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La storia dell’essere

di Salvatore Spina - 07/09/2012






La storia dell’Essere, traduzione del volume 69 dell’opera completa di Heidegger edita per l’editore Klostermann di Francoforte sul Meno, contiene due testi scritti da Heidegger a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento. Il primo è intitolato La storia dell’Essere e raccoglie vari appunti ed alcuni brevi testi redatti da Heidegger tra il 1938 e il 1940; il secondo, intitolato Koinon. Dalla storia dell’essere è datato 1939/40, ha una forma più definita ed omogenea e propone una riflessione sulla situazione storico-politica di quegli anni 

a partire dall’orizzonte ontologico entro cui si staglia il pensiero dello Heidegger post-svolta.  Il primo scritto è da leggere in connessione con altri due testi coevi appartenenti alla sterminata produzione heideggeriana, Contributi alla filosofia (1936-1938) e Besinnung (1938-1939), che in qualche modo fanno da sfondo alle riflessioni che in queste pagine compaiono in maniera frammentaria e, per alcuni versi, poco sistematica. Verificato il fallimento teorico del progetto di Essere e tempo (1927), lo Heidegger di questo periodo prova a pensare, non senza asprezze concettuali acuite talvolta da un linguaggio al limite dell’ermetismo esoterico, la questione dell’Essere a partire dall’Essere stesso e non più da quel Dasein che nell’opera del 1927 occupava una posizione “privilegiata” all’interno del dispositivo ermeneutico di matrice heideggeriana.  È questo il periodo della svolta [Kehre], ovvero di quel cambiamento decisivo dell’orizzonte di pensiero dell’autore in cui la questione dell’Essere [Seinsfrage] viene assunta a partire dal darsi dell’Essere stesso come Evento; lemma che, come afferma lo stesso Heidegger, dagli anni Trenta in avanti diviene l’unico nome appropriato per denominare la sua riflessione. Centrali per la comprensione dei temi contenuti in questo libro sono anche i corsi sul pensiero di Nietzsche che Heidegger in quegli anni – e precisamente nel decennio 1936-46 – stava tenendo presso l’università tedesca di Friburgo. Nietzsche rappresenta per Heidegger il punto apicale di un movimento carsico che attraversa il pensiero occidentale e che lo caratterizza in maniera pregnante fin dalla sua origine. Se l’Essere ha una storia – ed è questa la tesi fondamentale del testo qui in questione, come recita d’altra parte il titolo dell’opera –, questa trova un suo senso solo nel momento in cui essa giunge nello spazio del suo compimento. Proprio nella misura in cui con Nietzsche tutte le possibilità insite al pensiero occidentale trovano la loro estrinsecazione è possibile comprendere il corso di questo pensiero come storia del nichilismo, ovvero di quel movimento che dell’Essere “ne ha fatto nulla”. Sebbene Nietzsche non venga quasi mai nominato in La storia dell’Essere, forte è l’eco dell’estenuante corpo a corpo ermeneutico che proprio in quegli anni Heidegger stava conducendo con il pensatore che con la sua riflessione ha spianato la strada per un ripensamento essenziale della storia dell’Occidente come nichilismo. 
