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Riflessioni sul filo di paglia

di Enzo Parisi - 30/01/2012


Ho letto con grande interesse “La rivoluzione del filo di paglia” di Masanobu Fukoka, contadino e filosofo giapponese considerato il guru della agricoltura sinergica e naturale. L’ho comprato pensando di migliorare le mie qualità di contadino della domenica, ma leggendolo ho scoperto un vero mare di saggezza, di insegnamenti di vita, di riflessioni filosofiche, scritte da un grande maestro, forse inconsapevole, dell’ecologia profonda.
Di tutte le prospettive e emozioni che ha suscitato in me questo libro, ve ne segnalo alcune, anche per un invito alla lettura: Agricoltura di sussistenza e agricoltura industriale, Uomo e cibo, Il senso della vita.

Agricoltura di sussistenza e agricoltura industriale
L’agricoltura industriale è stata favorita dai governi e dai loro tecnici perché consente una maggiore produttività e un maggiore guadagno a determinati settori sociali. E’ figlia dell’idea produttivista, economicista e industrialista, della crescita e dello sviluppo, idea già applicata in altri comparti specie nel settore industriale, oltre che nella economia e nella finanza.
L’agricoltura industriale si fonda su alcuni fatti e misfatti:
• Le grandi estensioni messe a coltura
• Le monocolture
• Una sottovalutazione della qualità del prodotto (pensare alle uova)
• La sostituzione di fertilizzanti chimici alla fertilità naturale del terreno.
• La distruzione della fertilità naturale del terreno con la necessità conseguente di nuove tecniche agricole quali l’aratura, l’uso di fertilizzanti chimici, dei diserbanti, dei fitofarmaci.
• La meccanizzazione eccessiva
• La schiavizzazione dei contadini da parte della intermediazione commerciale e dalla vendita.
L’ esagerazione dei desideri è la rovina della società e della terra e del suo prossimo collasso. L’umanità deve passare da una vita improntata alla ricerca del guadagno materiale ad una vita caratterizzata dalla consapevolezza spirituale.
Lo sviluppo è servito solamente a separare l’uomo dalla natura, anche i contadini.
L’agricoltura deve passare dalle grandi attività meccanizzate a produzioni di piccola scala. Una agricoltura che ritorni a essere quello che per secoli è sempre stata: un connubio tra le colture, gli animali e gli esseri umani.

Uomo e cibo
L’atteggiamento dell’uomo verso il cibo in generale può essere discriminante o non discriminante
Oggi la gente mangia col cervello e non col corpo.
Nel Sutra del Cuore Buddha disse : La forma è vuoto e il vuoto è forma: tradotto con parole più occidentali: la materia è mente, la mente è materia: mente e materia sono la stessa cosa.
Una prima forma discriminante è il colore. La mente apprezza i colori vivi, il lucido, il colorato rispetto al bianco. Pensiamo alle carote, arancioni perché è piaciuto il colore dato all’originale carota bianca dagli ibridatori olandesi.
Una seconda forma il sapore. Ma il cibo attuale segue una logica aberrante. Si raffinano i cibi (vedi la farina) e poi si insaporiscono con prodotto chimici, come il sodio glutammato. Ci si allontana dalla natura con l’allevamento industriale (pensiamo ai polli e alle uova) e ci ritroviamo con sapori molto lontani da quelli veramente gustosi degli animali da cortile. Da quanto non mangiate un vero uovo di gallina allevata in un’aia ? La natura dà cibi buoni, ma le cosiddette esigenze produttive ne soffocano il gusto.
Una terza forma discriminante è lo scientismo alimentare: quello che conta la quantità di proteine, grassi e zuccheri, nonché le calorie.
Una quarta, la dieta di principio, in cui la mente decide che certi cibi non sono desiderabili. Esempio il vegetarianesimo, o il rifiuto presente nella cultura occidentale di mangiare insetti o rettili.
La scelta non discriminante invece segue una logica istintiva. Il corpo dell’uomo, che è unito al resto della natura e quindi anche al cibo, sa potenzialmente gli alimenti di cui ha bisogno e sa scegliere sempre bene, sia in quantità che in qualità. Quando sviluppa questa capacità e indipendenza dal pensiero dominante, dosa intuitivamente ciò che è utile alla propria alimentazione. E’ quindi impossibile stabilire a priori cosa è una dieta naturale. Sicuramente è costituita da prodotti raccolti direttamente o quasi. Poi si definisce da sé e le persone mangiano anche a seconda della propria costituzione fisica e delle esigenze del momento, come un clima freddo o caldo.

Il senso della vita
Questo atteggiamento discriminante o non discriminante vale anche in generale per la natura. La cultura prevalente crede che una descrizione del mondo sia possibile solo attraverso la discriminazione. Così distingue gli uomini tra loro, l’uomo dagli animali, gli animali tra loro, gli animali dalle piante e le piante tra loro.
L’atteggiamento non discriminante è sradicare la falsa concezione della natura e considerare il tutto un corpo unico, uomo compreso.
E’ molto difficile comprendere appieno questa logica, bisogna affidarsi alle nostre abilità più primitive, come quella che potremmo chiamare istinto o intuizione. E’ una conoscenza che non può essere descritta dalle parole o dalle immagini.
Nel Sutra del cuore Buddha disse : l’uomo non è vivo e non è morto, non è nato e non muore, senza vecchiaia né malattia, senza aumento né diminuzione.
In natura accade proprio questo. Le piante annuali, come il grano, muoiono ogni autunno e i loro semi rinascono in primavera. Così molti insetti, specie le farfalle.
Gli uomini vedono la vita e la morte in una prospettiva molto corta, la propria. La morte è tristezza e la nascita gioia. Ma il tutto è parte di un unico ciclo e se si può assaporare e sperimentare ogni giorno la partecipazione a questo ciclo, nient’altro è più necessario. Gli uomini non riescono a godersi la vita nel suo fluire e nei suoi cambiamenti. Si aggrappano al passato, alle proprie consuetudini, pensano al futuro e non vedono il presente, l’unica verità. Alla fine hanno la percezione che la vita sia passata velocemente e inconsistente, come un breve sogno. Se ampliano il raggio della propria visione in una dimensione storica, possono invece comprendere il ruolo nella vita. Cosa rimane della vita individuale di un pretoriano di Giulio Cesare, o di un signorotto medievale, o persino di un Re ? Quello di una formica, di un dinosauro, di una palma. Nulla. Ma tutti in qualche modo hanno contribuito alla continuazione della vita. L’essere collettivo continua la sua storia, anche dispersa in un Universo infinito.