conoscenze conducono a non
considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi.” Se non è
un’ipotesi, è un fatto. Naturalmente, la Chiesa non accetta il
corollario che l’anima sia un sottoprodotto del cervello, ma considera
questa proposta come un’incongrua intromissione di teorie
materialistiche in un contesto scientifico. Qualcuno ha suggerito che la
Chiesa non ha voluto fare su Darwin un secondo caso Galileo. Ma le
ragioni della sua adesione a Darwin, che riposa in pace accanto a Newton
nella Westminster Abbey, sono molto più sottili e profonde.

L’argomento è stato trattato da Joseph Ratzinger nel 1968, nel corso
della sua splendida “Introduzione al Cristianesimo” (Queriniana, 2003,
12 edizioni), in un capitolo intitolato “A che punto siamo con la
credenza in Dio”. Affrontando il mistero dell’essere, Ratzinger rifiuta,
insieme al materialismo, l’idealismo. La materia è, per il vescovo di
Cracovia, un’entità senza coscienza, “un entità che non si
auto-comprende”: la coscienza è degradata dal materialista a secrezione
neuronale. Ma neppure la via idealista convince il teologo bavarese. Gli
esseri, rappresentati come pure entità pensate da Dio, da una coscienza
creatrice, sarebbero entità statiche, perfette e eterne. Sarebbero come
le idee platoniche o la matematica pitagorica, forme già pensate prima
di noi. Il nostro pensiero non sarebbe ideazione libera, ma solo
ripensamento. Il matematico, argomenta, non può scoprire che matematica,
e davanti a un melo in fiore gli sfugge “l’altamente superfluo miracolo
della bellezza.” Il Dio cristiano non è obbligato dalla “geometria” del
cosmo, non è anonimo e neutrale come un professore di matematica con i
suoi teoremi, ma è autentica Persona, dotata di somma Libertà. Egli non
solo crea e conosce le sue creature, ma le ama e su di esse riversa una
dotazione di amore, di senso del bello, di rischio del male, insomma di
libertà. In questa visione ratzingeriana, la persona particolare prevale
sull’universale, e “il minimo diventa massimo” in quanto unico e
irripetibile, libero e genuino. La vigna del Signore prevale sulla
immensità del firmamento.

Che cosa ha da dire il naturalista di questa asserita priorità del
particolare, della preminenza del singolare sull’assoluto? Anche nella
storia naturale è in atto una contrapposizione, tra chi fonda la sua
scienza sulle tipologie e chi invece privilegia il particolare e
considera i tipi pure astrazioni. Il singolo cavallo, è, per il
tipologo, la manifestazione di una realtà astratta, il cavallo “ideale”.
Per chi invece si rivolge solo agli individui e alle loro comunità (il
popolazionista) esso non è niente più che la media di una popolazione di
cavalli. “Ogni grande controversia nel campo dell’Evoluzione, scrisse
Ernst Mayr nel 1970, è stata una controversia tra un tipologista e un
popolazionista.” Per il tipologista, precisa François Jacob (1971),
“solo il tipo ha realtà; gli oggetti si limitano a rifletterla”. Per il
popolazionista il tipo medio è “un’astrazione; solo gli individui, con
le loro particolarità e differenze, con le loro variazioni, hanno realtà
concreta.”

Tipologista e popolazionista di Mayr corrispondono a idealista e
materialista nel linguaggio di Ratzinger. Distaccandosi dalla scienza
tipologica e statica dell’ottocento, Darwin inaugura la visione
popolazionista, e si concentra sui singoli individui che formano la
collettività. Per il naturalista inglese la specie (il tipo) è una
realtà vaga e transitoria, quel che conta è il singolo e sono le sue
variazioni, i suoi errori, che costruiscono le specie future. Il
trascendente ferma l’evoluzione, il contingente la consente. Scrive
François Jacob: “L’introduzione del contingente nel mondo vivente, ad
opera di Darwin e Wallace, rappresenta per la biologia il ‘tutto è
permesso’ di Ivan Karamazov,”. Ratzinger opta anch’egli per la
supremazia della libertà sulla geometria: del particolare
sull’universale: “Non lasciarsi coartare dalla grandezza massima, ma
lasciarsi afferrare dalla minima - scrive – è una prerogativa realmente
divina.” In questo modo egli si avvicina alla visione darwiniana, che si
focalizza sul quotidiano. Anche per il naturalista inglese le vicende
del mondo sono fondate sulle traversie testimoniate nel tempo presente,
nell’attualità. Nella sua “Origine delle Specie” l’ “attualismo” del suo
mentore Ch. Lyell è opposto al “catastrofismo” dei grandi sistematici e
il mistero della Creazione è risolto nel romanzo dell’oggi.” Scrive un
secolo e mezzo dopo Henry Gee (“Tempo Profondo”, Einaudi 2006): “Questa
lettura lineare o progressiva della nostra epopea, così simile alla
trama di un romanzo, riflette tutt’al più i nostri pregiudizi, ma si
adatta davvero male ai dati empirici della paleontologia. Il problema è
che i romanzi sono ambientati in tempi brevi, quotidiani, mentre
l’evoluzione si svolge nel ‘tempo profondo’, in quel particolare
ambiente scandito da milioni di anni nel quale i fossili sono solo
piccole isole remote, collegate tra loro da null’altro che dalle nostre
supposizioni.”

Darwin e Wallace non hanno risolto il mistero dell’esistenza, come
pretende Richard Dawkins. Essi, con Mendel, hanno introdotto la
contabilità nella natura, ma vi hanno escluso la immensità e l’eterno.
Essi hanno preteso di apprendere dal recinto di allevamento o dall’orto
del convento l’inaudito miracolo che ha luogo nella misteriosa
dimensione del tempo profondo. Come si dice in termini tecnici, hanno
spiegato la macroevoluzione con la microevoluzione. Ed oggi accade che,
mentre la Chiesa rivolge la sua benevolenza alla evoluzione storica dei
viventi, la biologia se ne sta allontanando delusa, preferendo dedicare
il suo impegno alla manipolazione artificiale della vita e dello stesso
uomo, non più al /factum/ ma al /faciendum/. Anche questa visione del
mondo (come officina da lavoro) non è del tutto estranea alla tradizione
ebraico-cristiana. Non ci dobbiamo stupire pertanto se il magistero
della Chiesa, pur con le debite riserve, non sia decisamente
all’opposizione neppure nel campo dei progetti di intervento della
genetica e della trapiantologia sull’uomo, alla futuristica evoluzione
sotto vetro.