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Del sublime immondo: Lowercraft e Spare

di Walter Catalano - 17/07/2006

Fonte: Argilla rivista

 

“E’ raro che l’ironia sia assente anche dagli orrori più grandi.”

(H.P. Lovecraft * The Shunned House)

“In questo caleidoscopio di differenze, la realtà è ardua da realizzare; la defecazione

(Austin Osman Spare * Anathema of Zos)

 

Talvolta la cattiva letteratura

riserva sorprese ragguardevoli:

sorprese che spesso travalicano

l’ambito angusto dello stile per

aprire vorticose ed inaspettate

prospettive di ordine estetico o addirittura

metafisico.

Un tipico esempio di “pessimo”

scrittore dal fascino in molteplici

sensi irresistibile è quello di

Howard Phillips Lovecraft

(1890/1937). Il suo nome, ormai

incontestabile oggetto di culto

fra gli appassionati del fantastico

e dell’orrorifico, lo si scopriva,

fino a qualche decennio fa, solo

razzolando nel pittoresco “ciarpame”

delle riviste popolari americane

di genere - i cosiddetti pulp,

dal nome della carta di infima

qualità sulla quale erano stampati

– accumulato nel corso del secolo

passato.

Oggi, a suo modo, questo eccentrico

confezionatore di incubi,

morto in miseria e quasi sconosciuto,

è ormai considerato alla

stregua di un classico: la sua prosa

spesso eccessiva e fallimentare ha

saputo incuriosire Jean Cocteau;

spingere Jorge Luis Borges

a citarlo come “involontario parodista

di Poe” e a dedicargli un

racconto (”There Are More

Things” incluso ne “Il Libro

di Sabbia”) o indurre Giorgio

Manganelli a concedergli un

posto nel suo “La letteratura

Come Menzogna” (il saggio

“La città blasfema”) o un romanziere

di grido come Michel

Houellebecq a scrivere un intero

studio su di lui (”H.P. Lovecraft:

Contro il Mondo,

Contro la Vita”). In Lovecraft

evidentemente i contenuti

scavalcano la forma: gli eccessi

melodrammatici, l’aggettivazione

incontrollata, l’inconsapevole

comicità di certe affettazioni, possono

essere dimenticati, così come

molti stereotipi da gotico pedestre

o i nomi barbari ed extraterrestri

delle entità aliene che nei suoi

testi riescono ancora a terrorizzarci

nonostante - come ha osservato

con maligna arguzia lo scrittore

e critico britannico di fantascienza

Brian Aldiss - “ricordino i

nomi anagrammati delle marche

di cereali che si mangiano a colazione”.

Oltrepassati con un eventuale

sbadiglio gli stravizi e le ingenuità

stilistiche, anche il lettore sofisticato

non può evitare di restare irretito

nelle trame lovecraftiane:

un nucleo di forza, un’autenticità

assente negli imitatori lo inchioda

alla pagina. Lovecraft, nel bene

e nel male, è unico; è un autore.

Come scrive nel saggio a lui dedicato

Houellebecq: “Dai suoi

viaggi nelle terre infide dell’indicibile,

Lovecraft non ci porta

buone notizie. Ci suggerisce che

dietro il sipario della realtà potrebbe

nascondersi, e talvolta lasciarsi

intravedere, qualcosa. E

che questo qualcosa è ripugnante

e abietto”. Le cattive notizie

hanno un gran potere di suggestione:

non giungono mai inaspettate.

Anche per questo Lovecraft

è l’antitesi dell’American Dream:

è un perdente, è un fallito.

Figlio di padre sifilitico e di

madre isterica, nasce e vive per

quasi tutta la sua breve esistenza

in una sorta di Recanati dell’Unione:

Providence nel Rhode Island. I suoi tentativi

di fuga sono dei fallimenti: morta

la madre nel 1924, si sposa con

un’attraente vedova, di molti anni

più vecchia di lui, cerca disperatamente

lavoro a New York ma

la Grande Mela è già rosa da

ben altri vermi.

Due anni dopo ripara sconfitto

a Providence in casa di due vecchie

zie: niente più moglie, niente

occupazione regolare, niente di

niente. HPL ha da sempre

puntellato le proprie insicurezze

con una patetica forma di suprematismo

bianco che lo avvicina in

teoria ad una destra fascistoide e

razzista (l’unica donna della sua

vita è però un’ebrea russa come

molti dei suoi migliori amici sono

ebrei e omosessuali).

In realtà le “repellenti razze inferiori”,

i devianti e i diversi, lo

attraggono: i suoi racconti sono

pieni di inquietanti meticci, di letali

sangue misto, di incroci aberranti

 

fra umano e non umano. Ecco

il fascino maggiore di questo incoerente

“fascista” così pericolosamente

incline alla sovversione,

di questo contraddittorio ateo ossessionato

dalla magia nera: l’inversione

sistematica del positivo

e del negativo, la percezione di un

meraviglioso “rovesciato” in cui

la morte è vita, la repulsione diviene

seducente e “orge sataniche,

demoni che volano sui venti della

notte e tombe scoperchiate sostituiscono

i tappeti volanti e le anfore

col genio”.

Il suo universo creativo gravita

intorno all’intuizione e all’enunciazione

di un sublime immondo,

di un’orrida estasi in cui la massima

vertigine del terrore e della

morte produce le convulsioni orgasmiche

di un dissolvimento liberatorio,

di un’apoteosi infera in

cui tutti i termini di riferimento

ordinari vengono irrisi e annullati.

Come scrive Manganelli:

“Nel suo universo, solo il negativo

può generare miracoli”.

