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Riformismo radicale e Rivoluzione culturale: la via di mezzo che dobbiamo percorrere

di Paolo Bartolini - 30/04/2012

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Ormai da tempo avverto come insufficienti tutte le soluzioni politiche alla Crisi che non riconoscano l’esigenza, a monte, di una rivoluzione culturale, capace di ampliare la coscienza individuale e collettiva in vista di un superamento delle logiche quantitative del sistema in cui viviamo. Per questo sento una distanza incolmabile sia dai partiti attualmente accampati nel nostro Parlamento, che dalle compagini antisistema alla ricerca continua di una qualche idea radicale che possa sconvolgere gli equilibri esistenti a prescindere dal consenso di larghi strati della popolazione e dalla realisticità della proposta.

Registro invece con piacere l’esistenza di piccoli cambiamenti diffusi ovunque, sul piano etico e negli stili di vita, capaci di delineare sin d’ora una società “altra”, dove sia possibile vivere altrimenti. Com’è noto, purtroppo, queste innumerevoli buone pratiche sembrano ancora incapaci di unificarsi producendo un progetto politico all’altezza della Transizione che stiamo attraversando. In tal modo esse prefigurano un futuro possibile ma lo affidano solo alla configurazione alquanto fragile delle scelte individuali.

Da qui mi sembra nasca l’emergenza attuale, che mostra l’insufficienza cronica sia della logica delle “nicchie conviviali” che della politica tradizionale. Rete e Organizzazione, ecco due aspetti che bisognerà presto riconciliare in vista di un nuovo soggetto politico che sia capace di fronteggiare il collasso della civiltà dell’accumulazione economica (o capitalismo globale). Sarà necessario, inoltre, che le diverse posizioni in campo si riescano a parlare, trascendendo gli interessi particolari e le certezze assolute. D’altronde negli ultimi vent’anni, quelli della globalizzazione neoliberista, il movimentismo né la tradizionale forma partito sono stati capaci di trasformare l’esistente in profondità. Questo è un dato di fatto, incontrovertibile, da cui tutti dovremmo ripartire.

Ragionando su questi temi, e grazie ad alcuni suggerimenti del filosofo Romano Màdera, a cui mi lega una cordiale amicizia epistolare, sono pervenuto ad una specie di slogan riassuntivo che rendesse conto di queste mie impressioni e le traducesse in un piano d’intenti. L’espressione che ho scelto è “Riformismo radicale e Rivoluzione culturale”.

Questa a me pare l’unica strada percorribile per coniugare realismo e utopia, riconoscendo i concreti rapporti di forza che plasmano la nostra società.

Tale via ci rammenta che la politica organizzata deve continuare a giocare un suo ruolo importante, a patto che non si illuda di capovolgere – in assenza di una ampia massa critica – le leggi dominanti dell’odierno finanzcapitalismo. Esse, piuttosto, vanno contrastate, riformate e modificate in ogni occasione istituzionale che consenta di farlo, purché si accetti che la priorità è e resta quella di costruire finalmente il protagonista sociale collettivo che possa sostenere politiche ancora più ambiziose di superamento dello stato di cose presenti. Purtroppo un soggetto siffatto è ancora da individuare, formare e orientare verso il cambiamento. Si illude, tuttavia, chiunque pensi che sia la politica, da sola, a poter compattare le infinite soggettività sperdute che resistono quotidianamente alla mercificazione della vita in ogni suo aspetto.

E con questo arrivo a ciò che mi sta più a cuore: la rivoluzione culturale. Il crollo del comunismo, inteso come alternativa organica al sistema capitalistico, ci ha lasciato ormai privi di una prospettiva unificante. Nei fatti l’esplosione della supernova del socialismo reale ha disperso frammenti luminosi in tutte le direzioni. Questo spiega perché l’ecologismo, le istanze delle donne, i cammini di liberazione religiosi e non, gli stili di vita improntati alla sobrietà e al consumo critico, insieme a mille altre forme di “alternativa” etica, spirituale e comportamentale, rappresentano oggi – ci piaccia o meno - la base più ampia per ripensare e ri-sognare una convivenza pacifica, sostenibile e solidale. Da questi mondi, cangianti e spesso contradditori, dobbiamo aspettarci la rivoluzione culturale che sola può sostenere una nuova politica di riformismo radicale del sistema vigente.

Lavorare contemporaneamente e consapevolmente su entrambi i terreni (quello politico e quello culturale-filosofico-spirituale), significa dunque abbandonare la fretta di stravolgere il mondo, dando piuttosto un senso profondo a ciò che già si sta facendo, anche se è destinato nell’immediato ad una dura sconfitta. Ma soprattutto significa imparare a trascendere sempre di più la visione ristretta del nostro io, che desidera tutto e subito, e che pensa di avere Ragione invece di portare ragioni nel dialogo con gli altri. Non so se, come mi diceva Màdera in un nostro recente scambio di email, questo cambiamento antropologico richiederà secoli. Una cosa però è sicura: solo nel presente si costruisce il futuro. Ed è il presente che va cambiato, qui ed ora, dentro ognuno di noi.