Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Neanche l'alfabeto

Neanche l'alfabeto

di Umberto Galimberti - 17/07/2006

 
Scrive Francesco Antinucci ne La scuola si è rotta (Laterza): "Sotto il peso dell'imponente cambiamento tecnologico in corso, scricchiola il pilastro centrale su cui si fonda il tradizionale modo di apprendere. È questo che andrebbe cambiato: ma la scuola può mai farlo?".



Durante il mio lavoro è capitato più volte di fare a uno studente la più semplice delle domande, ossia quella di dare dimostrazione della conoscenza dell'alfabeto, ovvero dell'ordine delle lettere presenti in un qualsiasi dizionario della lingua italiana (a - b - c - ...), e constatare successivamente che con molta probabilità l'esaminato avrà qualche difficoltà nell'inserire correttamente le lettere J K W X Y (se non le omette completamente). Fin qui potremmo dire niente di nuovo, ma la cosa sorprendente è che se, immediatamente dopo, gli chiediamo di ripetere l'operazione invitandolo a pensare alla sequenza delle lettere presenti sulla tastiera di un telefonino, il risultato cambia. Cosa è successo in quei pochi istanti? Un cellulare "è riuscito a insegnare" l'abc? Sicuramente tra il dizionario e il cellulare il più "gettonato", in tutti i sensi (dal momento che questo importante e utile strumento si trasforma spesso in una moderna slot machine per i ragazzi), è proprio quest'ultimo, ma questo spiegherebbe tutto? Rischiamo di scoprire che l'alfabetizzazione passa attraverso gli Sms oppure nella migliore delle ipotesi che oggi i ragazzi non sanno di sapere, che possiedono moltissime informazioni attraverso libri e internet ma non riescono a gestirle, che i saperi sono sempre più settoriali e mancano i collegamenti logici? Una riforma della scuola non dovrebbe partire anche da queste ultime tematiche? Si è parlato tanto delle tre "i" (inglese - internet - impresa) ma alla fine dopo tanti slogan non si è dimenticata la "i" di "italiano" (come lo intendeva Sciascia: "I'italiano non è l'italiano, ma è il ragionamento")? Gianfranco Chicca
francofede@libero.it

Negli ultimi trent'anni siamo stati traghettati in una fase dove le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di averle "lette" da qualche parte, ma semplicemente di averle viste in televisione, al cinema, sullo schermo di un computer, oppure "sentite" dalla viva voce di qualcuno, dalla radio o da un amplificatore inserito nelle nostre orecchie e collegato a un walkman. A questo punto sorgono spontanee le domande: come la trasformazione della strumentazione tecnica modifica il nostro modo di pensare? E ancora: quali forme di sapere stiamo perdendo per effetto di questo cambiamento? Con l'avvento della scrittura il vedere acquistò un primato rispetto all'udire, ma non lasciò senza cambiamenti la stessa vista che, da visione delle immagini del mondo, dovette imparare a tradurre in significato una sequenza lineare di simboli visivi. Se leggo la parola "cane" la forma grafica della parola e quella fonica non hanno niente a che fare con il cane, e allora la visione dei codici alfabetici comporta un esercizio della mente che la visione per immagini non richiede. Ciò ha comportato un passaggio ben descritto da Raffaele Simone ne La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo (Laterza), da un'intelligenza "simultanea" a una forma più evoluta che è quella "sequenziale". L'intelligenza simultanea è caratterizzata dalla capacità di trattare nello stesso tempo più informazioni, senza però essere in grado di stabilire una successione, una gerarchia e quindi un ordine. È l'intelligenza che usiamo, per esempio, quando guardiamo un quadro, dove è impossibile dire cosa vada guardato prima e cosa dopo. L'intelligenza sequenziale, che usiamo per leggere, necessita invece di una successione rigorosa e rigida che articola e analizza i codici grafici disposti in linea.

Sull'intelligenza sequenziale poggia quasi tutto il patrimonio di conoscenze dell'uomo occidentale. Ma questo tipo di intelligenza, che fino a qualche anno fa sembrava un progresso acquisito e definitivo, oggi sembra entrare in crisi ad opera di un ritorno dell'intelligenza simultanea, più consona all'immagine che all'alfabeto. Non a caso si assiste in tutto il mondo a un arresto dell'alfabetizzazione, che da diversi anni non si schioda da quel 47% di analfabeti, per cui sembra si rovesci quel processo, che sembrava irreversibile, che aveva portato l'uomo dall'intelligenza simultanea a quella sequenziale. Radio, telefono e televisione hanno riportato al primato dell'udito rispetto alla vista, e ricondotto la vista, dalla decodificazione dei segni grafici, alla semplice percezione delle immagini che sugli schermi si susseguono, con una conseguente modificazione dell'intelligenza, la quale, da una forma evoluta, regredisce a una forma più elementare. Naturalmente "guardare" è più facile che "leggere", e quindi, cari lettori, apprestiamoci a essere sempre più rari e, in questo mondo mediatico, anche un po' strani. L'homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti, è sul punto di essere soppiantato dall'homo videns, che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente impoverimento del capire, dovuto, come scrive Giovanni Sartori in Homo videns. Televisione e post-pensiero (Laterza), all'incremento del consumo di televisione. E, come è noto, una moltitudine che "non capisce" è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.