Tutta la storia del pensiero occidentale è, dunque, per Heidegger dimenticanza dell’Essere [Seinsvergessenheit]; ma è nella modernità che questo processo, giunto ormai nella sua fase estrema, mostra il suo aspetto totalitario e onnicomprensivo. L’importanza delle riflessioni contenute in La storia dell’essere risiede, tra le altre cose, nella penetrante fenomenologia del moderno proposta da Heidegger, il quale individua nella macchinazione [Machenschaft] – tema già centrale nei Contributi alla filosofia e in Besinnung – la forma con cui l’Essere si dispiega in quest’epoca. Anticipando alcuni temi che saranno approfonditi negli anni Cinquanta, periodo in cui Heidegger elabora in maniera compiuta la questione della tecnica, in queste pagine sono gettate le fondamenta di quel pensiero che individua nel fenomeno tecnico l’orizzonte ontologico dell’epoca della metafisica dispiegata. Se il tema della macchinazione per molti aspetti ricalca le analisi già condotte da Heidegger negli anni precedenti, quasi del tutto inedite, se si eccettua qualche riferimento nei Contributi alla filosofia e nelle pagine conclusive di Introduzione alla metafisica (1935), sono invece le analisi accurate che l’autore propone del fenomeno del potere. Riprendendo alcune suggestioni nietzschiane riguardanti la volontà di potenza, Heidegger individua nel potere non semplicemente un fenomeno storicamente determinato ma la logica interna della metafisica stessa. Infatti, «il potere si rivela come essenziarsi della macchinazione e questa come essenza nascosta dell’“efficacia” nel senso metafisico che è radicato nell’interpretazione dell’essere» (p. 57). Più essenziale di qualsiasi violenza e sopruso di natura ontica, il potere è il nome metafisico dell’essenziarsi [wesen] dell’Essere nell’epoca del suo massimo abbandono [Seinverlassenheit]; abbandono che ha come suo contraltare “antropologico” la dimenticanza dell’Essere [Seinvergessenheit]. Ma proprio nell’epoca del massimo oblio dell’Essere, nel momento in cui «l’essere viene ridotto a un mero flatus vocis» (p. 33), ovvero nell’epoca del nichilismo assoluto, si apre la possibilità per una comprensione essenziale dell’Essere come evento [Ereignis]. Questa possibilità, però, non appartiene all’ambito di una decisione volontaristica dell’uomo; tuttavia essa presuppone che ci sia un’umanità “in-umana”, in quanto «non si rivolge a criteri, scopi e tendenze dell’umanità esistita finora» (p. 22), pronta a corrispondere al silenzioso, incommensurabile e spaesante appello proveniente dalla profonda semplicità della vastità dell’Essere. Le provocazioni teoriche proposte dal testo qui preso in esame oltre ad essere determinanti per comprendere l’evoluzione interna del pensiero heideggeriano sono molto importanti per capire il modo in cui Heidegger si relazionò ai tragici eventi storici che in quegli anni stavano sconvolgendo l’assetto geopolitico dell’Europa. Sebbene nella prima parte del testo (La storia dell’essere) Heidegger, se si eccettua qualche riferimento esplicito al conflitto tra Russia e Germania (pp. 102-103) e al nesso razza-potere (p. 60), non si confronti in maniera perspicua con gli eventi a lui contemporanei, è evidente che ogni pensiero espresso in queste pagine risente dei tragici avvenimenti che da lì a poco avrebbero causato la più grave devastazione che l’Europa abbia mai conosciuto.  La seconda parte del testo, quella intitolata Koinon: dalla storia dell’Essere, presenta invece un confronto diretto e per alcuni versi dichiarato con gli eventi storici contemporanei alla sua stesura. Partendo da alcune suggestioni jüngeriane, Heidegger legge il Moderno come lo svanire della differenza, diventata ormai antiquata da un punto di vista metafisico, tra guerra e pace. Qui il conflitto non indica una determinata vicenda storica in cui le ostilità politiche assumono carattere bellico, bensì il modo in cui l’Essere si dispiega nell’epoca del dominio incontrastato della Machenschaft. Dominio che necessita del lavoro di quei “potenti” e “dittatori” che, lungi dal rappresentare coloro che possiedono il potere – in quanto «il potere non tollera possessori» (p. 168) –, sono degli “impiegati” della grande macchina metafisica che domina la storia occidentale fin dai suoi albori e che nell’epoca moderna mostra esplicitamente la sua essenza apertamente