Stati Uniti presi in contropiede dalle politiche energetiche euroasiatiche?
di F. William Engdahl - 13/07/2006
Strano, in modo del tutto silenzioso gli Stati Uniti vengono presi in contropiede nella loro ormai evidente strategia di controllo delle principali fonti di petrolio ed energia nel Golfo Persico, nel Mar Caspio, in Africa e oltre. La strategia di controllo globale dell’energia messa in atto dagli Stati Uniti, com’è ormai chiaro a molti, è stata la causa reale del cambiamento di regime in Iraq, pagato a caro prezzo, che ha portato a quella che viene eufemisticamente definita da Washington ‘democrazia’. Appena lo scorso 28 maggio George W. Bush ha ricominciato a divulgare il suo mantra della democrazia in occasione della cerimonia per il conferimento delle onorificenze all’Accademia militare di West Point, dichiarando che la sicurezza dell’America dipende dalla sua capacità di lottare anche con la forza per l’instaurazione della democrazia, soprattutto in Medioriente. ‘Questo è solo l’inizio’, ha dichiarato Bush. ‘Ora il messaggio si è diffuso da Damasco a Teheran: il futuro è libertà, e non ci daremo pace finché questa promessa di libertà non avrà raggiunto i popoli di ogni nazione.’ Se le cose continueranno a seguire l’andamento degli eventi più recenti, a diffondersi non sarà la democrazia ‘alla Bush’, ma piuttosto l’impatto della Russia e della Cina sulle principali riserve energetiche di petrolio e di gas. La lotta per il controllo energetico ha spinto Washington a fornire appoggio alle ‘rivoluzioni colorate’ ad alto rischio in Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Bielorussia e Kyrgystan negli ultimi mesi. Ed è questa stessa finalità che sta dietro all’intervento americano negli stati del Golfo di Guinea, in Africa Occidentale, così come in Sudan, a cui è destinato il 7% delle esportazioni di petrolio dalla Cina, o dietro alle trattative politiche vis-à-vis degli Stati Uniti con il Venezuela di Hugo Chavez e con la Bolivia di Evo Morales. Tuttavia, negli ultimi mesi questa strategia di dominio sulle risorse energetiche del globo quale priorità della politica americana ha mostrato di dare esiti in senso opposto a quello voluto: ha dato origine a una sorta di ‘coalizione di oppositori’, stati che continuano a non vedere altra prospettiva, malgrado le ataviche ostilità che li pongono l’uno contro l’altro, che quella di cooperare tutti insieme per ribellarsi all’avanzata degli Stati Uniti che vorrebbero assumere il controllo sulle loro risorse energetiche, unica garanzia di sicurezza per il futuro. A Washington c’è chi sta iniziando a rendersi conto di avere fatto una mossa non poi così intelligente, come è emerso dalle recenti dichiarazioni pubbliche nei confronti della Cina e della Russia, due nazioni la cui cooperazione è in qualche modo essenziale per il successo del progetto energetico globale degli Stati Uniti. L’attacco alla Cina e alla Russia Contrariamente a quanto suggerito da vecchi leader della Cina e anche dall’ex segretario di stato Henry Kissinger, che aveva pianificato l’apertura alla Cina nel 1972 durante il governo Nixon, la Casa Bianca ha negato al presidente cinese Hu Jintao, nel corso della sua visita negli Stati Uniti lo scorso aprile, l’onore di una vera cena di stato, riservandogli un posto a tavola solo per un breve pranzo. Hu è stato pubblicamente umiliato da un ben noto provocatore della setta falun gong alla conferenza stampa della Casa Bianca e ha subito altre umiliazioni del genere. In altre parole, la Casa Bianca ha accolto Hu con uno schiaffo in faccia diplomatico. Allo stesso tempo, il vicepresidente Dick Cheney, in un discorso pronunciato in Lituania all’inizio di maggio, ha offeso Putin, attaccando pesantemente e in modo del tutto evidente la sua politica in materia di diritti umani e di energia. In quell’occasione Cheney ha dichiarato che in Russia ‘il governo ha illegalmente e senza alcun diritto ristretto i diritti della popolazione’. E ha accusato la Russia di condurre una politica energetica fondata su ‘intimidazione e ricatto’. Alcuni giorni dopo, il segretario di stato Condoleezza Rice ha ribadito che la Russia dovrebbe essere ‘spinta’ a riformae democratiche.La Rice ha inferto un altro schiaffo alla Cina a marzo in occasione di un viaggio nel Sudest Asiatico, definendo la Cina una ‘forza negativa’ in Asia. È curioso il fatto che Washington