Robert Alexander Nisbet (1913-1996) è una delle figure più interessanti della sociologia americana della seconda metà del Novecento. E’ difficile ricondurlo a una scuola sociologica precisa: funzionalismo, conflittualismo, eccetera. Tuttavia la sua opera può essere avvicinata a quella di un pensatore sociale della statura di Alexis de Tocqueville. Quel che li unisce è il pluralismo sociale: l’attenzione per i gruppi sociali intermedi (famiglia, scuola, comune, associazioni), e di riflesso, la critica liberale verso l’eccessivo potere di Stato e Mercato. Un interesse risalente alla sua tesi di dottorato, diretta da Frederick Teggart, il suo maestro (un importante storico e filosofo americano), intitolata appunto, The Social Group in French Thought.
Robert Alexander Nisbet nasce nel 1913, a Los Angeles. La sua famiglia è di modeste condizioni sociali. E’ il primo di tre figli. Trascorre però la sua fanciullezza nella cittadina di Maricopa nel deserto californiano, di cui scopre e soffre i rigori. Intelligentissimo, portato allo studio, grazie anche a un famiglia che lo sprona a dare a scuola il meglio di sé, Nisbet, appena adolescente - così almeno narra la leggenda - dopo aver visitato l’ Università della California, pieno di sincero entusiasmo, giura a se stesso, di iscriversi un giorno a Berkeley.
E così sarà. Nel 1932 si iscrive alla Facoltà di Storia e Filosofia. E inizia a correre come un treno: nel 1936, consegue il B.A., nel 1937 il M.A, nel 1939 il Ph.D. Lo stesso anno incomincia a insegnare come “istructor” nella Dipartimento di Istituzioni Sociali, che poi diverrà Dipartimento di Sociologia. Ma solo nel 1953 diventa professore effettivo, a quarant’anni. Nel 1956-57 viene in Italia per insegnare all’Università di Bologna. Nel 1963-64 insegna a Princeton. Nel 1972, lascia l’Università della California, per passare, prima all’ Università dell’Arizona , e poi, appena due anni dopo, alla Columbia, dove diviene, e non solo per i buoni uffici del suo amico Robert K. Merton, "Albert Schweitzer Professor". Nel 1973 diviene membro dell’ American Philosophical Society: questa nomina la dice lunga sulla natura riccamente filosofica delle sua sociologia. Dal 1978 al 1986, dopo aver chiuso in bellezza la sua carriera universitaria, come “Professore Emerito” della Columbia, Nisbet inizia a collabora con l’ American Enterprise Institute for Public Policy Research. Un'istituzione in seguito divenuta una sorta fucina del pensiero conservatore americano.
Robert Alexander Nisbet nasce nel 1913, a Los Angeles. La sua famiglia è di modeste condizioni sociali. E’ il primo di tre figli. Trascorre però la sua fanciullezza nella cittadina di Maricopa nel deserto californiano, di cui scopre e soffre i rigori. Intelligentissimo, portato allo studio, grazie anche a un famiglia che lo sprona a dare a scuola il meglio di sé, Nisbet, appena adolescente - così almeno narra la leggenda - dopo aver visitato l’ Università della California, pieno di sincero entusiasmo, giura a se stesso, di iscriversi un giorno a Berkeley.
E così sarà. Nel 1932 si iscrive alla Facoltà di Storia e Filosofia. E inizia a correre come un treno: nel 1936, consegue il B.A., nel 1937 il M.A, nel 1939 il Ph.D. Lo stesso anno incomincia a insegnare come “istructor” nella Dipartimento di Istituzioni Sociali, che poi diverrà Dipartimento di Sociologia. Ma solo nel 1953 diventa professore effettivo, a quarant’anni. Nel 1956-57 viene in Italia per insegnare all’Università di Bologna. Nel 1963-64 insegna a Princeton. Nel 1972, lascia l’Università della California, per passare, prima all’ Università dell’Arizona , e poi, appena due anni dopo, alla Columbia, dove diviene, e non solo per i buoni uffici del suo amico Robert K. Merton, "Albert Schweitzer Professor". Nel 1973 diviene membro dell’ American Philosophical Society: questa nomina la dice lunga sulla natura riccamente filosofica delle sua sociologia. Dal 1978 al 1986, dopo aver chiuso in bellezza la sua carriera universitaria, come “Professore Emerito” della Columbia, Nisbet inizia a collabora con l’ American Enterprise Institute for Public Policy Research. Un'istituzione in seguito divenuta una sorta fucina del pensiero conservatore americano.
