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50.000 morti, ma chi tiene il conto?

di Juliana Lara Resende - 13/07/2006

 

Dopo la nota dichiarazione alla stampa in cui affermavano di “non contare i morti”, oggi i funzionari del Pentagono dicono di aver contato le vittime civili in Iraq in un anno. E mentre quel numero rimane negli archivi, fonti indipendenti sostengono che dall’invasione del 2003, nel paese sono morte almeno 50.000 persone

Secondo le statistiche compilate dall’obitorio di Baghdad, dal Ministero della Sanità iracheno e da altri enti – come riferito recentemente dal Los Angeles Times – quella cifra è superiore di 20.000 unità rispetto alle precedenti stime dell’amministrazione Bush.

L’anno scorso, Bush dichiarava che “30.000 persone, più o meno, erano morte a seguito dell’incursione iniziale e della continua violenza contro gli iracheni”. In proporzione, quel numero equivarrebbe a 570.000 cittadini americani uccisi nello stesso arco di tempo, denunciava l’articolo del Los Angeles Times del 25 giugno.

Il Ministero della Sanità iracheno sostiene tuttavia che questa cifra sia stata ridotta ad arte, dato che non include le morti al di fuori di Baghdad nel primo anno di occupazione, o nelle tre province settentrionali della regione semi-autonoma del Kurdistan.

A causa della ininterrotta violenza quotidiana e degli abusi delle forze di sicurezza, così come dei vuoti di potere e dell’insufficienza delle reti di comunicazione, gli operatori sanitari non hanno potuto raccogliere informazioni certe sul numero di persone decedute nel paese.

Secondo l’Iraq Body Count (IBC), gruppo non governativo con sede a Londra, che tiene una banca dati aggiornata sui morti in Iraq dal maggio 2003 riportati dai media, lo scorso anno il numero delle vittime è stato il più alto di tutti i tre anni di occupazione: in media, 36 “morti violente” al giorno, circa il doppio rispetto al primo anno.

All’inizio della settimana scorsa, funzionari Usa in Iraq hanno dichiarato di aver contato le vittime civili dal luglio 2005. Il tenente generale Peter Chiarelli, capo delle Forze multinazionali in Iraq, ha dichiarato a Baghdad, di fronte ai giornalisti, che attualmente l’esercito americano uccide e ferisce un numero inferiore di civili. Secondo Chiarelli, negli ultimi sei mesi le morti di ‘non militari’ ai checkpoint sono scese all’incirca da quattro a una alla settimana.

John Sloboda dell’IBC osserva però che “le uccisioni ai checkpoint sono solo una delle morti possibili per mano delle truppe Usa”. ”Non abbiamo sufficiente chiarezza sulla scrupolosità degli Usa nel contare tutte le tipologie di uccisioni provocate dai propri militari”, ha detto all’IPS.

Dopo la dichiarazione di Chiarelli, la Campagna per le vittime innocenti dei conflitti (CIVIC) con sede a Washington, e altre organizzazioni umanitarie hanno chiesto ai militari Usa di rilasciare le loro cifre e di completare le informazioni con ulteriori dettagli. ”L’esercito Usa sostiene di proteggere i civili e noi ci crediamo, ma non possiamo sapere quanto questo sia vero senza elementi più specifici”, ha detto all’IPS Sarah Holewinski, direttrice esecutiva di CIVIC.

Sloboda ha aggiunto: “Di fatto, vi sono dichiarazioni ufficiali di comandanti dell’esercito secondo le quali gli Usa non tengono assolutamente il conto delle vittime coinvolte negli scontri con le forze di opposizione”. ”Ciascun militare deve dichiarare quanti nemici potrebbero essere rimasti uccisi nelle azioni che hanno coinvolto le sue truppe. Le cifre riportate in questi rapporti vengono modificate e in qualche modo sommate, ma ovviamente non è che un’ipotesi, assolutamente soggetta a parzialità e manipolazioni politiche da parte degli Usa”.

I certificati di morte sono rilasciati e contati separatamente dall’obitorio e dal Ministero della Sanità, in modo che i due dati non si sovrappongano.

Secondo il Los Angeles Times, dal 2003 fino a metà del 2006, l’obitorio di Baghdad ha accolto 30.204 corpi. Il Ministero della Sanità – tra il 5 aprile 2004 e il primo giugno 2006 – ha accertato 18.933 vittime di “scontri militari” e “attacchi terroristici”, per un totale di 49.137 morti.

Sul rifiuto Usa di rivelare una cifra ufficiale, Holewinski ha detto: “I media stanno facendo un ottimo lavoro di pressione sull’esercito perché questo numero venga reso noto”. Tuttavia, l’attivista ha aggiunto che ciò non accadrà, “a meno che il Congresso non lo richieda [al Pentagono]”.

IBC stima che dall’inizio della guerra, i civili morti come conseguenza dell’invasione militare in Iraq siano tra i 38.786 e 43.215, senza contare le vittime tra le forze di sicurezza irachene.

”È una misura di riferimento, e rappresenta davvero un buon parametro, ma non è tutto, per questo abbiamo bisogno che gli Usa rendano pubblici i loro dati”, ha detto Holewinski all’IPS.

”Se l’esercito americano vuole davvero rendere queste informazioni di dominio pubblico, allora deve innanzitutto fornire data e luogo di ogni incidente, il nome dei morti e dei responsabili”, ha dichiarato Sloboda. “Quello che stanno facendo è solo un vuoto gesto formale, oltre che un insulto alle loro vittime”.

”È uno scandalo assoluto, e tutta la comunità internazionale viene giudicata per il suo vile fallimento su questo”.

 

Sulla guerra in Iraq vedi 'Iraq Confidential – Intrighi e raggiri: la testimonianza del più famoso ispettore ONU' (prefazione del premio Pulitzer Seymour Hersh, prefazione all'edizione italiana di Gino Strada), di Scott Ritter – ex ispettore delle Nazioni Unite in Iraq (1991-1998) ed ex responsabile dei servizi d’intelligence dei marines.

 


Fonte: Inter Press Service