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Una relazione filosofica romantica idealista

di Massimo Cacciari - 28/06/2012



Per comprendere come un amore, una relazione, cioè, necessaria, sia fatta di tradimenti e fraintendimenti, di radicali incomprensioni e meschine gelosie, possa trascorrere da virginee tenerezze a implacabili odi, è a Germania e Italia che occorre pensare. La Germania è “in viaggio” verso l’Italia fin dal suo definirsi come grande nazione. È “in viaggio” verso di lei anche quando con violenza vi secede: il suo umanesimo e la sua Riforma formano un movimento inseparabile. Mai Roma attrae così implacabilmente come nei momenti in cui l’immenso peso della sua storia deve essere annichilito. Dal crogiolo di Umanesimo e Riforma nasce anche la stagione del grand tour. È solo l’immagine classica o neo-classica dell’arte antica, che tutta Europa apprende dalle pagine della Storia dell’arte nell’antichità di Winckelmann( 1764)? Ma, ancor più, Germania è attratta dal paesaggio di Italia! Ne ama il classico immerso nella campagna, archi, acquedotti e templi a volte in armonia, a volte in lotta con la natura. Il sublime di marine, alpi, vulcani, la stupefacente fecondità della “madre terra” sopraffanno già nelle memorie goethiane (il cui primo, pionieristico viaggio, fino alla remota Sicilia, è del 1786) lo studio, attento, misurato, “scientifico”, delle vestigia del grande passato. I meravigliosi disegni che il grande architetto neoclassico Schinkel dedica al suo grand tour del 1804 rappresentano assai più il pathos del Wanderer, di quanto non documentino i templi di Girgenti o Segesta. L’amore germanico per Italia è romantico fin dall’inizio. In questa tonalità viene venerata l’arte del Rinascimento dalle “colonie artistiche” tedesche che si stabiliscono a Roma – dai contemporanei di Goethe come Hackert o Angelica Kaufmann, ai pittori della confraternita di San Luca, fino al “mito italiano” che impronta di sé tutta la pittura tedesca della seconda metà dell’Ottocento, da von Lenbach, a Marèes (quando finalmente saranno di nuovo visitabili i suoi affreschi alla stazione zoologica di Napoli?), fino al sommo Boecklin. Ma già in questo amore si palesa il più profondo fraintendimento. Il mito dell’accordo arte-natura impedisce di cogliere la forza tettonica originalissima dell’arte romana. Il tour di Germania si compie solo in Ellade. E ciò vale ancor più per le lettere e la filosofia. La latinitasrimane incompresa, o ridotta alla sola dimensione giuridico-politica. Questa incomprensione caratterizza tutta la filosofia tedesca, da Hegel a Heidegger. Quando “il gioco si fa serio”, quando di “origine” occorre parlare, Germania ama Grecia – e abbandona la fanciulla Italia. Ma con quale energia quest’ultima reagisce e cerca di richiamare a sé l’amante! Guardami, Germania! Le tradizioni della filosofia italiana esprimono la medesima esigenza, appartengono allo stesso destino che risuona nel tuo grande idealismo! Elimina Bruno e Vico, come puoi comprendere i tuoi Hegel? I momenti storici del sapere italico sono analoghi a quelli tedeschi: questo è l’“appello” della grande filosofia italiana dell’800 – dei Gioberti, degli Spaventa, dei De Sanctis. Poi irrompe Marx – e il primo a comprenderne la portata filosoficaè Gentile. Marx – il suo studio non ideologico, non messianico, ma neppure sociologico-economicistico – trova in Italia una patria d’adozione. Così come la comprensione dei nessi problematici, aporetici, ma vitali, che lo collegano agli altri protagonisti della critica radicale alla dialettica hegeliana: da Kierkegaard a Nietzsche. Non a caso il grande storico di questa drammatica vicenda del pensiero europeo ha a lungo, esule dalla Germania nazista, vissuto e lavorato in Italia, Karl Loewith, edito da noi presso Einaudi, negli stessi anni ruggenti delle prime traduzioni di Adorno e di Benjamin. Ma gli scambi, le relazioni pericolose, continuano e si aggrovigliano. E Italia continua a “divorare” la filosofa Germania esaltandone i tratti non teoreticistici, quelli per cui pensare significa comprendere il proprio presente, nella molteplicità dei suoi linguaggi, e prendervi parte oltre ogni astratto formalismo. È essenzialmente per questa via che anche Heidegger verrà a far epoca nella cultura italiana. E lo stesso Husserl – che da noi sarà essenzialmente quello della Crisi delle scienze europee. Se la Germania del sistema, della enciclopedia delle scienze filosofiche, domina nel nostro Ottocento, è la Germania del pensiero critico, di un’ermeneutica drammatica della storia europea e della sua filosofia, giunta forse al compimento, che sembra informare di sé il pensiero italiano contemporaneo. Ma è, certo, un “amore” sempre meno corrisposto – se Bruno e Vico erano state anche “scoperte” tedesche, nessuno o quasi dei “nostri” di ’800 e ’900 è stato davvero “tradotto” in tedesco. E lo stesso Umanesimo – la cui importanza filosofica pure Hegel riconosceva – viene considerato sotto il profilo meramente estetico. Lo stereotipo di un’Italia retorica, capace, al più, di custodire malamente i propri musei, nasce anche da tali incomprensioni. Eppure, restiamo inseparabili. E le grandi tragedie che ci hanno diviso, altrettanto hanno reso insuperabile la nostra relazione. Che è simpatia nel senso più agonistico (a proposito anche del grande match che ci attende!): non poter fare a meno di soffrire insieme – di soffrire, magari, nel non soffrirci.