I misteri di Iside e Osiride
di Stefano Arcella - 13/07/2006
Le fonti e la storia: dall’antico Egitto all’Impero romano
Le fonti
Erodoto visita l’Egitto verso la metà del V sec. a.C. quando il regno dei faraoni, già da circa settantacinque anni (dal 525 a.C.) è dominato dai Persiani e i suoi abitanti, per reazione alla dominazione straniera, intensificano le manifestazioni più marcate della loro religione e, in particolare, della loro devozione verso Iside e Osiride.
Lo storico greco viene ammesso ad assistere a molte feste ed a visitare molti templi. Nelle sue Storie egli assimila Iside a Demetra e Osiride a Dioniso, per effetto delle affinità delle rispettive narrazioni mitiche, ma mantiene un contegno riservato sui rituali visti nei templi, poiché quella civiltà antica, con la sua storia millenaria e la sua solennità ieratica, gli ispira, come in ogni greco di quel tempo, un sentimento di profonda venerazione. La lingua della solenne liturgia del culto di Osiride è quella egizia, ma l’area di diffusione del culto non va oltre i confini di quello che era stato il dominio politico dei faraoni. E’, quello di Osiride, il culto più uniformemente diffuso in Egitto, la sua vera anima, il suo centro di coesione; esso ha radici antichissime ed alcuni aspetti dei suoi rituali sono d’ambito strettamente faraonico.
La testimonianza di Erodoto è la più antica, fra le fonti greche, sul culto di queste due divinità; ad essa, nel corso dei secoli, si aggiungeranno altre fonti, da Diodoro Siculo a Plutarco – quest’ ultimo con la sua opera De Iside et Osiride – ad Apuleio che, nelle sue Metamorfosi, descrive la sua esperienza d’iniziazione ai Misteri isiaci, fino a Porfirio, che rilegge i Misteri isiaci ed osiridei alla luce della filosofia neoplatonica, per giungere poi ai polemisti cristiani che, nella loro critica demolitrice dell’antico “paganesimo”, si adoperano per evidenziare quelle che considerano le incongruenze e gli aspetti “grotteschi” di questa antica spiritualità egizia, dimostrando, talvolta, scarsa comprensione per una differente sensibilità religiosa.
Abbiamo una considerevole varietà di fonti, unitamente ai testi religiosi egizi, quali il Libro dei Morti e il Libro delle Piramidi, solo per citarne alcuni; tuttavia sappiamo poco del contenuto effettivo inerente al nucleo centrale dei Misteri isiaci, sul quale gli scrittori antichi, greci e latini d’età ellenistica ed imperiale, parlano poco, in osservanza della regola del segreto iniziatico cui sono tenuti tutti coloro che sono stati introdotti all’esperienza misterica.
Vi è quindi una diversità fra il comportamento di Erodoto - il cui silenzio non è legato ad un’iniziazione misterica ma ad un rispetto reverenziale - e quello degli autori più recenti; si tratta di una diversità legata all’evoluzione storica del culto isiaco e di quello osirideo, sulla quale occorre soffermarsi, trattandosi di una storia lunga e complessa.
Il culto e la sua storia
Nella storia del culto di Iside e Osiride, la letteratura distingue due fasi diverse. La prima ha un ambito strettamente egiziano; alcuni aspetti del mito di Osiride e, soprattutto, del rituale, sono il fondamento della legittimazione sacrale del potere, della consacrazione della regalità faraonica. In linea più generale, essi hanno la loro radice nell’attenzione che gli antichi Egizi hanno per il post-mortem e le sorti dell’anima.