Una posizione filosofica per

molti aspetti non lontana da quella

degli esponenti più radicali delle

avanguardie storiche novecentesche:

Antonin Artaud e, forse ancora

di più, il Georges Bataille de

“L’esperienza interiore” o de

“La pratica della gioia di fronte

alla morte”. Anche Lovecraft,

come loro, è un materialista assoluto;

le sue entità aliene, i suoi

dei e demoni, sono del tutto corporei

ed immortali non tanto

“perché incorruttibili ma perché

fatti di una materia così corrotta

e degenerata, che ogni degenerazione

ulteriore è impossibile”.

Non c’è alcuna psicologia, non

c’è alcun afflato spiritualista in

lui: a suo modo Lovecraft è un

realista estremo, un fenomenologo

del caos.

Emblematico a questo proposito

un racconto del 1926, “Pickman’s

Model”: un pittore di

Boston, Richard Upton

Pickman, discendente di una

strega fatta impiccare a Salem

da Cotton Mather alla fine del

1600, dipinge, con eccezionale

maestria, esclusivamente scene di

tregenda in cui mostri, sabba e

banchettatori necrofagi infestano

i sotterranei di quotidiani e ordinari

paesaggi cittadini. La critica lo

considera a torto un artista visionario

e fantastico: in realtà, si

scoprirà, è un antesignano dell’iperrealismo.

Usa infatti fotografie

come modelli per i suoi

quadri. Non gli sfondi però,

vengono riprodotti dall’immagine

fotografica – come all’inizio pensa

il sempre più terrorizzato narratore

- ma proprio gli abominevoli

soggetti dei suoi ritratti dal vero.

Lo studio di Pickman confina

infatti con un pozzo che immette

in una catacomba dalla quale

emergono i suoi modelli, i mostri

ripugnanti che l’artista ritrae

in piena oggettività. Pickman

scomparirà in seguito, misteriosamente

rapito dai suoi sgradevoli

coinquilini - una variante canagliesca

dei ghoul divoratori di cadaveri

de “Le mille e una notte”

- e, scopriremo in un racconto

successivo (”The Dream-

Quest of Unknown Kada”th),

si trasformerà infine in uno di loro:

queste orribili creature non

sono altro che una degenerazione

(o evoluzione?) dell’uomo stesso.

Lovecraft non poteva saperlo ma

stava raccontando una storia vera.

In quello stesso 1926 sull’altra

riva dell’Atlantico, a Londra,

un notevole pittore, Austin

Osman Spare (1886/1956),

veniva definitivamente emarginato

dagli ambienti artistici britannici

per le sue ostentazioni sataniche

esternate in vari libelli e per la

sua arte “degenerata” che ritraeva,

streghe, sabba e spiriti elementali.

Anche Spare, come Pickman,

rifiutava l’etichetta di artista visionario

- la critica aveva salutato

i suoi esordi paragonandolo a

Duerer, a Blake e a Beardsley

– ma sosteneva di ritrarre

semplicemente ciò che era capace

di far apparire materialmente.

In effetti il suo taglio pittorico

è del tutto realistico: soprattutto

i quadri del periodo tardo che ritraggono

la Londra crepuscolare

colpita dai bombardamenti della

Luftwaffe, fanno pensare alla

neue sachligkeit di Dix o di

Grosz.

Anche Spare sosteneva di avere

come “seconda madre” una strega

discendente diretta di quelle di

Salem, una certa Mrs. Paterson

che il futuro pittore aveva

conosciuto quando era solo un

bambino di sette anni e lei già una

vecchia (capace però di trasformarsi

davanti ai suoi occhi in una

splendida fanciulla). La misteriosa

megera esercitò su di lui

un’influenza costante anche dopo

la morte ispirando medianicamente

al suo pupillo scritti e quadri e

lasciandogli una perversa attrazione

sessuale per le donne vecchie

e deformi (Spare, assai bello da

giovane, ebbe per amanti una nana,

un ermafrodito e varie signore

anziane). Come e più di Lovecraft

anche Spare inseguì e

professò l’orrida estasi - uno dei

suoi libri è intitolato proprio

“The Book of Ugly Ecstasy”

- ma a differenza di lui non

si limitò al sogno e all’incubo

letterario. Praticò effettivamente

la magia (per un certo periodo a

fianco di Aleister Crowley, -

che la stampa scandalistica britannica

chiamava “l’uomo più

perverso del mondo” – il quale lo

definì un “fratello nero”); inventò

l’insolito culto di Zos-Kia

basato sulla “nuova sessualità”,

l’alfabeto del desiderio ed il risveglio

degli “atavismi-risorgenti”;

coltivò in pieno Novecento la

passione per i grimoires e tentò di

scriverne almeno uno (a Lovecraft

fu sufficiente immaginarlo:

il famigerato "Necronomi

-con" dell’arabo pazzo Abdul

Alhazred). Come Pickman

anche Spare finì male, non rapito

dai ghoul ma dall’alcool e dagli

stupefacenti: emarginato ormai

dagli ambienti artistici e intellettuali

(quando aveva diretto riviste

di cultura fra i suoi collaboratori

c’erano stati W.B.Yeats,

Havelock Ellis, Robert

Graves…), costretto a vivere

come un barbone nel sud di

Londra dando via i suoi egregi

seppur sulfurei lavori per un piatto

di minestra o una pinta di Guinness,

restò parzialmente paralizzato

quando il tugurio dove viveva in

compagnia di dozzine di gatti

crollò sotto i bombardamenti tedeschi,

si riprese in seguito e sopravvisse

come una larva fino al

1956. Dimenticati in vita, questi

due speculari adepti del sublime

immondo, sono stati riscoperti entrambi

fin dagli anni ’60 e la loro

fama ha viaggiato con la cultura

psichedelica, il cyberpunk, il neosciamanesimo.

La Chaos

Magick”, un occultismo postmoderno