Muore di cancro nel 1996.
Due sono i principali filoni di ricerca seguiti da Nisbet.
Il primo riguarda, come abbiamo detto, lo studio dei gruppi sociali intermedi. Il testo di riferimento è The Quest for Community: A Study in the Ethics of Order and Freedom (1953, trad. it. La Comunità e lo Stato, Edizioni di Comunità, Milano 1957, intr. di Franco Ferrarotti). Nel libro Nisbet illustra la necessità di preservare, tra Stato e Mercato, una sfera di libertà, basata su un tessuto di relazioni comunitarie, dalla scuola alla famiglia, dall’amministrazione locale alla piccola impresa economica. Secondo Nisbet, la vera libertà è soprattutto responsabilità, verso chi dipende, o comunque è in relazione con noi: verso i propri cari, verso i vicini, verso i giovani, verso i propri dipendenti, verso la propria comunità locale, eccetera. E quanto più Stato e Mercato “deresponsabilizzano” l’individuo, tanto più lo rendono schiavo delle grandi istituzioni politiche ed economiche contemporanee: dallo stato welfarista alla “big corporation”.
Il secondo filone concerne la storia della sociologia e quella delle idee. Spicca su tutti The Sociological Tradition (1967, trad. it. La tradizione sociologica, La Nuova Italia, Firenze 1977). E’ probabilmente la migliore storia delle origini otto-novecentesche della sociologia. Attraverso la serrata analisi di cinque idealtipi fondamentali (comunità, autorità, status, sacro, alienazione), Nisbet illustra come la sociologia vada interpretata (e positivamente) alla stregua di un lento processo di individuazione e spontanea ricostituzione (dal basso) di quelle forme pluralistiche di solidarietà, andate perdute a causa dei mdoerni processi di secolarizzazione culturale, politica ed economica Sostanzialmente, per Nisbet, la sociologia deve studiare non quel che cambia nell’uomo, ma quel che resta di storicamente e sociologicamente immutato. In questo senso la sua sociologia può essere definita realista e conservatrice. Ma sarebbe errato e riduttivo, come per Tocqueville, considerarla solo tale. Si veda in proposito di Nisbet, Conservatism. Dream and Reality (1986), Transaction Publishers, New Brunswick (U.S.A) and London (U.K.) 2002, dove insiste sull’aspetto societario e pluralistico (e non monistico: una tradizione, uno stato, eccetera) del suo conservatorismo.
Un autore tutto da scoprire. E soprattutto da non lasciare assolutamente “nelle mani” del cosiddetto pensiero anarcoliberale. Che del sociologo americano non ha capito assolutamente nulla: in Nisbet, il dato sociale prioritario è costituito dal nesso individuo-società, e non dall’individuo in quanto tale. E quanto più politica ed economia recidono tale nesso, tanto più l’ individuo rischia di perdere la sua libertà come prolungamento (ecco il nesso sociale) del suo senso di responsabilità verso l’altro.
Robert A. Nisbet ha scritto una ventina libri e più di centocinquanta articoli scientifici. Tra le sue opere principali, oltre a quelle citate, ricordiamo: Tradition and Revolt (Random House, New York 1968), Social Change and History (1969, trad. it. Storia e cambiamento sociale, Isedi, Milano 1977), Twilight of Authority (Oxford University Press, New York 1975), Sociology as an Art Form, 1976, trad. it. La sociologia come forma d'arte, Armando Editore, Roma 1981), The Social Bond (Knopf, New York 1977), History of Idea of Progress (Basic Books, New York 1980), Prejudices: A Philosophical Dictionary (Harvard University Press, Cambridge 1983), The Making of Modern Society ( New York University Press, New York 1989). Su Nisbet si veda Brad Lowell Stone, Robert Nisbet: Communitarian Tradizionalist (2000 - www.isi.org/books/ ), testo di orientamento conservatore.