abbia più volte accusato la Cina di “non seguire le regole del gioco” per quanto riguarda la sua politica petrolifera, dichiarando che la Cina è colpevole di aver ‘cercato di controllare le risorse energetiche alla fonte’, come se quella non fosse stata la politica portata avanti dagli stessi Stati Uniti per tutto il secolo scorso o quasi. La simultanea presa di mira della Russia e della Cina, i due giganti euroasiatici, l’uno il più grande investitore in fondi del Tesoro statunitensi, l’altro il numero due al mondo tra le potenze nucleari militarmente più sviluppate, riflette la consapevolezza da parte di Washington del fatto che la disputa per la dominazione globale possa non risolversi in modo così liscio come era stato originariamente promesso da diversi strateghi interni o esterni all’amministrazione Bush. La SCO sempre più influente Il 15 giugno, le nazioni che fanno parte della Shanghai Cooperation Organization, con a capo Cina e Russia, proporranno all’Iran di prendere parte come membro effettivo all’organizzazione. L’incontro si terrà a Shanghai. Anche se la piena adesione dell’Iran venisse posticipata rispetto ai tempi previsti, rimane il fatto che sia la Russia sia la Cina vogliono stringere legami più stretti con questo Paese nell’ambito della cooperazione energetica euroasiatica. La Shanghai Cooperation Organization, SCO, fu fondata nel giugno 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan. Lo scopo dichiarato era facilitare la “cooperazione nelle diverse sfere di ambito politico, economico e commerciale, tecnico-scientifico e culturale, così come nel settore energetico, in quello dei trasporti, del turismo e della protezione ambientale”. Di recente, comunque, la SCO sta iniziando a porsi come uno schieramento energetico-finaziario in Asia centrale sviluppatosi di proposito per opporsi all’egemonia statunitense. Negli ultimi mesi i membri dell’organizzazione hanno fatto notevoli passi avanti dal punto di vista strategico per prendere le distanze dagli Stati Uniti, rendendosi indipendenti sia dal punto di vista energetico, sia monetario. Uno sguardo alla mappa rivela l’entità della potenziale espansione della SCO. [Il teatro di guerra mediorientale. Blu= oleodotti realizzati. Celeste= oleodotti progettati. Arancione= regioni ricche di petrolio. Aerei/Navi= basi militari USA. Tratteggiato= teatri di guerre internazionali. 'Flash'= teatri di guerre regionali. Copyright Prof. Eric Waddell, Global Research, Tutti i diritti riservati. 2003] La geopolitica della Russia in materia di energia Nel suo recente discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente Putin ha annunciato che la Russia sta progettando di rendere il rublo convertibile nelle altre principali valute, come l’euro, e di usare il rublo per le transazioni economiche inerenti il petrolio e il gas. La convertibilità del rublo dovrebbe essere introdotta, secondo le ultime dichiarazioni della Russia, il 1° luglio 2006, sei mesi prima di quanto previsto in partenza. La Russia ha anche dichiarato che intende convertire in altro una parte delle sue considerevoli riserve di dollari e che userà 40 miliardi di dollari statunitensi per l’acquisto di riserve auree. La Transneft, compagnia statale russa di trasporto di combustibile, ha consolidato il controllo delle condutture in modo tale da diventare l’unica esportatrice di gas naturale dalla Russia. La Russia possiede le riserve naturali di gas di gran lunga più grandi del mondo, immediatamente seguita dall’Iran. Con l’ingresso dell’Iran, la SCO avrebbe il controllo della gran parte delle riserve di gas naturale del globo, così come di una porzione significativa delle riserve mondiali di petrolio, per non parlare del potenziale controllo dello Stretto di Hormuz, il corridoio attraverso il quale avviene il passaggio della gran parte delle petroliere verso il Giappone e l’Occidente. Alla fine di maggio è stato riportato dai mezzi di informazione che la Russia e l’Algeria, i due maggiori fornitori di gas all’Europa, hanno stipulato un accordo per incrementare la cooperazione in materia di energia. L’Algeria ha dato alle compagnie russe l’accesso esclusivo ai propri giacimenti petroliferi e di gas e Gazprom e Sonatrach coopereranno nella distribuzione di gas alla Francia. Putin ha cancellato i 4,7 miliardi di dollari di debito dell’Algeria nei confronti della Russia, gesto che