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Misteri del sole e misteri della luna. La posizione della donna nei Misteri romani di Mithra

di Stefano Arcella - 13/04/2012

Nella letteratura storico-religiosa accademica ed anche in quella esoterica d’indirizzo “tradizionale” la tesi del carattere esclusivamente maschile dei Misteri romani di Mithra è stata quasi unanime, dalla fine dell’Ottocento in poi.

Eppure questa tesi non mi ha mai convinto del tutto, per una pluralità di motivi che spaziano dall’iconografia mitriaca alla testimonianza di Porfirio, fino a qualche dato – raro ma preciso – di carattere epigrafico.

In questo contributo, intendo chiarire i motivi della mia perplessità su questa tesi di una spiritualità misterica del tutto chiusa alle donne.

La scena della tauromachia è costantemente rappresentata in ogni mitreo dell’Impero. In essa, si nota la simmetria fra il Sole e la Luna. Il primo, alla sinistra di Mithra (dal punto di visuale dell’osservatore del dipinto o della scultura) ordina a Mithra, tramite il corvo, di sacrificare il toro. La Luna, alla destra dell’eroe solare, osserva la scena, la contempla, con una espressione assorta, pensosa. La dea non svolge un ruolo attivo, non emette comandi, non interviene in azione, eppure è presente nella scena mitica cui questa raffigurazione rimanda, è parte integrante di essa proprio per il suo atteggiamento contemplativo del sacrificio. Si può dire che il suo osservare è un’azione silenziosa, è un prender parte al sacrificio come immedesimazione interiore, anche come sofferenza.

Una lezione fondamentale di Mircea Eliade è stata quella del rito come reiterazione e attualizzazione dell’evento mitico, di un accadimento verificatosi in “illo tempore”, ossia in un tempo mitico, un “tempo fuori del tempo”.

Il sacrificio del toro è, come è stato ampiamente illustrato in letteratura, un evento cosmogonico, salvifico e vivificante che accade una volta per tutte, tant’è che Mithra è “invitto”, cioè sempre vittorioso. Si tratta di un evento mitico, situato fuori dalla storia e che, al tempo stesso, fonda la storia dell’uomo e la connotazione del mondo come campo di manifestazione del Principio Solare (cioè di una forza luminosa e trascendente), come teatro di una lotta fra la luce e le tenebre, per cui il miste deve attuare in sé la “lotta col toro” e il sacrificio del “toro-luna” in cui conficca il suo pugnale solare, trasformando quella forza taurina in un’energia positiva e creativa, in spinta ascensionale (=la spiga di grano).

Se questa lezione di Eliade è valida e se si accoglie l’impostazione secondo cui nelle civiltà tradizionali l’ordine terreno riflette e reitera l’ordine trascendente, risulta d’intuitiva evidenza che il rito mitriaco dovesse replicare e attualizzare l’evento mitico con tutte le sue componenti, compresa la Luna nel suo porsi in modo contemplativo.

Risulta di intuitiva evidenza, dunque, che nel rituale mitriaco la donna dovesse essere presente e partecipe in una posizione che reiterava il ruolo passivo e contemplativo della Luna nella scena mitica della tauromachìa. Traducendo il tutto nella logica e nella struttura dei gradi mitriaci, la donna doveva essere ammessa ai gradi inferiori, di carattere introduttivo, con ruoli subalterni e ausiliari rispetto a quelli di grado piu’ elevato  ricoperti soltanto dagli uomini, che reiteravano la posizione attiva, di comando, svolta dal Sole nella scena della tauromachìa.

Del resto, sembra che nei Misteri greci la donna era ammessa ai Piccoli Misteri ma non ai Grandi Misteri, com’è stato recentemente ribadito anche nell’ambito della letteratura di orientamento “tradizionale”.

Peraltro è noto che i mitrei sorgevano spesso in prossimità di fonti o di corsi  d’acqua – come è il caso per il mitreo della grotta del Timavo in Friuli o per quello di S. Clemente in Roma – poiché l’acqua aveva una sua funzione sia come supporto per le purificazioni, sia anche per veicolare ed amplificare il magnetismo terrestre, favorendo il potenziamento energetico del tempio e dei misti partecipanti al rituale.

E’ noto il legame fra le acque e la luna presso le culture tradizionali, essendo entrambi simboli del divenire, del mutamento, del fluire delle cose e dei fenomeni; orbene, poiché nella mentalità “tradizionale” tutto è coordinato, tutto si collega e vi sono precise corrispondenze fra microcosmo e  macrocosmo, ad un principio femminile come principio cosmico e come aspetto della natura doveva necessariamente corrispondere una presenza  femminile sul piano umano. Del resto, il Corpus Hermeticum di Ermete Trimegisto – con la famosa massima della corrispondenza fra ciò che è in alto e ciò che è in basso – viene redatto proprio in età tardo ellenistica, quindi contemporaneo ai misteri mitriaci romani.

