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Ma dove li buttiamo questi rifiuti?

di Stefano Montanari - 25/05/2012

Fonte: stefanomontanari

Chi si farebbe operare anche solo alle tonsille da un ragioniere? E chi passerebbe a cuor leggero su di un ponte progettato da un cardiologo? Suppongo nessuno.

Eppure noi facciamo allegramente di peggio e lo facciamo tutti i giorni.

Che ci piaccia o no,

i nostri comportamenti da bambini viziati ci hanno portato ad autosoffocarci di rifiuti senza sapercene liberare. Anzi, come Ercole che indossa la camicia di Nesso, ad ogni movimento soffochiamo sempre di più.

Lo vediamo tutti: i rifiuti aumentano a dismisura e non sappiamo più dove metterli. Li abbiamo goffamente nascosti per anni e poi, come spazzatura ficcata sotto il tappeto, la quantità è diventata talmente enorme che era impossibile continuare a far finta di niente.

Ecco, allora, che qualche genio escogita l’espediente dell’inceneritore. Si brucia tutto e, di visibile, resta solo cenere. È tanta ma quella non è un problema perché si nasconde facilmente. I gas e le polveri, poi, sono una pacchia perché non si vedono. Uccidono? In fondo, ricordati che devi morire. E, visto che in questo paese incenerire rifiuti rende palate di quattrini, la monnezza, la rumenta, il rusco, le scoasse riescono a mantenere nell’opulenza tante famiglie.

Però resta il problema delle discariche. Di abusive, peraltro visibilissime, ce n’è una miriade e in quelle s’ingrassano in tanti, ma di ufficiali se non altrettante ce n’è di sicuro un bel po’.

Chi visitasse queste discariche allestite e gestite con la benedizione delle autorità preposte si troverebbe al cospetto di una riproposizione della palude Stigia di dantesca memoria almeno per il fetore. Già, il fetore. Perché la discarica puzza? Semplicemente perché è gestita male e ci si ficcano dentro materiali che imputridiscono, il che costituisce un errore imperdonabile. Puzza è uguale a gas non propriamente benefici per la salute, ma quel materiale che marcisce è il responsabile del percolato velenoso che inquina le falde acquifere. Sì, perché molte discariche sono fatte su terreni permeabili (per esempio quelli tufacei) e con l’acqua che scorre appena sotto. Occorre quanto meno isolarle, e lo si fa di solito stendendo un telo di plastica che dopo poche settimane è un colabrodo. Così ci si concede un'altra possibilità per ammalarsi.

Con un po’ d’informazione chiunque può rendersi conto di come il problema più grave che affligge le discariche sia costituito principalmente da chi le ha progettate e da chi le gestisce. Ecco che un problema puramente tecnico è, di fatto, un problema politico.

Prendiamo, esempio tra i mille possibili, ciò che sta accadendo a Roma. Alle porte della città si trova Malagrotta, la discarica più grande d’Europa. Io ci sono stato e, se non fossi stato soffocato dalla nausea, avrei colto il senso dell’umorismo insito in tutto questo. Una distesa a perdita d’occhio di quasi tutto ciò che esiste nei cataloghi delle merci sorvolata da stormi di uccelli che banchettano proprio con quel materiale putrescibile che non ha diritto di esserci. Da una parte, poi, scaturisce un ruscello di colore impossibile da definire che corre garrulo verso chissà quale meta. Tutto percolato DOC.
Bene, quel deposito di qualunque cosa ormai non ce la fa più e bisogna trovare altre voragini da riempire per soddisfare i “bisogni” (sì, ho messo le virgolette) della Capitale. Riano? Pizzo del Prete? Valle Galeria? Corcolle? Se si ascoltano gli abitanti, naturalmente no moltiplicato per quattro, tante quante sono le località, perché nessuno vuole quella roba dietro l’angolo di casa. Un paio di settimane fa ero a Riano e ho visto due dei buchi candidati. Parlare di follia e basta è troppo poco, ma non è che gli altri siti siano meglio. Se si volessero mostrare a degli studenti gli esempi di luoghi in cui è tecnicamente impossibile fare discariche, quelli possono di certo fare il caso.

“Nimby! - gridano i politici e i funzionari preposti – Ci risiamo: Not in my backyard!” Siamo onesti: in fondo questi non hanno tutti i torti. I personaggi ai quali abbiamo affidato il timone di questa carretta del mare in cui stiamo affondando non sanno davvero che pesci pigliare. E non lo sanno, prescindendo da altre considerazioni, semplicemente perché sono dei perfetti incompetenti e si comportano né più né meno come il ragioniere chirurgo o il cardiologo ingegnere.

Però la fetta di colpa che si può loro onestamente attribuire è poca cosa: i colpevoli veri siamo noi.


Per prima cosa dobbiamo imparare a sceglierci i rappresentanti in base a quello che sanno fare, a come lo sanno fare e al loro grado di onestà che, per quanto estraneo al nostro vivere da che mondo e mondo, deve  essere assoluto. Poi dobbiamo imparare ad usare il cervello, il che prevede fatica, visto che bisogna informarsi correttamente, magari scartando a priori chi offre soluzioni miracolose perché queste proprio non esistono e sono solo il biglietto da visita di chi si accinge a fregarci. Da lì, poi, bisogna saper fare un po’ di sacrifici, cosa che non aggrada a nessuno e che, solo a proporli, fa perdere le elezioni.

Insomma, che diavolo bisogna fare? In poche parole non si può altro che rinunciare a tutti gli oggetti di cui non abbiamo reale necessità, e quando si sceglie di acquistare qualcosa occorre che quel qualcosa sia compatibile con l’ambiente. Dunque, degradabile o recuperabile. I politici, poi, scartati gl’incompetenti che, ahimè, sono oggi una maggioranza soverchiante, dovranno legiferare in modo da proibire la messa in commercio dei prodotti che l’ambiente non tollera e dovranno obbligare i produttori a riprendersi i rifiuti che le loro merci hanno generato. In quel modo questi saranno in breve costretti a progettare solo ciò che è ecocompatibile, se non vogliono trovarsi annegati nei loro stessi rifiuti.

Naturalmente tutto questo è detto in maniera estremamente semplificata e senza approfondimenti, ma già è una bella base.

Se sapremo essere intelligenti, in pochi anni le uniche cose che non vorremo nel nostro cortile saranno i politici e i funzionari incompetenti.