l’Algeria contraccambierà con l’acquisto di moderni jet da combattimento, sistemi di difesa aerea e armi di produzione russa per un valore di 7,5 miliardi di dollari. Il 26 maggio il ministro della difesa russo Sergei Ivanov ha anche annunciato che la Russia fornirà all’Iran sofisticati missili antiaerei Tor-M1, gesto che secondo quanto riportato dovrebbe fare da preludio al rifornimento di armi ben più sofisticate. Dunque, in uno dei più affascinanti esempi di chutzpah geopolitica da parte della Russia di Putin in ambito energetico, Gazprom, il colosso controllato dal Cremino, ha dato inizio a silenziose negoziazioni con il primo ministro israeliano Ehud Olmert attraverso Benny Steinmetz, il miliardario amico di quest’ultimo, per assicurare i rifornimenti di gas naturale dalla Russia a Israele per mezzo di un condotto sottomarino che va dalla Turchia a Israele. Secondo il giornale israeliano “Yediot Ahronot”, l’ufficio di Olmert ha affermato che appoggerà il piano di Gazprom. Da anni Israele sopperisce alla carenza di gas di Tethys Sea attingendo alle risorse dell’Egitto. Il gas di Tethys Sea si esaurirà nel giro di pochi anni. Sono in corso trattative affinché la British Gas faccia rifornimento di gas da Gaza, ma Israele si oppone sostenendo che la compagnia BG non abbia il diritto di attingere alle sue risorse. Ma anche contando sull’Egitto e su Gaza, si prevede che entro il 2010 le risorse di gas tendano a esaurirsi, a meno che Israele riesca a trovare nuove fonti. E qui entrano in gioco Gazprom e Putin. Il gas sarebbe reincanalato attraverso le condutture sottoutilizzate Bluestream che collegano Russia e Turchia, costruite dalla Russia due anni fa per accrescere la propria influenza sulla Turchia. Naturalmente Putin cerca di far pressione su Israele per contrastare l’influenza americana a senso unico sulla politica di questo paese. In ascesa anche la geopolitica energetica della Cina Anche Pechino dal canto suo si sta muovendo per ‘procurarsi energia alla fonte’. Il boom economico della Cina, che ha registrato una crescita del 9%, richiede la disponibilità di ingenti quantità di risorse naturali. La Cina ha iniziato a importare petrolio in modo consistente nel 1993. Entro il 2045, dipenderà dalle importazioni di petrolio per il 45% del suo fabbisogno energetico. Il 26 maggio, il petrolio grezzo del Kazakistan ha iniziato a fluire verso la Cina attraverso una conduttura appena completata che va da Atasu, in Kazakistan, al Passo di Alataw, nello Xinjiang, provincia all’estremo ovest della Cina, un percorso lungo 1000 km inaugurato solo l’anno scorso. Questo oleodotto rappresenta il primo caso di fornitura diretta di petrolio alla Cina. Anche il Kazakistan è membro della SCO, ma Washington dopo il collasso dell’Unione Sovietica, l’ha sempre considerato entro la propria sfera di influenza essendovi la ChevronTexaco, la vecchia compagnia petrolifera di Condi Rice, come maggiore costruttrice nel campo petrolifero. Entro il 2011 tale oleodotto verrà esteso per un tratto di 3000 km fino a Dushanzi, dove i cinesi stanno costruendo la loro più grande raffineria di petrolio, il cui completamento è previsto per il 2008. La Cina ha finanziato il totale delle spese per l’oleodotto, un ammontare pari a 700 milioni di dollari e acquisterà il petrolio. Nel 2005 la compagnia petrolifera statale cinese ha acquistato la PetroKazakistan per 4,2 miliardi di dollari e la userà per sviluppare bacini petroliferi in Kazakistan. Inoltre, la Cina sta conducendo trattative con la Russia per riuscire a ottenere il rifornimento di petrolio nel Nordest della Cina attraverso un oleodotto proveniente dalla Siberia; tale progetto dovrebbe essere completato entro il 2008, insieme a quello di una conduttura di gas naturale diretta dalla Russia alla regione di Heilongjiang, nel nordest della Cina. La Cina ha appena superato il Giappone nella classifica dei maggiori importatori mondiali di petrolio, aggiudicandosi il secondo posto, subito dietro gli Stati Uniti. Pechino e Mosca stanno cercando di integrare le loro scelte economiche in materia di energia. Alla fine di Maggio la compagnia statale cinese Grid Corp ha annunciato che cercherà di quintuplicare le importazioni di elettricità dalla Russia entro il 2010. La Cina avanza anche negli stati africani del petrolio Nella sua instancabile ricerca di rifornimenti di petrolio “alla fonte” per