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La Grecia insegna: dai filosofi solo guai

di Alessandro Sansoni - 10/02/2012

Fonte: Secolo d'Italia

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L’Atene del V secolo avanti Cristo continua ad esercitare un fascino ed una curiosità eccezionali. Inevitabile se si pensa che quella piccola cittadina della penisola greca è stata la culla, in quel periodo, di larga parte della cultura europea ed occidentale. Quando poi uno storico del calibro di Luciano Canfora pubblica un testo che ha l’ambizione di essere una messa a punto di decenni di studi e ricerche, cercando di ricreare la stimmung dell’epoca, la lettura di un libro come Il mondo di Atene, pubblicato da Laterza, diventa un autentico piacere per appassionati e studiosi. Fornendo peraltro suggestioni intellettuali inattese.
Lo sforzo di Canfora si concentra soprattutto sulle vicende legate alla Guerra del Peloponneso, di cui lui è il più profondo conoscitore italiano, e sui risvolti politologici delle elaborazioni culturali coeve. La storia della democrazia ateniese è paradigmatica per tutto il pensiero politico successivo ed è una fonte a cui attingere per meglio comprendere le ideologie e le prassi moderne.
L’autore, con straordinario realismo, fa rivivere gli scontri, le alleanze, i riposizionamenti, gli opportunismi di Pericle, Alcibiade, Cleone, Teramene, Trasibulo, inquadrandoli nel clima culturale del tempo, sottolineando il dialogo costante esistente tra eterie politiche in cui si incontravano i principali esponenti dei clan familiari che dominavano la polis e i cenacoli culturali dove i rampolli delle grandi famiglie si formavano. Circuiti accessibili al popolo attraverso i canali rappresentati dal teatro, dalle assemblee pubbliche e dal tipico filosofare socratico en plain air.
L’attenzione di Canfora si rivolge in particolare verso le riflessioni di quegli ambienti, tutt’altro che marginali, che criticarono il regime democratico, auspicando un sovvertimento di impronta oligarchica in nome dell’eunomia (buon governo) spartana.
Le élites politico-sociali ateniesi possono essere così suddivise: chi accetta il sistema democratico e cerca di guidarlo, come Pericle, pur mantenendo ampie riserve mentali su di esso – “noi, gente da senno, sapevamo bene cosa fosse la democrazia. (…) forma di follia universalmente riconosciuta” fa dire Tucidide ad Alcibiade, di fronte all’assemblea degli spartiati. E chi invece lo contrasta senza immischiarsi, combattendolo culturalmente, come Socrate prima e Platone poi, o attraverso azioni eversive che riscuotono un effimero successo, come Antifonte e Crizia, leader del golpe dei 400 il primo (411 a.C.) e dei Trenta Tiranni il secondo (404 a.C.).
L’interpretazione che dà Canfora di costoro fa immaginare una parte dell’aristocrazia ateniese intenta ad elaborare un pensiero che potremmo definire rivoluzionario-conservatore ante litteram.
Antifonte e Crizia, individuato come il probabile autore dell’opuscolo pseudo-senofonteo Sulla costituzione degli ateniesi, emergono come grandi figure di “ribelli aristocratici”, analoghe al Nietzsche ricostruito da un altro importante studioso di impronta marxista come Domenico Losurdo nel suo Il ribelle aristocratico. Come il solitario di Sils-Maria la loro critica della democrazia e dell’egualitarismo non è banale, non riprende il cliché teognideo degli uomini diversi per natura e del démos inferiore per nascita, oltre che imperito ignorante e sfrenato.
Essi sono imbevuti della nuova cultura sofistica: sanno che le leggi, le convenzioni, giocano un ruolo decisivo nelle diversificazioni sociali; senza contare l’atteggiamento smaliziato nei confronti della religione tradizionale, diffuso presso i ceti alti e visto con estrema diffidenza dal popolo, in quanto elemento disgregatore del sistema.
In questa ottica, l’analisi dello pseudo-senofonte è cruciale. Se per secoli la scienza storica aveva attribuito ad un “vecchio oligarca” la paternità dello scritto, Canfora mette invece in risalto la capacità del suo autore di comprendere l’evoluzione subita da Atene nel corso del V secolo, la sua perizia nell’individuare nella flotta, dove prestano servizio i teti (i nullatenenti), il nerbo del regime democratico e la sua lucidità nello spiegare come il démos seppur incapace di realizzare il “buon governo”, esercita tuttavia il potere perseguendo il suo utile in una logica di egemonia di classe. In base a questi e ad altri fattori, tra cui lo slancio verso la realizzazione di un programma di azione ultraoligarchico, in cui i “migliori” sono tali non per sangue, ma in virtù della gnome (le competenze), l’identificazione si orienta verso Crizia: giovane aristocratico estremista, eppur talmente elastico intellettualmente da comprendere, non solo le ragioni del suo nemico, ma anche la sua forza e l’impossibilità di riformare la democrazia dall’interno. Lo zio di Platone, discepolo di Socrate, sarà poi il protagonista efferato del putsch dei Trenta Tiranni che con l’aiuto di Sparta abbatterà la democrazia, tentando di realizzare l’ideale dell’eunomia tante volte prefigurato nelle eterie aristocratiche. Con i tragici effetti che sempre producono i filosofi quando giungono al potere.