Il petrolio nel lugubre testamento di Greenspan
di Alfredo Jalife Rahme - 03/07/2006
Alan Greenspan, ex governatore della Federal Reserve, per il quale è stato scritto in anticipo l’epitaffio “Il signore delle bolle”, si è presentato alla Commissione del Senato per le Relazioni Estere per informare della grave situazione energetica degli Stati Uniti e dei rischi economici (Energy Bulletin, 8/6/06): “l’equilibrio tra offerta e domanda di petrolio è diventato così precario che anche i piccoli (sic) atti di sabotaggio o un’insurrezione locale hanno un impatto significativo sui prezzi del petrolio”. Si riferiva al “prezzo geopolitico”, uno dei “cinque prezzi del petrolio”, affrontato nel nostro recente libro. L’aspetto più rilevante della sua “orazione funebre” è stata la dichiarazione che gli Stati Uniti hanno a disposizione poche buone opzioni a “breve termine” per abbassare i prezzi: “non esiste la scelta tra buono e cattivo”, ma “tra non molto buono e peggiore” (sic). Ha espresso scetticismo sulla possibilità che i produttori possano estrarre greggio a sufficienza per attenuare la futura domanda. Ha ammesso che se le imprese sono riuscite ad assorbire i costi maggiori, i consumatori comuni stanno lottando per opporsi agli alti prezzi della benzina e ha avvisato che i dati recenti ne indicano l’impatto sull’economia statunitense. Sempre a breve termine i succedanei alternativi, come i veicoli ibridi ed elettrici, avrebbero un ruolo limitato; anche l’etanolo di mais non riuscirebbe a rimpiazzare la benzina. A lungo termine si è pronunciato favorevolmente sulle scelte più vantaggiose come l’etanolo cellulosico, il carbone pulito (sic) e l’energia nucleare. In sintesi, a breve termine, il panorama energetico degli Stati Uniti è lugubre a causa della sconfitta anglosassone in Iraq, poiché non sono riusciti ad impossessarsi dei ricchissimi giacimenti: “Dal 2002 i prezzi mondiali del petrolio sono saliti in modo persistente di pari passo con l’aumento del consumo globale”. Sostiene che “rimane poca capacità in eccesso” e le minacce crescenti della violenza contro giacimenti, oleodotti, impianti di stoccaggio e raffinerie, specie in Medio Oriente, hanno fatto crescere la domanda privata per avere scorte in tutto il mondo” per ripararsi da un impatto devastante (sic) dell’offerta”. E’ stata superata la semplicistica equazione di offerta e domanda tra produttori e consumatori che ha segnato la storia del petrolio e Greenspan, certamente senza saperlo, adotta la nostra tesi sul “prezzo finanziario” del petrolio: “importanti progressi nelle finanze hanno aperto il mercato a un maggior (sic) numero di partecipanti. Nei negoziati personalizzati (in un ufficio privato) si è prodotto un aumento di contratti per consegna a termine di petrolio e di altre materie prime con i “derivati finanziari” (…) Negli ultimi due anni un numero crescente di investitori istituzionali e di fondi di copertura dei rischi (fondi comuni che compiono investimenti ad alto rischio) hanno iniziato a comprare petrolio che accumulano scommettendo (super sic!) sul rialzo. I venditori di questi contratti agli investitori sono, per necessità, gli attuali proprietari di migliaia di milioni di barili di scorte private (sic) di petrolio nel mondo”. Né più né meno della nostra tesi sul “prezzo speculativo” che Greenspan nasconde quando dice che si tratta di pura carta straccia che compra il petrolio con contratti per consegna a termine con dollari svalutati. Si desume che i proprietari di questi titoli petrolizzati potranno esigere la loro merce virtuale già acquistata e che saranno capaci di esercitare pressione a breve tramite un “dumping finanziario” [vendita a sottocosto] che farà crollare i prezzi così come li hanno alzati nel lungo termine. Esistono oggi più “scorte virtuali” di petrolio (e di gas) in titoli speculativi che reali aumenti delle scorte, una vera spada di Damocle che pende sull’Opec, che può ritrovarsela piantata alle spalle tramite stratagemmi finanziari già molte volte visti: “il grado di crescita (sic) nella partecipazione degli addebiti in reali (super sic) barili di petrolio si riflette sulla quasi triplicazione del valore nozionistico dei derivati finanziari delle materie prime, ad esclusione dei metalli preziosi, durante i quattro trimestri del 2005”, molto simile all’accumulazione a lungo termine del petrolio da parte degli investitori nel NYMEX, la borsa di New York: “questi nuovi partecipanti, investitori e speculatori (super sic!) nel mercato annuale del petrolio per due milioni di milioni (trilioni in anglosassone), hanno accelerato il processo di adeguamento, che è diventato molto urgente con l’eliminazione virtuale dello smorzamento nell’offerta mondiale”. E’ chiaro che gli speculatori anglosassoni si sono rifocillati con il rialzo del petrolio con la loro cartastraccia e i loro dollari svalutati, situazione aberrante che l’Opec dovrà contrastare, se non vorrà essere bastonata finanziariamente quando inizierà il riflusso del “dumping finanziario” [vendita sottocosto] del petrolio. Non potevano mancare gli abituali autoelogi sulla, così pare, leggendaria produttività e flessibilità dell’economia statunitense nei tre decenni passati “che ha potuto assorbire i maggiori costi energetici con pochi effetti” (nota: a spese della forza lavoro decapitata), “grazie alla deregolamentazione e alla globalizzazione”. Ammette che la “minaccia maggiore all’adattamento” energetico degli USA verso fonti alternative consiste “nel protezionismo negli Stati Uniti, che ne indebolirebbe la flessibilità e lo renderebbe più vulnerabile ai capricci (sic) del mercato petrolifero”. E chi garantisce che la deregolata globalizzazione finanziaria feudale, di cui ha beneficiato esclusivamente la parassitaria plutocrazia oligopolica e oligarchica anglosassone, proseguirà? Due economisti vicini alla Banca Centrale, come Greenspan e Roach, hanno messo da parte il loro approccio ultrariduzionista per lasciare il posto alla geopolitica. La globalizzazione, cioè, il modello finanziario unilaterale imposto da quella che una volta era la superpotenza unipolare, oggi in evidente decadenza, è stata messa in ridicolo dallo storico britannico Niall Ferguson nel XI Seminario Europeo di Investimenti di cui parla Stephen Roach (Global Economic Forum, Morgan Stanley, 12/6/06), che è rimasto stupito dalle scoperte storiche dell’abbattimento della precedente globalizzazione ottocentesca che lo hanno reso nervoso:“il fattore differenziale è costituito dalla connessione globale della tecnologia dell’informazione che ha migliorato tanto la velocità e l’ottica di questa globalizzazione oltre le norme di 100 anni fa. “Una globalizzazione che va al di là della manifattura fino ai servizi non negoziabili (non-tradable) che non solamente produce impatto sui colletti blu, ma che colpisce anche i cosiddetti lavoratori della conoscenza o colletti bianchi, un tempo protetti, deve essere sicuramente più forte e potenzialmente destabilizzatrice della tendenza di 100 anni fa. E certamente non rassicura l’attuale impantanamento in Medio Oriente” . La “fine della globalizzazione” colpirà soprattutto il suo creatore anglosassone tanto quanto farà bene ai produttori di “oro nero”. Alfredo Jalife Rahme Fonte : La Jornada Link : http://www.jornada.unam.mx/2006/06/14/020o1pol.php 14.06.06 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANTONELLA MACCHIA |