Editoriale. L'Economia Solidale è una Realtà
di - 10/09/2004
L’economia solidale è una realtà, non un’utopia astratta, che si sta sperimentando in molte parti del mondo. È una realtà in crescita che contraddice in pieno i sacri dogmi dell’economia liberista: in particolare la teoria dell’uomo economico, quel soggetto razionale, avido ed egoista, che massimizzando il proprio interesse individuale avrebbe come risultato un equilibrio ideale che garantisce a tutti i membri della società il massimo del benessere.
M la realtà diffusa, come ben sappiamo, è molto diversa. Solo per fare qualche esempio: il consumatore razionale teorizzato dagli economisti utilitaristi non esiste, come del resto risulta lampante analizzando anche sommariamente i meccanismi della comunicazione pubblicitaria, che per indurci all’acquisto dei prodotti fanno leva quasi sempre su motivazioni emotive, irrazionali e spesso inconsapevoli. Per non parlare dell’irrazionalità totale dei comportamenti della Borsa e della ormai incontrollata corsa alla finanziarizzazione dell’economia, altrettanto demenziale e capace di produrre solo disastri.
Lo strumento principale utilizzato per misurare la crescita economica, il PIL (Prodotto Interno Lordo), è talmente assurdo e contraddittorio che probabilmente le generazioni future rideranno di noi, quando ne leggeranno sui libri di storia, domandandosi come abbiamo potuto ricorrere per decenni, per valutare il benessere, a un parametro che si basa solo sul denaro speso (o guadagnato) per consumi senza distinguere se è servito a comprare armi o a costruire scuole; un parametro che aumenta se si fa una guerra, che non valuta minimamente l’economia non monetaria, fondamentale per il benessere reale delle persone; un parametro che rimane cieco a un elemento fondamentale come l’uso (e lo spreco) delle risorse naturali e della produzione di scorie e che non sa misurare come viene realmente distribuita la ricchezza prodotta.
Ed è sotto gli occhi di tutti/e che il modello economico liberista tutto fa tranne che aumentare in modo omogeneo il benessere collettivo; al contrario, allarga a dismisura le disuguaglianze tra i paesi e tra le classi sociali, aumenta la povertà e l’esclusione, distrugge i diritti umani, svuota la democrazia, rende precario il lavoro, ci conduce verso il disastro ambientale. Lo stesso concetto di sviluppo, inteso come movimento verso il meglio, è entrato in crisi. Perché sviluppo corrisponde semplicemente a crescita, e in particolare crescita dei consumi, cioè alla diffusione in tutto il mondo degli standard di vita occidentali.
È necessario rivedere ed aggiornare i concetti di proprietà privata, di concorrenza, di crescita, di produzione, di accumulo, di profitto, di consumo, ed inserire al loro interno termini come condivisione, collaborazione e solidarietà come basi della convivenza sociale. La produzione e il consumo devono essere commisurati alle necessità delle comunità. L’essere umano si deve considerare parte integrante dell’ambiente, che quindi non va né sfruttato/a né sottomesso/a. Al contrario la natura deve essere trattata con il massimo rispetto e con una serie di precauzioni per evitare di alterarne gli equilibri, perché si è ben consapevoli che questo comprometterebbe le condizioni della nostra sopravvivenza e di quella delle generazioni future.
La coesione sociale, cioè il grado di fiducia esistente tra gli individui di una determinata comunità per favorire la cooperazione in un contesto territoriale, è un valore fondamentale da salvaguardare. Ognuno/a è tenuto/a a capire che il benessere degli altri è essenziale per il proprio, e la dimensione collettiva, cooperativa e spirituale è superiore a quella individuale e materiale. Oggi, nelle nostre società lo sviluppo del cosiddetto terzo settore e di svariate forme di auto-organizzazione della società civile, che si aggiungono a quelli tradizionali del settore pubblico e del privato profit, mandano un segnale preciso del bisogno di far rientrare l’etica nell’economia e di rispondere a domande che il neoliberismo ignora o è incapace di soddisfare.
I principi fondamentali dell’economia solidale sono abbastanza semplici, ma se messi in pratica rappresenterebbero una vera e propria rivoluzione: sobrietà da intendersi non come sacrificio, cooperazione e reciprocità, solidarietà intesa non come beneficenza ma come diritto-dovere collettivo, responsabilizzazione di ogni individuo rispetto al benessere collettivo, centralità dei diritti e del lavoro, sostenibilità ambientale, distribuzione equa delle risorse, partecipazione alle scelte politiche, economiche e sociali, tutela dei beni comuni, primato dell’economia locale e cura del proprio territorio. Il concetto cruciale è quello del ben-vivere o del ben-essere contrapposto a quello oggi dominante del ben-avere.
Il sistema economico va radicalmente trasformato da una scienza considerata triste e meccanica ad una scienza da considerarsi allegra, ottimista ed organica.
Un altro modo di fare economia è possibile con la sperimentazione di libere iniziative solidali che cominciano a essere realtà in tanti luoghi del mondo. La finanza etica, i sistemi locali di raccolta di risparmio e credito, il microcredito, le cooperative sociali e popolari, il commercio equo e solidale, i gruppi di acquisto solidali, il turismo responsabile, imprese profit socialmente responsabili, le banche del tempo, i sistemi di economia locale basati sul baratto o su monete auto-gestite, lo sviluppo del software libero e altro. Nate come risposta spontanea alla disoccupazione, all’esclusione sociale, alle ingiustizie e alla povertà create da un neoliberismo sempre più sfrenato, si stanno progressivamente organizzando in reti locali, nazionali e internazionali sulla base di principi comuni e condivisi.
Il/La Consapevole si propone di documentare con continuità tutte le esperienze di crescita che si muovono in tale direzione.