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Ascolta

di Giuseppe Gorlani - 18/06/2012

 

   Dalla libertà che evochi ed affermi non emergono nuove civiltà, ulteriori interpretazioni della storia, ma l’inesprimibile. Malgrado ciò, gli dèi insistono a girare la ruota, proclamando la soluzione di ogni contrapposizione. Così mi adagio al sole, in un giorno qualsiasi, senza alcuna pretesa, e lascio che le dita sfiorino delicatamente la terra.

   Siediti più vicino, se vuoi comprendere. Ascolta. Ci sono suoni, colori e cristalli che non conosci, pur possedendoli da sempre. C’è la tavola di un falegname che cade da altissime nuvole e il filo a piombo di un muratore sospeso su uno stagno. Non cercare di capire. Non vedi come l’inesprimibile si insinua nel dilatarsi dell’ignoranza e la corrode? Basta restare dove si è, raccogliendo la pienezza che stilla da ogni cosa. Persino Burroughs, lucido iconoclasta, fingeva di cercare nell’incavo della sua fame il pasto nudo, l’estremo, il fondo, la soddisfazione totale. Si trattava di un gioco o di una tragedia che gli aveva dilatato lo sguardo e consumato la carne. Ora, una certa ragione afferma che Burroughs è morto, mentre una diversa ragione, forse altrettanto opinabile, suggerisce che rinascerà. Dov’è Burroughs? E tu dove sei? Dove sono Giulio Cesare e l’ultimo degli schiavi, e l’adoratore anonimo del divino fiume, e il verme in fuga dalla ruota del carro, e il sapiente che lo interrogava sul suo affrettarsi? Dov’è chicchessia?

   Ecco, non senti l’alito della vertigine? Non percepisci il formicolio delle galassie vibrare dappertutto? Abbandona il pregiudizio di penetrare scientificamente la Realtà. Intrattieniti pure con questo balocco, se in mezzo agli asini anche tu vuoi aggiungere un breve raglio; danza sul proscenio la tua parte di ebetudine, purché non ci creda. Fra cento, mille, un milione di anni sarai sempre qui.

   Lo dice la mano distesa nell’erba: tu non sei tu, né io, io. Niente “diventa”, perciò cogliamo quell’unico sorriso che scioglie le pareti della prigione inesistente.