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L'operaio di Junger: dominio e tecnica

di Marco Iacona - 23/03/2012

Fonte: scandalizzareeundiritto


«Crede in un aldilà?», chiedono gli intervistatori a Ernst Jünger. La risposta è di quelle che non ti aspetti. Perché Jünger, uomo di metafisica, era persona affascinata dai dubbi, oltreché di metodo. «Vorrei poterlo fare. Ma con quali strumenti?». Il suo quasi omonimo, Carl Gustav Jung, avrebbe avuto molto da dire. Ancora: «Neppure la filosofia Le è venuta in soccorso?». Replica: «Il mio giardino mi dà una certezza maggiore di qualsiasi sistema filosofico». Gli intervistatori sono Franco Volpi, scomparso ahimè qualche anno fa, e Antonio Gnoli giornalista di Repubblica. L’intervista, un documento universalmente noto a saggisti e amanti del catalogo Adelphi (I prossimi titani) compilata per i cent’anni dell’autore delle Tempeste d’acciaio e delle Scogliere di marmo. Quanto basta per entrare nel castello incantato del vecchio di Wilflingen. Fra la foresta nera e qualche (triste) ricordo celiniano.
Rammenti il lettore, giovane o distratto, queste poche righe di risposta (le parole dell’amico di Gide e di Schmitt, di Heidegger e di Niekisch) per non cadere nella tentazione dell’intellettuale medio: l’arte di buttarla in filosofia. Offrendo alla legge della parola il vantaggio che occorre per trasformare gli uomini in discorsi e le cose in idee della cosa. In guerra Jünger è stato protagonista in anni nei quali l’Europa si giocava il proprio destino fra le bombe e l’eroismo dei pochi. Cosa c’entra questo con la lettura di un libro – dettato dal proprio ego – o il tedio di una lezione universitaria? Jünger lo si può leggere tranquillamente dopo Marx perché offre la stessa sensazione di uomo schierato. Che spia il futuro e crede di interpretarlo. Un uomo però che ha fatto la sua parte. «Come Marx, Jünger ha simpatia per ciò che è forte e vittorioso», scrive Quirino Principe nella prefazione a L’operaio. Dominio e forma, opera del 1932, probabilmente perché ha dietro di sé non idee ma esperienze fondamentali, sa o crede di sapere da che parte si volgerà la storia.
Der Arbeiter o in italiano L’operaio compie ottant’anni. Fra le opere di Jünger è fra le più note, ma anche fra le meno lette perché (non nascondiamolo) è abbastanza noiosa. Scritta in un periodo fondamentale della storia del secolo scorso, poco prima che il nazionalsocialismo andasse al potere. Non ha alcun legame diretto con le esperienze e le politiche hitleriane. Der Arbeiter è un libro di guerra scritto in tempo di pace (ancora per poco). Guarda al futuro (anche con ingenuità), a quello che sarà il rapporto fra l’uomo, il lavoratore, e la tecnica, ma con continui sguardi al passato: più o meno a quel che è stato a partire dal quindicennio precedente. Non poteva non essere così: una guerra mondiale non si dimentica in un batter d’occhio. Jünger tenta di trasferire lo spirito del combattente, l’uomo di trincea, nello spirito del dominatore civile, delineando la figura di un nuovo tipo d’uomo.
Sanare le ferite della contemporaneità: è questo il suo scopo. Naturalmente non è il solo a rendersi conto che modernità e progresso (col quale ha un rapporto negativo ma complesso) hanno restituito un mondo diverso da vivere e dominare nella sua assolutezza, ma lui al contrario dei catastrofisti d’ogni età e luogo spende il proprio talento per il superamento delle contraddizioni. Cosa accadrà dunque? Grazie al lavoro, dice Jünger, grazie alla forza dominante della nostra epoca, l’umanità sarà in grado di assumere una nuova figura quella, appunto, del lavoratore. Non si tratta, com’è facilmente intuibile, né di un’astrazione né di un dato estrapolabile dalla mera esperienza, ma come ricorda Marcel Decombis autore di uno storico saggio dal titolo L’ideale nuovo e la mobilitazione totale (che col lavoro di Julius Evola L’operaio nel pensiero di Ernst Jünger – è fra i più citati da una certa area ideale), esso appartiene «ad una sfera superiore della realtà» quale dominatore di ogni altro valore dell’umanità.
Il lavoro per Jünger non ha il significato che generalmente gli viene attribuito dalle dottrine socialiste, né più in generale alcun significato economico, ma è l’espressione di un’essenza, è un valore universale, non un mezzo, non un mestiere, ma un’energia che non appartiene soltanto all’uomo ma è riconoscibile anche nella natura. Un processo eterno e universale e come tale è al di là di ogni morale umana. La durata del lavoro non incontra soste, essa si estende per ventiquattro ore assumendo diversissimi aspetti.
Come definire dunque la figura del lavoratore? Date le premesse, essa non appartiene a una classe e soprattutto non ha legami di continuità con i regimi storici: il lavoratore non è il «quarto stato», né custodisce al proprio interno valori esclusivamente economici (anzi: sono questi i “tipi” da superare). Troppo riduttiva sarebbe parsa a Jünger la visione di un lavoratore-classe sociale, un nuovo prodotto evoluzionistico dal significato economico subentrante alla classe borghese. E allora? Ecco il colpo di scena: Jünger vede nel lavoratore una forma particolare agente secondo leggi proprie che segue una propria missione e possiede una propria libertà, il protagonista della modernità destinato a sostituirsi all’individuo e alla comunità.
Con la spiegazione del ruolo del lavoratore, arriviamo a comprendere in che modo, per Jünger, il tipo sarà protagonista nel futuro. E qui entra in gioco la tecnica. Jünger pensa a una organizzazione planetaria, a un regno dell’operaio che si instaura grazie alle forze a disposizione del lavoro e a una decisiva mobilitazione totale. Alla tecnica – che non è un fine – verrà affidato un compito limitato; diverrà protagonista solo chi avrà la capacità di non «porsi sotto il suo giogo». Queste ultime riflessioni ci aiutano a soppesare la definizione che Jünger dà della tecnica: «la tecnica è il modo in cui la forma dell’operaio mobilita il mondo».
Un doppio nodo legherà, allora, tecnica e dominio della forza: la conquista dello “spazio totale” da parte della tecnica permetterà il dominio, ma solo questo dominio sarà in grado di tenere a bada la tecnica stessa. Tipo e tecnica saranno in definitiva due forze parallele ed eminentemente universali. L’uno legato all’altra come un mitragliere al proprio mitragliatore.