sopperire al fabbisogno energetico futuro, la Cina si è mossa anche in direzione dei consolidati domini petroliferi americani, inglesi e francesi in terra d’Africa. Oltre a essere il principale sfruttatore dell’oleodotto in Sudan, da cui proviene il 7% delle importazioni cinesi di petrolio, Pechino si sta dando da fare anche in Africa Occidentale, negli stati confinanti con il Golfo di Guinea, zona assai ricca di petrolio a basso quantitativo di zolfo e venduto a caro prezzo. Dalla creazione del Forum Cina-Africa nel 2000, la Cina ha ridotto le tariffe di 190 beni importati da 28 dei Paesi meno sviluppati dell’Africa e ha cancellato 1,2 miliardi di debito che pesava su questi Paesi. A conferma del fatto che la Cina sta conducendo una corsa al tutto e per tutto contro l’abituale controllo occidentale degli Stati africani sotto la guida del FMI, la banca cinese di import-export ha di recente fatto un prestito di 2 miliardi di dollari all’Angola. Il governo di Luanda ha ricambiato il favore concedendo alla Cina di condurre esplorazioni alla ricerca di giacimenti di petrolio nelle acque basse al largo delle sue coste. Il prestito verrà impiegato per portare avanti progetti di infrastrutture. Al contrario, l’interesse statunitense per un’Angola devastata dalla guerra raramente è andato oltre la ben fortificata enclave petrolifera di Cabina, dove l’ExxonMobil e la Shell Oil hanno dominato incontrastate fino a poco tempo fa. Questo apparentemente cambierà con la crescita dell’interesse cinese in quest’area. I progetti cinesi in corso, ovvero la realizzazione di infrastrutture in Angola, comprendono ferrovie, strade, una rete a fibra ottica, scuole, ospedali, uffici e 5000 unità abitative. Si sta anche pianificando la costruzione di un nuovo aeroporto con voli diretti Luanda-Pechino. Indirettamente, attraverso il suo sostegno al governo sudanese, la Cina sta conducendo anche un gioco ad alto rischio nel potenziale cambio di regime del Ciad, paese ricco di petrolio. All’inizio di quest’anno, Paul Wofowitz, ‘uomo forte’ della World Bank è stato costretto a rinunciare al suo progetto che prevedeva la sospensione degli aiuti al Ciad, dopo che questo piccolo paese aveva minacciato di sospendere le esportazioni di petrolio. La ExxonMobil è attualmente la principale compagnia di petrolio attiva in Ciad. Ma il Sudan respinge i ribelli del Ciad, ai quali era stato solo impedito di rovesciare il regime notoriamente corrotto e impopolare del presidente Idriss Deby da 1500 soldati francesi sostenitori del regime di Deby. Washington si è unita a Parigi nell’opposizione a Deby. Il Sudan ha coinvolto la Cina, invece che le imprese occidentali, nell’estrazione petrolifera nei propri giacimenti, a seguito delle poco lungimiranti sanzioni americane imposte nel 1997, che impedirono alle compagnie petrolifere americane di condurre affari con il Sudan. Un nuovo regime sotto il controllo del Sudan in Ciad creerebbe intralcio all’oleodotto Ciad-Cameroon e alle compagnie petrolifere occidentali. Si può immaginare che la Cina sia interessata a colmare questo vuoto sostenendo il Ciad nella produzione di petrolio, soprattutto se riuscisse a fare la parte del leone traendone i dovuti vantaggi. Subito dopo la sua spiacevole visita diplomatica a Washington ad aprile, in occasione della quale Hu Jintao è stato accolto dalla diplomazia della Casa Bianca con una raffica di insulti e volgarità, il presidente cinese è stato in Nigeria, paese a lungo considerato da Washington propria sfera di interesse per quanto riguarda il petrolio. [Hu Jintao in Nigeria] In Nigeria, il paese africano più ricco di petrolio, Hu ha firmato un accordo con il governo locale che prevede che la Nigeria assicuri alla Cina quattro licenze di estrazione di petrolio in cambio dell’impegno a investire 4 miliardi di dollari in infrastrutture. La Cina acquisterà una quota consistente della raffineria nigeriana Kaduna che produce 110.000 barili al giorno e costruirà ferrovie e centrali elettriche, ma acquisterà anche il 45% dei 130 campi petroliferi e di gas naturale in mare aperto della OML, che il presidente della compagnia petrolifera cinese CNOOF ha definito “un giacimento di petrolio e gas di enorme interesse… situato in uno dei bacini di petrolio e di gas più grandi al mondo”. Quasi l’intera produzione di petrolio attuale della Nigeria è controllata da multinazionali