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Le malattie inventate dal marketing

di redazione - 17/07/2006

MALATTIE, QUESTE SONO INVENTATE

Marketing farmaceutico: anziché trovare farmaci nuovi per le malattie conosciute, si creano malattie nuove


Sembra  essersi ispirata alle parole che Jules Romains mette in bocca al medico protagonista del romanzo «Lo strano caso del dottor Knock»: «La persona sana è quella che non sa ancora di essere malata».
Così, mossa da un marketing tanto avido di risultati quanto povero di nuove offerte valide, l’industria farmaceutica si è fatta creatrice di malattie, malattie nuove in grado di ridare fiato a farmaci già disponibili in un mercato ormai saturo.
Anziché trovare farmaci nuovi per le malattie conosciute, si stanno creando malattie nuove per i farmaci esistenti.

L'operazione, battezzata negli Usa «disease mongering», «commercializzazione delle malattie», sta riscuotendo grandi successi nei consigli d'amministrazione, ma genera preoccupazioni sempre maggiori tra l’opinione pubblica.

Le dedica un’analisi allarmata anche la rivista «Public Library of Sciences - Medicine»: l’editoriale dei due studiosi dell'università di Newcastle - Ray Moynihan e David Henry - rivela che «il “disease mongering” equivale ad allargare i confini di una malattia per ampliare il mercato dei farmaci».

E intanto «Consumers International», la federazione mondiale delle organizzazioni dei consumatori, denuncia le multinazionali del farmaco, che nell’ultimo anno hanno investito in marketing 60 miliardi di dollari, il doppio di quanto hanno speso in ricerca, manipolando le emozioni e le paure delle opinioni pubbliche.
E’ una strategia che avanza su fronti diversi.
Primo: sono state trasformate in malattie che hanno bisogno di cure condizioni invece fisiologiche, come l'osteoporosi o la menopausa.
Secondo: l'aumento del colesterolo nel sangue è stato ripresentato come una variazione inesorabilmente legata a malattie delle circolazione e, quindi, bisognosa di cure.
Terzo: si tenta una specie di «doping» della salute e, così, farmaci commercializzati per l’impotenza maschile come Cialis o Viagra sono stati proposti con campagne promozionali a una fetta più larga di uomini per migliorare le prestazioni sessuali.
Quarto: i bambini un po’ troppo vivaci sono diventati vittime del «Disturbo del Deficit di Attenzione», allargando la griglia diagnostica della malattia e con stime generose sulla sua diffusione.
Quinto: valori di pressione tra 120 e 140 non possono più farci dormire sonni tranquilli, perché indicano una stato di «pre-ipertensione». Il «disease mongering» - è la denuncia di molte associazioni di consumatori - è costruito con l’occhio ai bilanci aziendali anziché ai bisogni delle persone.

Se fino a metà del secolo scorso i nemici erano soprattutto fuori dal corpo e l’inizio e la fine della malattia infettiva segnavano la perdita e il recupero della salute, già a fine Anni ‘50 lo studioso Usa Alfred Keys è stato uno dei primi a sottolineare il collegamento statistico tra aumento di colesterolo nel sangue e malattie di cuore: e a quel punto il limite tra salute e malattia cominciò a farsi sfumato. In ogni caso si era ancora nell’ambito del conservare o ripristinare la salute: era il compito della medicina.
Ma - ha osservato Georges Vigarello nel saggio «Il Sano e il Malato» - stava per arrivare un vento diverso: «Una visione più moderna non si accontenta più di un aspetto statico. Bisogna migliorare e perfezionare un bene, i cui limiti si rivelano più aperti. E’ l’approfondimento della salute che diventa un dovere e non solo la lotta contro il male».

Così scatta una nuova alleanza. L’industria farmaceutica si trova davanti, oltre ai malati, i sani, i quali vogliono sempre di più: lottare contro l’invecchiamento, la bruttezza, le scarse performances sportive e sessuali.
Nel ‘98 «il Viagra è stato il primo della nuova generazione di farmaci “life-style», hanno osservato su «Public Affairs» gli studiosi Rudolf Klein e Heidrun Sturm.
E da quel momento la rivoluzione è stata inarrestabile.
Ecco perché il «disease mongering» è nel solco di una trasformazione culturale dei rapporti farmaco-società.
Con un passaggio imprudente, però.
Quando una persona sana ricorre a un farmaco nuovo, definito sicuro, dovrebbe tener conto del fatto che negli Usa l’organismo di controllo sui farmaci - la Food&Drug Administration - «ha dichiarato che quasi 20 milioni di americani sono stati esposti a cinque farmaci poi ritirati dal mercato per ragioni di sicurezza».
E’ anche per questo motivo che nell’articolo «Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering», pubblicato sul «British medical Journal», si raccomandano due strategie per «demedicalizzare ciò che è una condizione normale».
Primo: tenere a distanza le informazioni su questa o quella malattia provenienti dal mondo dell’industria. Secondo: fidarsi solo di fonti indipendenti.