Sul piano delle testimonianze nelle fonti letterarie, abbiamo solo quella di Porfirio, avendo presente che il trattato sulla dottrina mitriaca di Eubulone e Pallas (i due autori menzionati da Porfirio), è andato perduto. Rileggiamo quindi la testimonianza di Porfirio.

Dopo aver parlato dei Magi presso i Persiani, come coloro “che sono esperti in divine questioni e venerano la divinità” e aver illustrato le caratteristiche delle tre classi in cui si articolavano questa classe sacerdotale e la dottrina della metempsicosi, Porfirio scrive:

Infatti significando allusivamente la nostra comunanza con gli animali sono soliti indicarci per mezzo di animali: così chiamano leoni gli iniziati che partecipano ai loro riti, iene le donne, corvi quelli che servono. E così anche dei padri *** e questi sono infatti chiamati aquile e falconi. Colui che riceve il grado di leone si riveste di ogni specie di animali” (De abstinentia, IV, 16).

La menzione delle donne “iene” (“tàs dé gunaikàs uàinas”) – quali partecipanti a questo culto misterico con l’attribuzione di una precisa corrispondenza animale -  è importante. Essa attesta che le donne erano, in qualche forma,  partecipi della ritualità di questa spiritualità misterica. E ancora piu’ significativa è la menzione delle “iene” subito dopo aver parlato dei “leones”e subito prima dei corvi, ossia fra il 4° e il 1° grado dei misteri mitriaci, a conferma della funzione ausiliaria e subalterna che le donne dovevano avere nella gerarchia di questa struttura misterica. La collocazione di tale riferimento alle donne non credo sia accidentale; gli Antichi non scrivevano a caso, soprattutto poi nel caso di un filosofo come Porfirio.

Peraltro tale posizione femminile va collocata nel quadro storico del suo tempo; la struttura della familia romana, ancora in età imperiale, era una struttura potestativa patriarcale, in cui la donna era subordinata all’uomo. Lo stesso isitituto del ripudio era riservato esclusivamente all’uomo nei confronti della donna, alla donna non essendo riconosciuta la stessa facoltà.

Le  corrispondenze fra i vari gradi e le qualità dei vari animali nonché l’uso di maschere animali corrispondenti ai vari gradi, lasciano scorgere un antico sostrato sciamanico di questa spiritualità, in cui ciascun grado ha un suo “spirito protettore”, che assume le forme di un animale che ne è la ierofania, la manifestazione corrispondente sul piano sensibile. In letteratura si è parlato spesso, a tale riguardo, di totemismo, cioè del culto di animali-totem, intesi appunto come entità protettrici in relazioni alle quali sussistevano determinati divieti, come quello di consumare la carne dell’animale totem.

Oggi, dopo gli studi e i contributi di Claude Levi-Strauss, il concetto di totemismo è stato superato, essendo troppo ampio, nel senso che andava a coprire fenomeni di culto molto diversi fra loro. La sacralità degli animali ed il loro culto resta tuttavia un dato fermo negli studi in materia. Essa  è un carattere comune a molte culture antiche, dall’antico Egitto alla civiltà minoica-cretese, dai popoli italici alla religione romana arcaica.

Infine si ha una iscrizione mitriaca (CIMRM,I 115), rinvenuta in Africa settentrionale, in Libia, che menziona una lea, ossia una donna che ha raggiunto il 4° grado dei misteri mitriaci. E’ una epigrafe già citata dal Cumont all’inizio del Novecento nella sua opera Les mystères de Mithra.

Si tratta di una epigrafe isolata, poiché tutte le altre – e sono numerose -  che sono state raccolte da oltre un secolo a questa parte, menzionano solo iniziati ai vari gradi di sesso maschile. Tuttavia questa epigrafe esiste e, se posta in relazione al passo di Porfirio che ho citato ed all’analisi svolta sull’iconografia mitriaca, sul mito cui rimanda e sul rapporto di reiterazione fra rito e mito, essa assume un valore indicativo che va oltre la sua apparente episodicità.

Qui entrano in gioco altre considerazioni. Il dio planetario tutore del grado di Leo era Giove, il dio sovrano; nel caso di una lea il probabile riferimento cultuale doveva essere Juno, che fa parte della triade capitolina, insieme a Giove ed a Minerva.

Sul piano della funzione liturgica, i leones erano preposti alla vivificazione del fuoco sacrale del tempio; essi sono rappresentati –  nel mitreo di Santa Prisca in Roma – in processione intorno ad un’ara sulla quale brucia un fuoco rituale ed alcune iscrizioni attestano il loro uso dell’incenso rituale in funzione purificatoria e quindi ancora  il loro rapporto col fuoco.

Le “leonesse” dovevano dunque essere preposte alla custodia del fuoco rituale, svolgendo nell’ambito del culto misterico una funzione analoga a quella che le Vestali svolgevano sul piano del culto pubblico. Si tratta di una funzione importante, poiché il fuoco è il centro, l’anima, la forza coesiva del collegio religioso misterico e non solo in senso simbolico.

