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Nei racconti popolari sulle streghe un prezioso supporto all’antropologia culturale

di Francesco Lamendola - 04/01/2012


 


 

 

L’antropologia culturale non è fatta solo dagli studiosi di formazione accademica; essa è fatta anche, e soprattutto, dalla gente comune che vive, o più spesso viveva, in contesti premoderni, nei quali erano vive le tradizioni, i miti e le leggende che erano parte essenziale, anzi, che formavano il substrato stesso del tessuto sociale.

Non sempre gli studiosi del costume e del folklore hanno fatto in tempo a salvare dalla dispersione quell’immenso patrimonio, che abbracciava tutti gli aspetti della vita privata e di quella comunitaria: dall’abbigliamento tradizionale all’edilizia rurale spontanea; dalla musica e dalla danza ai proverbi, ai racconti, alle filastrocche; dalla filatura e dall’artigianato in legno, alla cucina tipica, alle celebrazioni del santo patrono, ai riti dei grandi lavori agricoli stagionali: aratura, semina, mietitura, vendemmia.

In compenso, negli ultimi decenni si è manifestato il fenomeno di una sorta di antropologia culturale spontanea: un numero crescente di persone comuni, sprovviste di titoli accademici (il che non è necessariamente un male) e, qualche volta, sprovviste anche di un semplice diploma, né particolarmente portate a maneggiare la penna senza errori, resesi conto dell’importanza del patrimonio tradizionale e del pericolo di una sua perdita totale, si sono messe a intervistare i nonni e gli anziani del paese, a consultare gli archivi parrocchiali, a raccogliere testimonianze e documenti d’ogni genere, per ricostruire il profilo complessivo delle antiche tradizioni e del mondo materiale e spirituale ad esse sotteso.

Sovente questi autodidatti, questi dilettanti, hanno svolto un lavoro egregio, anche se, nella maggior parte dei casi, bisognoso di una scrematura e di una rivisitazione critica; intanto, però, il servigio che hanno reso alla conoscenza del patrimonio culturale popolare è stato talmente grande, da far passare in seconda linea gli inevitabili errori e difetti, le approssimazioni, la difficoltà di discernere il grano dal loglio nella vastissima mole dei dati raccolti.

Non di rado questi stessi ricercatori improvvisati, ma pieni di passione e di buona volontà, hanno dato un contributo significativo anche al riconoscimento di antichi siti d’interesse storico, ormai abbandonati e invasi dalla vegetazione selvatica; al ritrovamento di oggetti di valore archeologico, quali monete, medaglioni, stoviglie, ceramiche, pettini, braccialetti, collane; alla identificazione di castellieri, di villaggi scomparsi, di alvei di antichi fiumi, deviati da frane o altri eventi naturali: insomma, a una conoscenza più vasta e profonda del territorio e delle sue vicende, oltre che dei costumi e delle tradizioni popolari specifiche di esso.

La credenza nella stregoneria è parte non secondaria delle antiche credenze popolari e praticamente tutte le comunità rurali del mondo pre-moderno possedevano un vasto insieme di racconti e di testimonianze d’ogni genere ad esse relativi, ivi comprese quelle contenute nei quadretti esposti nei santuari, specialmente mariani, con la sigla P. G. R., ossia «per grazia ricevuta», con le loro ingenue ma sentite espressioni di pittura popolare, che conservano, nella loro drammatica immediatezza, tutto il sapore ed il fascino di una dimensione “naïf”.

La cosa interessante è che simili tradizioni sono sopravvissute fin oltre gli inizi della modernità, specialmente negli ambienti più appartati in senso geografico, come valli alpine, isole o lande paludose; o in senso culturale, ad esempio presso comunità chiuse, come possono esserlo delle minoranze linguistiche scarsamente ingrate nel tessuto sociale più ampio.

Sappiano che la loro origine è antichissima; sia Virgilio che Orazio hanno scritto, in proposito, dei versi famosi, per non parlare di certe pagine di Apuleio di Madaura; tuttavia, bisogna ricordare che una cosa sono i poeti e gli scrittori colti, e una cosa ben diversa sono le tradizioni popolari.

La cultura “alta”, formata da intellettuali di professione, può anche , talvolta, scherzare con simili cose, ossia divertirsi a ricamarci sopra delle storie a effetto, rivolte a dei lettori che, non credendovi, amano tuttavia il brivido delizioso della paura; la cultura “bassa” o popolare, se pure non disdegna la dimensione fantastica e, almeno, in parte, ludica, nel senso più ampio di quest’ultimo termine (nel senso, cioè, dell’”homo ludens” di Johan Huizinga), non ama scherzarci più di tanto, perché ci crede veramente e ne ha, pertanto, una paura autentica, non salottiera.

In Africa, nei villaggi, nessuno osa scherzare sui poteri degli stregoni; e la stessa cosa si può dire per l’Asia, dalla Siberia all’Indonesia, nonché per l’America Latina: quale haitiano scherzerebbe sui poteri dei sacerdoti “voodoo” o quale indio si permetterebbe di farlo a proposito dei “brujos”del Messico, della Colombia, del Perù?

