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Prometheus

di Valerio Zecchini - 25/06/2012


Con “Prometheus” Ridley Scott ritorna in grande stile al genere che ha contribuito a definire, la fantascienza – e non e’ tutto, perche’ e’ in lavorazione anche il sequel del suo successivo capolavoro “Bladerunner” (1982), il quale si appresta a diventare uno dei film piu’ attesi di tutti I tempi.
“Alien” (1979), di cui “Prometheus” e’ in parte il prequel e in parte una variazione sul tema, era in realta’ piu’ un film dell’orrore che di fantascienza: il suo lentissimo incedere (nei primi 45 minuti non succede quasi nulla) da’ il senso di un grandioso, innominabile terrore incombente; inoltre, era un film che rifletteva preoccupazioni e paure che allora si affacciavano nella vita collettiva e che oggi sono diventate incontenibili. Negli anni settanta si stava infatti diffondendo una crescente sensazione che una serie di fattori ambientali – inquinamento, pesticidi, additivi nel cibo, tumori provocati dall’agire umano – erano li’ a dimostrare che i nostri corpi non erano piu’ sotto il nostro controllo. Che la nostra identita’ poteva cambiare, mutare, diventare mostruosa. Questo clima mentale e’ ben percepibile nei film di David Cronenberg e di John Carpenter di quel periodo, ma anche in “Stati di allucinazione” di Ken Russell, “Un lupo mannaro americano a Londra” di John Landis e soprattutto, appunto, “Alien”.
L’orrenda creatura che irrompe sulla scena dal petto di John Hurt era stata ideata dall’artista svizzero H. R. Giger, il quale aveva liberamente interpretato  il quadro di Francis Bacon del 1944 “Tre studi per figure ai piedi di una crocifissione” – Bacon, eccelso cantore degli orrori contemporanei, a sua volta si era ispirato al mito greco delle Furie.
L’obbiettivo di “Prometheus” e’ di spiegare l’origine di tale creatura, e di fatto ci riesce, dopo parecchie convulsioni della trama: nel 2094, l’equipaggio della nave spaziale Prometheus e’ in missione per stabilire se effettivamente l’umanita’ fosse stata generata sulla terra millenni prima per volonta’ di alieni venuti dallo spazio. La direttrice della missione, la dottoressa Elizabeth Shaw (Noomi Rapace), sostiene di averne le prove; quest’appassionata e determinata scienziata ha pero’ anche assorbito dal padre  un’equilibrata fede religiosa e porta sempre una croce al collo. Nel film le sue tesi creazioniste non sono mai seriamente messe in discussione, eccettuata una pedante lamentela in cui le viene rinfacciato di andare contro “secoli di darwinismo”. Cio’ che l’ha portata a bordo dell’astronave assieme al collega e amante dottor Charlie Holloway (Logan Marshall-Green) e’ stata la galvanizzante scoperta di antichi dipinti in una caverna dell’isola di Skye in Scozia, i quali mostravano degli umani intenti a venerare una specifica costellazione stellare – altri dipinti in altre caverne del mondo replicavano quest’immagine. Degli astronomi erano quindi stati incaricati di cercare la costellazione in questione, l’avevano individuata, e in men che non si dica la dottoressa Shaw e il dottor Holloway si erano ritrovati imbarcati  sull’astronave la’ diretta. La missione e’ finanziata da una misteriosa multinazionale, il cui vecchissimo presidente aspira all’immortalita’. Sua figlia Meredith Vickers (Charlize Theron) e’ la glaciale comandante spazial/aziendale, sempre in perfetta tenuta militarista-sexy, ovviamente nera. Idris Elba  e’ il capitano ribelle ma simpatico, e poi ci sono altri irritanti e pavidi scienziati di piu’ basso rango.
Nonostante la splendida fotografia, sinistra e minacciosa, e gli effetti  speciali senz’altro all’avanguardia, la vera forza di questo film e’ il cast: tutti in ottima forma, ma chi letteralmente ruba la scena e’ Michael Fassbender, nella parte del robot David. Il suo personaggio, che ha anche la funzione di decentrare la tensione drammatica, e’ un umanoide altamente convincente, ideato dalla multinazionale in modo tale da non spaventare o sconvolgere l’equipaggio. Mentre quest’ultimo e’ stato criogeneticamente ibernato per i due anni del viaggio, David si e’ preso cura dell’astronave come un maggiordomo diligente; ma e’ anche, nella miglior tradizione fantascientifica, un robot che potrebbe decidere di pensare con la sua testa (artificiale). Biondo e dal distaccato accento britannico, con il suo compito aspetto ariano e le sue braccia rigide e’ un incrocio tra il C3P0 di “Guerre stellari” e il David Bowie di “L’uomo che cadde sulla terra”. A David (come a Wall-e) piacciono I film d’epoca, e modella I suoi modi altezzosi ma gentili su quelli  del Peter O’Toole di  “Lawrence d’Arabia”. Il suo dialogo filosofico con il dottor Holloway sulle domande ultime e’ il momento topico del film.
Quando l’equipaggio finalmente atterra su quel lontanissimo pianeta fa una scoperta sconvolgente, che per la dottoressa Shaw e’ piuttosto un orgasmo concettuale, un momento di quasi erotica congiunzione con cio’ che era sconosciuto. Ovviamente, i suoi problemi cominceranno al ritorno sull’astronave. Poco a poco avra’ modo di capire che questi “creatori” dell’umanita’ sono potentissimi e intelligentissimi, ma totalmente privi di sentimenti.
Prometeo era il titano che rubo’ il fuoco a Zeus e lo regalo’ all’umanita’. Ma per la sua azione fu condannato ad essere incatenato ad una roccia dove un’aquila avrebbe mangiato il suo fegato, che si sarebbe ricreato ogni giorno, per l’eternita’; gli umani del film di Scott sono torturati e consumati da un nuovo e terribile tipo di fuoco, quello interiore della volonta’ di conoscenza delle proprie origini, della brama per l’immortalita’, della disperante domanda di un senso dell’esistere.
Per una risposta a tutto cio’ bisognera’ attendere un ennesimo prequel o sequel? No, bastera’ accontentarsi della semplice constatazione che il senso della vita e’ il suo stesso mistero.