Peraltro i gradi introduttivi erano i primi 3, per cui la posizione della donna quale lea è una posizione medio-alta, seppur comunque subordinata rispetto ai gradi maggiori.

Peraltro in varie epigrafi mitriache, già pubblicate dal Cumont alla fine dell’800, sono menzionate, soprattutto a Roma, coppie di coniugi in cui l’uomo è introdotto ai misteri mitriaci, mentre la donna è menzionata quale iniziata a quelli di Cibele caratterizzati dal taurobolium, ossia ancora il sacrificio del toro. In tali casi la partecipazione femminile alla spiritualità misterica avveniva nelle forme del culto di una dea – la Magna Mater – più consone alla natura femminile e alla correlazione fra donna e terra su cui il simbolismo delle culture antiche insisteva particolarmente.

E’ possibile che la posizione della donna fosse differenziata a seconda delle varie confraternite mitriache e delle varie aree geografiche. L’articolazione del culto misterico in tanti piccoli templi sotterranei può aver favorito forme di autonomia statutaria diverse da luogo a luogo. Ciò spiegherebbe la diversità dei dati fra l’epigrafe della Libia che menziona una lea e quelle di Roma ove le mogli degli iniziati ai misteri di Mithra erano collocate nell’ambito di culti misterici femminili come quello di Cibele.

In conclusione, è plausibile e ritengo scientificamente fondato ammettere, per il mithraismo romano, una seppur limitata partecipazione femminile ai misteri mitriaci, nei primi quattro gradi e in funzione subordinata e ausiliaria. Dire questo vuol dire rappresentare una situazione ben diversa rispetto a quella di un mitraismo riservato esclusivamente agli uomini.

Tale partecipazione riguardava i gradi minori, ossia i Piccoli Misteri, in linea con quanto avveniva nei Misteri greci e in consonanza con l’impostazione patriarcale della familia e della società romana.

Bibliografia commentata

La tesi del carattere maschile dei Misteri di Mithra si incontra nelle opere di Franz Cumont, già alla fine dell’Ottocento: Textes et monuments figurés relatifs aux Mystères de Mithra, I-II, Bruxelles, 1896-99: Les Mystères de Mithra, Bruxelles, 1913. I più recenti contributi contenuti negli Atti dei Convegni Internazionali di Studi Mitriaci non sembrano contenere, su questo punto, significative variazioni.

Nella letteratura esoterica d’indirizzo “tradizionale” la tesi del carattere esclusivamente maschile dei misteri mitriaci è stata sostenuta da J. Evola, La Via della realizzazione di sé  secondo i Misteri di Mithra (a cura di Stefano Arcella), Controcorrente, Napoli, 2007.

La lezione di Mircea Eliade sul rito quale reiterazione ed attualizzazione vivente del mito è esposta nel Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Milano, 1976 e nella Storia delle credenze e delle idee religiose, I-III, Sansoni, Firenze, 1979, per limitarmi soltanto ad alcune opere della vastissima produzione dello studioso rumeno.

La partecipazione della donna , in Grecia, ai Piccoli Misteri e non ai Grandi Misteri, è stata ribadita e sottolineata, in una lettura niente affatto dispregiativa dell’essere femminile, da Giuseppe Gorlani “Evola e la dottrina del Sanatana-dharma”, in AA.VV., Studi Evoliani 2010, “Evola  e la filosofia”,  pubblicato in www.fondazionejuliusevola.it.

Sulla tauromachìa mitriaca la letteratura è vastissima. Mi limito a citare, in questa sede, Reinhold Merkelbac, Mitra, Ecig, Genova, 1988 ed il mio testo I Misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica, Controcorrente, Napoli, 2002.

Per la letteratura sul culto della dea Luna e sul simbolo lunare, v. Robert Graves,  La dea bianca:grammatica storica del mito poetico, Adelphi, Milano, 2009.

Per la processione dei Leones raffigurata nel mitreo di Santa Prisca v. R.Merkelbach, op.cit., p.124 ss.

Sulle religioni misteriche si rimanda il lettore all’opera in due volumi Le religioni dei Misteri, I-II (a cura di Paolo Scarpi), Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, Milano, 2003. In quest’opera, nella sezione dedicata al mitraismo, è pubblicata anche l’unica epigrafe mitriaca rinvenuta in Libia, a Guicariche (vicino Tripoli), nella quale compare una donna. Al riguardo, v. in particolare, op.cit., II, p. 393 (E 17= CIMRM I, 115) e relativo commento p. 563.

Per il totemismo v. Claude Lévi-Strauss, Il totemismo oggi, Feltrinelli, Milano, 1991; ID., Il pensiero selvaggio, CDE, Milano, 1998.

Le epigrafi mitriache in cui compaiono, come dedicanti, coppie di coniugi e la donna è iniziata ai Misteri di Cibele sono consultabili nel II volume dell’opera di Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux Mystères de Mithra e, più specificamente, nella sezione dedicata alle epigrafi rinvenute a Roma. Cfr. anche il CIMRM, I-II, curato da Marten Vermaseren, Le Haje, 1956-1960.