Ma nemmeno in Europa, nemmeno in Italia, si tratta di argomenti sui quali la gente comune si prenda la libertà di scherzare troppo; fino a qualche decennio fa, anzi, si può dire che la credenza nelle streghe, nelle fattucchiere, nei sortilegi, nei filtri e nel malocchio, era talmente diffusa, almeno in ambiente rurale, che, semmai, a destare stupore e disapprovazione era l’incredulità nei confronti di tali argomenti.

Ai nostri giorni questa credenza si è mimetizzata e si è resa quasi invisibile, ma in realtà sopravvive ancora ed è più forte di quel che non si creda, magari aggiornata e riveduta secondo una versione post-moderna, più adatto agli scenari metropolitani che a quelli rurali di un tempo, la quale si inscrive in una sorta di revival folkloristico della stregoneria, con tanto di libri, riviste, film, programmi televisivi e kit completo per l’apprendista stregone.

Tanto per fare un esempio, le tradizioni, le storie e i racconti popolari della vallata del Frignano, nell’Appennino Tosco-Emiliano (provincia di Modena) sono stati raccolti da Michelangelo Beneventi nel volume «Sui sentieri del passato», dal quale riportiamo un episodio relativo alla credenza popolare nelle streghe (stampato in proprio presso la Tipografia Paltrinieri, Modena, 1989, pp. 68-69):

 

«… era fortemente radicata (anche nei nostri paesi) la convinzione dell’esistenza di subdoli riti di stregoneria (la presenza insomma delle streghe nostrane) avallati da fatti strani come il caso di quel marito che, preoccupato dei continui ritardi della moglie a coricarsi, nei venerdì di plenilunio, una sera pensò di spiarla da una fessura dello sconnesso pavimento di assi che divideva la camera dalla cucina. La vide mettere in un tegamino, accostato al focolare quasi spento, unna strana polverina che sprigionò un fumo verdognolo emanando un acre puzzo quasi irrespirabile e, tracciati dei segni diabolici, la sentì recitare sottovoce alcune formule magiche e incomprensibili, quindi, salita a cavallo della scopa, sparì nella larga cappa del camino!

Un altro fatto, quasi analogo, capitò ad un giovanotto che, rincasando a notte fonda e passando presso un grosso albero di noce, sentì delle risa sguaiate e un vociare suadente e vide aggirarsi sulla pianta delle ombre scure che si muovevano agili tra le fronde. Prese il coltello a serramanico e lo piantò nel tronco allontanandosi poi di qualche passo dando l’impressione di volersene andare, ma si fermò perplesso: dal vecchio albero provenivano ora dei dolorosi lamenti che lo supplicavano, per pietà, di togliere il coltello altrimenti non potevano scendere di lassù.

Tolse il coltello e se n’andò angosciato, nella notte, senza meta: aveva riconosciuto, nelle voci accorate, quelle della sorella e della fidanzata!

Ma, a parte questi episodi, forse un po’ fantasiosi, anche se non da escludere, un fatto inspiegabile e strano accadde veramente, nella notte di Natale del 1898.

A Magrignana erano convinti che, fra le donne del paese, ci fosse qualche “strega”.

Un’antica credenza popolare diceva che, se durante la messa della notte di natale, si avvolgeva la chiesa con tre giri di filo di lana, filata la stessa sera della vigilia, dopo il tramonto, se c’erano in chiesa delle streghe non sarebbero riuscite ad uscire.

Alcuni giovani pensarono di fare l’esperimento. Una ragazza filò la lana e, quando la gente era tutta in chiesa, stesero il filo tre volte attorno alle mura annodando i capi, ad altezza d’uomo, al di sopra della porta e quindi entrarono anch’essi, a Messa iniziata.

All’”Ite Missa est”, tutti uscirono, meno tre donne, sui cinquanta o sessant’anni, che, giunte presso la porta indietreggiarono inorridite e nemmeno il parroco e il sagrestano, quando, spenta l’ultima candela, s’avviarono all’uscita, riuscirono a smuovere.

Solo dopo qualche tempo, allorché un giovanotto sciolse il nodo togliendo i fili di lana, le tre donne poterono uscire e passare, tremanti di vergogna, tra la piccola folla sbigottita, che s’assiepava muta sul sagrato e nella piazza, mentre i pallidi raggi lunari ne allungavano le ombre brune sul bianco della neve.

Il fatto, raccontatomi da alcuni vecchi del passato, ma soprattutto dalla mia zia Clorinda che, allora giovinetta, era presente alla Messa di quella notte di Natale, ebbe un certo ascendente nella mia acerba fantasia.

Ricordo anche il nome di una di quelle donne, un nome particolare ed un’ombra astratta, mai vista, ma temuta; però, per delicatezza verso eventuali discendenti (anche se improbabili) lascio il seguito avvolto nel mistero.»