La seconda fase è, invece, ellenistica, in cui, per effetto delle conquiste di Alessandro Magno, la cultura e la religione greca s’incontrano con quella egizia, come con altre, da quella babilonese a quella persiana, fino ai contatti ed agli interscambi con l’India. In questo periodo storico, i seguaci del culto non si reclutano soltanto nella terra d’Egitto, ma in tutto il mondo ellenistico e, poi, in tutto il mondo greco-romano. La dea Iside assume, inoltre, una posizione prioritaria nelle menzioni rituali e nella devozione e questa è una differenza importante rispetto al periodo precedente. I riti, pur essendo sostanzialmente gli stessi, hanno volto il loro originario carattere funerario a quello di pegno per l’immortalità beata di coloro che vi sono introdotti. In altri termini, dal rituale di sostegno in favore del defunto che deve affrontare le prove del post-mortem, secondo la concezione espressa nel Libro dei Morti, si passa al rituale in funzione di preparazione in vita al post-mortem e quindi di esperienza della vicenda di morte e rinascita, come narra Apuleio. Il mito di Osiride smembrato da Tifone-Seth e ritrovato e ricomposto da Iside, sorella e sposa di Osiride, diviene il modello e il fondamento di due rituali diversi nelle loro funzioni e finalità. Dal rito funerario si passa quindi al rito misterico ed alle conseguenti procedure d’iniziazione. Il culto isiaco-osirideo si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo e i santuari isiaci si ritrovano in tutte le più importanti città del mondo antico e, soprattutto, in quelle marittime, dove, per effetto dei traffici, è più frequente la presenza di mercanti egiziani provenienti da Alessandria, il più importante emporio marittimo del mondo antico. In Italia, la sua presenza è attestata a Puteoli sin dalla fine del II secolo a. C, nonché a Pompei, nel corso del I secolo a.C ed a Neapolis, dove è presente una colonia alessandrina, nella regio Nilensis, di cui tuttora la toponomastica cittadina conserva il ricordo (Via Nilo). Dalla Campania il culto dev’essere penetrato a Roma, già intorno all’80 a.C. , ai tempi di Silla, periodo per il quale è attestata una confraternita di Pastofori, secondo la testimonianza di Apuleio (Metamorfosi, 11, 30).
Fra romanità conservatrice e romanità cosmopolita
A Roma il culto conosce vicende alterne, legate alle diverse tendenze culturali, religiose e politiche interne alla società romana e, quindi, al loro diverso modo di porsi rispetto a certi culti stranieri. Sul finire della Respublica (I sec.a.C.), il governo, allarmato dal numero dei seguaci che il culto raccoglieva nei ceti più popolari, tenta invano di arginare il fenomeno.
E’ una linea politico-religiosa in parte analoga a quella che era stata adottata, molto tempo prima, nei confronti del culto dionisiaco, quando il Senato romano, col Senatusconsultum de bacchanalibus del 189 a. C., aveva proibito questi riti orgiastici notturni, peraltro segnati dalla problematica preminenza, dal punto di vista della mentalità patriarcale romana, del ruolo sacerdotale femminile.
La preoccupazione della classe dirigente romana, in quel caso, concerneva l’infiacchimento e la mollezza che quei rituali potevano suscitare nella gioventù romana, allontanandola dallo spirito virile e combattivo che aveva consentito a Roma, insieme ad un complesso di altri fattori, di assumere e consolidare un ruolo egemone in Italia prima e nel Mediterraneo poi. Il problema, in quel caso, era stato politico e religioso al tempo stesso, ma anche di costume e di cultura. Per il culto isiaco, oltre un secolo dopo, il problema si pone per la lontananza del fervore devozionale dei seguaci della dea rispetto alla tradizionale gravitas romana.
Nel 58, nel 56, nel 54 e nel 50 si hanno vari provvedimenti di soppressione delle associazioni isiache e del loro culto. La frequenza stessa di questi provvedimenti dimostra la loro inefficacia e la persistenza ed il radicamento del culto. Nel 50 il console Paolo Emilio, non trovando nessuno che volesse eseguire il provvedimento, afferra egli stesso l’ascia per piantarla nella porta del tempio isiaco di cui era stata ordinata la distruzione, stando alla testimonianza di Valerio Massimo (I, 3). Nel 48, Iside e Serapide sono di nuovo oggetto di culto sul Campidoglio e nel 43 i triumviri, forse per conquistare i favori del popolo, decretano un tempio ad Iside e Serapide.
Augusto, pur avendo una nota ostilità verso l’Egitto e tutte le sue manifestazioni (memore dell’aiuto trovato da Antonio nel regno di Cleopatra) e pur attuando un programma di restaurazione dei culti e dei sacerdozi della religione romana arcaica, non si spinge fino a proibire il culto isiaco, ma lo relega fuori del pomerio, la cinta sacra dell’Urbe. Tiberio ha invece un atteggiamento più deciso e chiaro, ordinando la demolizione del tempio di Iside e facendo gettare nel Tevere il simulacro della dea. Ben diverso è l’atteggiamento degli imperatori successivi, quali Caligola e Claudio, i quali favoriscono il culto isiaco, nonché Nerone che mostra una speciale preferenza per le divinità egizie.
Vespasiano e Tito trascorrono nel tempio di Iside la notte che precede la cerimonia del loro trionfo sui Giudei, come narra lo storico Giuseppe Flavio (Bellum Judaeum, 7, 5, 4). Domiziano fa ricostruire l’Iseo dopo l’incendio dell’80 e lo consacra nel 92. Adriano fa costruire nella sua villa suburbana il Canopo (in origine un sobborgo di Alessandria d’Egitto, con un celebre santuario di Serapide) nel quale sono stati rinvenuti numerosi esemplari dell’arte egizia.
