Perché la grammatica può mettere d’accordo filosofia e neuroscienze
di Andrea Moro - 03/09/2012
Le affinità tra Ruggero Bacone e Noam Chomsky.
Teorie del linguaggio simili al cielo stellato
Ammettiamolo: tutti noi abbiamo una nostra teoria del linguaggio. Non è come in fisica o in chimica dove un certo timore reverenziale per la natura dei fenomeni osservati ci trattiene dal formulare spiegazioni avventate. Con il linguaggio, le cose vanno diversamente. Forse per il semplice fatto che tutti parliamo, forse per la grande facilità nell’ottenere dei dati, fatto sta che ci sentiamo autorizzati ad avere una «spiegazione» naturale di questo fenomeno. Questo stato di cose, inoltre, non caratterizza solo noi come individui ma anche la cultura dominante di un periodo storico, praticamente lungo tutto il percorso culturale della nostra civiltà. Il risultato è una sovrabbondanza unica nella storia del pensiero: praticamente ogni epoca, ogni cultura hanno espresso una teoria dominante sulla natura del linguaggio umano, a tal punto che seguendo lo sviluppo di queste riflessioni specifiche possiamo avere un campione dello «spirito del tempo», cioè della visione generale della realtà, come se la riflessione sul linguaggio costituisse una specie di «questione omerica» della storia dell’uomo. Il linguaggio è stato di volta in volta spiegato come fatto prevalentemente culturale, sociale, divino o biologico. Siamo certamente di fronte a una situazione speciale e non è facile capire cosa sappiamo oggi di più sul linguaggio umano rispetto al passato. Sempre che se ne sappia di più.
La situazione è simile a quella alla quale ci troviamo di fronte quando guardiamo un cielo stellato dove le stelle sono le opinioni che nel corso degli anni si sono formate sul linguaggio. Istintivamente, non possiamo fare a meno di congiungere tra loro le stelle che più risaltano: se non siamo particolarmente esperti, o comunque condizionati, ognuno di noi si costruisce le proprie costellazioni, alcune ovvie altre più ardite, altre implausibili. Ma il cielo notturno ha anche un’altra particolarità. Sappiamo infatti che non tutte le stelle che vediamo sono necessariamente ancora attive: la luce che ci arriva è una luce antica, che potrebbe essere ancora in viaggio quando la stella è già morta. Il cielo è dunque contemporaneamente simile a un museo di storia naturale e a uno zoo: accanto ad animali vivi vediamo l’impronta di quelli che non ci sono più. Dunque le nostre costellazioni non solo sono fondamentalmente arbitrarie, ma sono anche in qualche modo dei miraggi che possono anche essere fatti di fantasmi di stelle. Lo stesso accade per le teorie sul linguaggio. Ci sono tantissime opinioni: alcune attuali, altre decadute, altre ricorrenti; ma spesso non ce ne accorgiamo e anche per il linguaggio, come per il cielo stellato, ognuno si costruisce la costellazione preferita.

Questo stato di cose, niente affatto isolato nel pensiero linguistico, ci costringe ad una riflessione inaspettata: nella scienza come altrove il percorso che porta ad una conclusione è decisivo quanto la conclusione stessa, perché è in base al percorso che decidiamo i passi successivi. E siccome la scienza è un percorso continuo, saranno i percorsi aperti da una teoria — le nuove domande, cioè — a qualificarne il valore non i punti d’arrivo. Come dire: non tutte le costellazioni che disegniamo sono utili per tracciare una rotta. La bontà della scelta si può alla fine misurare solo con la risposta della realtà; anche per il linguaggio umano.