violenta. Interessante e per molti aspetti anomalo è il confronto con il “comunismo” proposto da Heidegger in queste pagine. Esso non viene letto semplicemente come un fenomeno determinato storicamente e geograficamente, ma come quel luogo metafisico in cui domina l’uniformità e l’anonimia tipica dell’era della tecnica; infatti, «nel comunismo il potere che spinge è ciò che incanta tutti con l’incantesimo dell’uniformità e pariformità di tutti» (p. 165). Svanita la possibilità di distinzione tra stati autoritari e democrazia, in quanto da entrambe le parti la lotta è per la potenza, nell’epoca della Machenschaft si avvia quel processo di “mobilitazione totale” dell’ente che già Ernst Jünger aveva descritto in maniera radicale all’inizio degli anni Trenta. Ma se «la signoria della macchinazione è la fine del primo inizio della storia dell’Essere» (p. 183), in quanto ne porta a compimento le premesse inscritte in essa fin dalla sua origine, proprio nel momento in cui la metafisica giunge nello spazio del suo dispiegamento totale si apre lo spazio per un ripensamento essenziale dell’Essere come evento e per l’avvento di un “altro inizio” del pensiero che si faccia portavoce di quella “quiete” che caratterizza l’Essere nell’intimo del suo dispiegarsi essenziale. Altro inizio che, è bene ribadirlo, non dipende semplicemente dalla volontà dell’uomo, il quale «non può “fare” questa storia e non può mai intervenire in essa; può solo, lui che è chi è toccato e afferrato dall’essenza di questa storia, preparare il tempo in cui lo coglie il più adveniente dell’adveniente, a partire dalla lontananza di ciò che è prossimo» (p. 178).  Nelle pagine de La storia dell’Essere emerge in maniera decisiva il travaglio filosofico ed intellettuale che coinvolse Heidegger a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta. Perse le speranze, che pure nutriva nel 1933 quando assunse la carica di Rettore presso l’università di Friburgo, nella rivoluzione nazionalsocialista, in quanto «ogni rivoluzione non è sufficientemente rivoluzionaria» (p. 21), Heidegger vede tanto nel nazionalsocialismo di Hitler, il quale però non viene mai nominato espressamente, quanto nel bolscevismo di Stalin, a cui si fa invece esplicito riferimento (p. 173), quell’intima essenza nichilistica dell’Occidente che trova nella metafisica della Machenschaft lo spazio del suo dominio totale. Se da un lato il testo risulta determinante per comprendere tanto l’evoluzione del pensiero heideggeriano che il modo in cui egli si rapportò agli eventi storici a lui contemporanei, d’altro canto esso presenta dei tratti di “illeggibilità” che lo rendono un testo fruibile solo a specialisti. E questo per almeno due motivi tra essi intimamente connessi: le tematiche trattate e il linguaggio utilizzato. Per comprendere pienamente le tematiche che in questo testo vengono solo accennate in maniera frammentaria è necessaria l’analisi preliminare di alcuni volumi ad esso coevi. Senza la lettura dei Contributi alla filosofia e di Besinnung, La storia dell’Essere appare un insieme di questioni solo abbozzate e mai compiutamente approfondite, quindi difficilmente accessibili ad una comprensione immediata. La difficoltà di questo testo è determinata anche dal linguaggio utilizzato da Heidegger in queste pagine. Com’è noto Heidegger ascrive l’incompiutezza di Essere e Tempo all’incapacità del linguaggio tradizionale, che ancora caratterizzerebbe a suo dire le pagine dell’analitica esistenziale, di nominare la questione dell’Essere in maniera essenziale. Proprio a partire da questa premessa nelle opere post-svolta Heidegger prospetta una decostruzione del linguaggio filosofico classico proponendo un’opera di risemantizzazione essenziale delle questioni trattate. Al fine di evitare un linguaggio oggettivamente incapace di rendere conto del costitutivo dinamismo dell’Essere, Heidegger introduce nel lessico filosofico dei nuovi termini che però spesso finiscono per disorientare il lettore, gettandolo in un orizzonte linguistico criptico e per alcuni versi incomprensibile. Nel caso de La storia dell’Essere questa tendenza è portata all’estremo ed il merito del traduttore italiano è quello di rendere leggibile, attraverso un’orchestrazione linguistica notevole, un testo che altrimenti sarebbe rimasto inaccessibile alla maggior parte dei lettori.