Commodo è così fanaticamente devoto del culto isiaco – con quella scompostezza che tanto lo differenzia da suo padre, l’imperatore-filosofo stoico Marco Aurelio – che si fa radere il capo sul modello dei sacerdoti egizi di Iside e porta egli stesso nelle processioni il simulacro di Anubi (Lampridio, Commodo, 9).
Caracalla – l’imperatore della famosa Consitutio Antoniniana che estende la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero – edifica due santuari di Iside, uno sul Quirinale ed un altro sul Celio, da cui proviene il nome alla regio III (Isis et Serapis).
Il culto isiaco raggiunge il culmine della sua espansione e della sua legittimazione con la dinastia imperiale dei Severi, nel III secolo, mentre il IV secolo – fatta eccezione per Flavio Giuliano, autore di un Inno alla Madre degli dèi – è segnato dal declino dei culti pagani e da una legislazione imperiale sempre più restrittiva verso i sacra maiorum. L’epilogo di questo processo si ha nella distruzione del tempio di Serapide ad Alessandria nel 391 d.C., da parte dei seguaci della religione cristiana.
Esotismo religioso ed assolutismo imperiale.
Questo breve excursus storico non è finalizzato a soddisfare una mera curiosità antiquaria; la conservazione della memoria storica è decisiva per ben inquadrare il complesso rapporto che intercorre fra la spiritualità romana e quella egizio-ellenistica, tendo conto del pluralismo religioso romano, del rispetto che i Romani avevano verso altri Misteri, come quelli di Samotracia (cfr. il mio articolo sui Misteri di Samotracia, Hera, n° 72), della loro apertura a culti anch’essi stranieri, come quello di Mithra, di lontana origine iranica, che presentava però tratti di austera e severa disciplina, più affini alla gravitas romana.
Ecco, è questo il punto centrale: Roma guarda con diffidenza a quelle forme di religiosità che, suscitando intensi sentimenti di devozione e di fede fra i ceti popolari, implicano il rischio di snaturare il tradizionale “spirito” romano, il suo stile asciutto ed essenziale, il suo contegno austero e composto, anche e soprattutto nel momento rituale, nel rapporto col divino.
Non è certo un caso che Augusto releghi l’Iseo fuori del pomerio e che gli imperatori più miti, come indole e come concezione del potere – quali, ad esempio, Traiano, Antonino Pio, Marco Aurelio – non mostrino segni di particolare predilezione o di ostentata adesione verso il culto isiaco e verso quelli egizi in generale. L’unica eccezione è quella di Adriano, del quale va però considerata la formazione culturale spiccatamente ellenistica, l’amore per i viaggi e per la conoscenza diretta dei popoli dell’Impero e delle relative culture.
Gli imperatori più favorevoli al culto isiaco sono, non a caso, quelli che, nella storia dell’Impero, incarnano la tendenza assolutistica, sul modello dei sovrani orientali dei regni ellenistici, da Caligola a Nerone a Domiziano, fino ai Severi che rappresentano il tratto più militare del potere imperiale romano.
La vicenda mitica di Osiride - ritrovato e ricomposto da Iside - Signore dell’oltretomba, assimilato dai greci a Dioniso, offre un modello di legittimazione ideologico-religiosa del potere imperiale, della perpetuità dell’Impero che sempre nuovamente si incarna come principio in un nuovo imperator, nel corso della successione al trono.
Tuttavia, il culto di Iside, al di là dell’uso strumentale che vari imperatori ne fanno, si radica nel mondo romano in circa cinque secoli di storia, rispondendo, evidentemente, ad un bisogno di contatto diretto con la divinità che la religione romana tradizionale, nella sua ufficialità liturgica, non riesce più a soddisfare.
La dea “myrionima” (dai molti nomi) riassume in sé l’archetipo della Dea madre, ordinatrice dell’universo, datrice di Vita spirituale, donatrice dell’Acqua di Vita, apportatrice di Fortuna, secondo quella tendenza, tipica del paganesimo tardo-imperiale a riassumere in una sola divinità le molteplici presenze divine, viste come espressioni di un’Entità unica, Numen multiplex, come dicevano gli Antichi.
Di questo culto, dei suoi aspetti più profondi di carattere misterico, dei suoi rituali d’iniziazione, del significato di questi Misteri sub specie interioritatis, intendiamo parlare, in modo approfondito, in un successivo contributo per questa rivista.
Tratto dalla rivista Hera, n°74, marzo 2006.