Due sono i principali filoni di ricerca seguiti da Nisbet.
Il primo riguarda, come abbiamo detto, lo studio dei gruppi sociali intermedi. Il testo di riferimento è The Quest for Community: A Study in the Ethics of Order and Freedom (1953, trad. it. La Comunità e lo Stato, Edizioni di Comunità, Milano 1957, intr. di Franco Ferrarotti). Nel libro Nisbet illustra la necessità di preservare, tra Stato e Mercato, una sfera di libertà, basata su un tessuto di relazioni comunitarie, dalla scuola alla famiglia, dall’amministrazione locale alla piccola impresa economica. Secondo Nisbet, la vera libertà è soprattutto responsabilità, verso chi dipende, o comunque è in relazione con noi: verso i propri cari, verso i vicini, verso i giovani, verso i propri dipendenti, verso la propria comunità locale, eccetera. E quanto più Stato e Mercato “deresponsabilizzano” l’individuo, tanto più lo rendono schiavo delle grandi istituzioni politiche ed economiche contemporanee: dallo stato welfarista alla “big corporation”.
Il secondo filone concerne la storia della sociologia e quella delle idee. Spicca su tutti The Sociological Tradition (1967, trad. it. La tradizione sociologica, La Nuova Italia, Firenze 1977). E’ probabilmente la migliore storia delle origini otto-novecentesche della sociologia. Attraverso la serrata analisi di cinque idealtipi fondamentali (comunità, autorità, status, sacro, alienazione), Nisbet illustra come la sociologia vada interpretata (e positivamente) alla stregua di un lento processo di individuazione e spontanea ricostituzione (dal basso) di quelle forme pluralistiche di solidarietà, andate perdute a causa dei mdoerni processi di secolarizzazione culturale, politica ed economica Sostanzialmente, per Nisbet, la sociologia deve studiare non quel che cambia nell’uomo, ma quel che resta di storicamente e sociologicamente immutato. In questo senso la sua sociologia può essere definita realista e conservatrice. Ma sarebbe errato e riduttivo, come per Tocqueville, considerarla solo tale. Si veda in proposito di Nisbet, Conservatism. Dream and Reality (1986), Transaction Publishers, New Brunswick (U.S.A) and London (U.K.) 2002, dove insiste sull’aspetto societario e pluralistico (e non monistico: una tradizione, uno stato, eccetera) del suo conservatorismo.
Un autore tutto da scoprire. E soprattutto da non lasciare assolutamente “nelle mani” del cosiddetto pensiero anarcoliberale. Che del sociologo americano non ha capito assolutamente nulla: in Nisbet, il dato sociale prioritario è costituito dal nesso individuo-società, e non dall’individuo in quanto tale. E quanto più politica ed economia recidono tale nesso, tanto più l’ individuo rischia di perdere la sua libertà come prolungamento (ecco il nesso sociale) del suo senso di responsabilità verso l’altro.
Robert A. Nisbet ha scritto una ventina libri e più di centocinquanta articoli scientifici. Tra le sue opere principali, oltre a quelle citate, ricordiamo: Tradition and Revolt (Random House, New York 1968), Social Change and History (1969, trad. it. Storia e cambiamento sociale, Isedi, Milano 1977), Twilight of Authority (Oxford University Press, New York 1975), Sociology as an Art Form, 1976, trad. it. La sociologia come forma d'arte, Armando Editore, Roma 1981), The Social Bond (Knopf, New York 1977), History of Idea of Progress (Basic Books, New York 1980), Prejudices: A Philosophical Dictionary (Harvard University Press, Cambridge 1983), The Making of Modern Society ( New York University Press, New York 1989). Su Nisbet si veda Brad Lowell Stone, Robert Nisbet: Communitarian Tradizionalist (2000 - www.isi.org/books/ ), testo di orientamento conservatore.