occidentali. Ma la situazione cambierà presto a favore della Cina. La Cina, analogamente a quanto fatto con la Nigeria, ha offerto investimenti in infrastrutture e in energia al Gabon, alla Costa d’Avorio, alla Liberia e alla Guinea Equatoriale. La curiosa accusa indirizzata alla Cina, il “non rispettare le regole” e il “cercare di assicurarsi l’energia alla fonte”, inizia a sembrare reale nel momento in cui si considerano le sue mosse insieme a quelle più recenti intraprese dalla Russia in materia di energia. Le conclusioni di Washington? Oops… Non sorprende che Washington stia iniziando ad allarmarsi. All’improvviso, la schiera dei potenziali “nemici” non è più ristretta ai paesi islamici della Guerra al Terrorismo. Il principale ideologo neoconservatore americano Robert Kagan ha scritto di recente sul “Washington Post” un importante editoriale. Si presume che Kagan sia al corrente di quali sono i pensieri che circolano tra le alte sfere di Washington, dal momento che sua moglie, Victoria Nuland, prima di essere nominata ambasciatrice americana alla NATO, è stata tra i consiglieri per la sicurezza nazionale del vicepresidente Cheney. Kagan ha dichiarato, riferendosi alla Russia e alla Cina, che “Finora la strategia liberale dell’Occidente è stata quella di integrare queste due potenze nell’ordine internazionale liberale, così da ammansirle e renderle terreno fertile per il liberalismo”. Kagan è stato fra i fondatori del lungimirante Progetto per il Nuovo Secolo Americano (Project for the New American Century, PNAC) alla fine degli anni ’90, che tra gli altri obiettivi aveva quello di rinforzare le forze armate statunitensi e forzare il cambiamento di regime in Iraq, e questo già un anno prima dell’attacco dell’11 settembre 2001. “Se invece – continua Kagan nel suo articolo – nei prossimi decenni Cina e Russia si porranno come risolute sostenitrici dell’autocrazia, e saranno stabili e persino prospere, allora non ci si potrà aspettare che abbraccino l’ideale dell’Occidente, che vorrebbe vedere l’umanità evolvere inesorabilmente verso la democrazia e la fine dei regimi autocratici”. Kagan ha accusato la Cina e la Russia di essersi poste come protettrici di una “informale alleanza di dittatori nel mondo”, alleanza che includerebbe, tra i tanti, anche i capigoverno di Bielorussia, Uzbekistan, Birmania, Zimbabwe, Sudan, Venezuela, Iran e Angola. Questi, secondo Kagan, così come i leader di Russia e Cina, oppongono ogni resistenza all’intervento dell’Occidente nei loro affari interni tramite sanzioni e altri mezzi. “Il problema è adesso che cosa decideranno di fare Stati Uniti ed Europa in risposta”, scrive ancora Kagan. “Sfortunatamente, al-Qaeda non è l’unica sfida che il liberalismo deve affrontare oggi, e neppure la più grande”. La questione, come afferma saggiamente Kagan, è che cosa Stati Uniti ed Europa possono fare in risposta. La genialità della strategia di Washington sta mostrando i suoi lati più deboli. Il più importante organismo di politica estera statunitense, il New York Council on Foreign Relations, di recente ha preso in considerazione la questione dell’accanita ricerca di fonti energetiche da parte della Cina. In un rapporto recente, il CFR accusa l’amministrazione Bush di non aver provveduto a mettere a punto alcuna strategia a lungo termine per l’Africa. Viene criticata l’eccessiva attenzione a questioni umanitarie come il problema del Darfur, nel Sudan meridionale, mentre si insiste sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero occuparsi dei “propri crescenti interessi nazionali nel continente”. Quali interessi? Il CFR pone al primo posto il petrolio e il gas; al secondo la competizione con la Cina (strettamente legata al primo punto). Oops… F. William Engdahl è Contributing Editor di Global Research e autore del libro A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order, ['Un Secolo di Guerra: la Politica Petrolifera Anglo-Americana e il Nuovo Ordine Mondiale' n.d.t.], Pluto Press Ltd. Sta per pubblicare un libro sugli OGM intitolato eeds of Destruction: The Hidden Political Agenda Behind GMO ['Semi di Distruzione: l' Agenda Politica Nascosta Dietro gli OGM' n.d.t.]. Può essere contattato attraverso il suo sito web www.engdahl.oilgeopolitics.net . Fonte: http://www.globalresearch.ca/ Link 03.06.2006 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STEFANIA ANTRO |