 

Tralasciamo i due primi episodi, non tanto per una loro scarsa verosimiglianza, ma per la totale mancanza di riferimenti precisi, che lascia pensare più a dei racconti di tipo favolistico che non a un evento reale vero e proprio.

Nel terzo racconto, quello relativo alle streghe in chiesa, le circostanze sono più precise: il luogo e la data, innanzitutto; poi la presenza di numerosi testimoni, compresi il prete e il sacrestano, i quali avrebbero potuto smentirlo, se non fosse stato vero; infine la circostanza che colui che ha raccolto e messo per iscritto questa vicenda, conosceva l’identità di almeno una delle tre donne in essa coinvolte come supposte streghe.

Certo, la verosimiglianza del fatto ed anche la sua quasi certa verità oggettiva non significano che sia vera, o comunque univoca, anche l’interpretazione che ne viene data; si potrebbe ipotizzare, per esempio, che le tre anziane donne siano state trattenute sul portone della chiesa, al momento dell’uscire da messa, non già da una forza soprannaturale (o preternaturale), ma dal timore di ciò che le aspettava fuori, fosse anche soltanto la vergogna di essere giudicate dalla piccola comunità, per la quale esse erano già colpevoli, senza bisogno di prove.

In teoria, le donne non sapevano nulla del filo di lana e, pertanto, il fatto di non riuscire ad oltrepassare la soglia sembrava indicarle come colpevoli; ma siamo proprio certi che non si fossero accorte di quel trafficare all’esterno da parte dei giovanotti del paese; che non avessero colto né una parola di sospetto, né uno sguardo accusatorio, durante l’intera celebrazione?

Se si scarta l’ipotesi soprannaturale, tutto si riduce a una vicenda di sospetti, diffidenza, ignoranza e discriminazione, in una piccola comunità montana, nei confronti di tre povere donne; e si sa che, in effetti, caduto il mito roussoiano del “buon selvaggio” e della innocenza e felicità umane prima del processo di civilizzazione, nelle società tradizionali, e specialmente nelle piccole comunità fuori mano, non tutto era rose e fiori in quanto a relazioni umane; si sa che esistevano le vittime designate, i perseguitati, i derisi, gli emarginati.

Perciò si potrebbe pensare che quelle tre donne fossero finite, per una ragione o per l’altra, nel mirino dell’altrui malevolenza, e che la voce secondo la quale erano delle streghe non nasceva da altro che dall’animosità di qualche vicino con cui erano in litigio, o dalla crudele ignoranza con cui il gruppo sfogava la sua paura dell’ignoto, per esempio una serie di raccolti sfavorevoli, di morti sospette fra gli animali domestici o persino fra gli esseri umani, di eventi sfortunati che avevano colpito la comunità.

D’altra parte, sarebbe tanto sbagliato credere a tutto quel che tramandano le credenze popolari, quanto non credere a nulla; sarebbe sbagliato, negare recisamente, per esempio, che la stregoneria sia mai esistita, e che realmente vi fossero delle streghe, ossia delle donne (o eventualmente degli stregoni maschi) che praticavano la magia nera.

Se poi la magia, nera o bianca che dir si voglia, possa davvero conferire dei poteri eccezionali ai suoi seguaci, dei poteri di tipo preternaturale, questa è cosa che non riguarda lo storico, né l’antropologo sociale, ma il teologo, lo studioso di demonologia ed, eventualmente, il parapsicologo; lo storico e l’antropologo devono limitarsi a prendere atto che la credenza nelle streghe è esistita da tempi immemorabili e che se ne trovano tracce in numerosissime tradizioni popolari.

Il pregiudizio razionalista e positivista, secondo il quale solo ciò che è dimostrabile e sperimentabile  scientificamente ha diritto di essere accettato come reale, relegando tra le favole e le frodi tutto il resto, ha fatto molti danni nell’antropologia culturale, così come ne ha fatti in tutti gli altri rami del sapere e della ricerca.

Non sta all’antropologia, né all’etnologia, giudicare se la credenza nelle streghe si fondi su di una realtà oggettiva, oppure no; ad essa è sufficiente che tale credenza esista, così come è suo dovere astenersi dal giudicare il contenuto scientifico, morale, religioso di essa.

L’antropologo non è un giudice, così come non deve esserlo lo storico; egli deve sforzarsi di ricostruire e interpretare la realtà, ma sempre rispettando la dimensione autonoma dei fatti studiati, i quali vanno compresi e non già assolti o condannati.

Come potrebbe colui che appartiene a un determinato paradigma culturale giudicare i contenuti di un altro paradigma; come potrebbe l’uomo moderno, o magari postmoderno, giudicare le credenze dell’uomo premoderno?

Un paradigma non può giudicare un altro paradigma, per il semplice fatto che ciascuno di essi è caratterizzato da un proprio modo di pensare, di sentire, di immaginare…