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La favola della green economy come panacea di tutti i mali

di Stefano Romboli - 10/09/2012

Fonte: decrescita



Da tempo gli “sviluppisti” e i fideisti del nostro modello capitalista hanno scoperto il nuovo idolo in grado di rinnovare e anzi migliorare il supporto che in questi anni ha dato loro manforte, lo sviluppo sostenibile.

La prima definizione di sviluppo sostenibile si ha nel “Rapporto Brundtland” del 1987 dove vi si afferma: “lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromottere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Non sappiamo quanto possa aver inciso negativamente il fatto che tale definizione non prendesse in considerazione una visione olistica delle interrelazioni vitali con la natura e non presupponendo un equilibrio con la natura/Madre Terra: quanto siamo lontani dal paradigma del Buen Vivir!

Ma sappiamo come è andata da allora: sia il concetto che la pratica dello sviluppo sostenibile hanno mantenuto le visioni mercantilistiche ed estrattive, basandosi sul consumo di fonti di energia fossili. Sullo sfondo di questa prospettiva c’è il consolidamento della rottura del rapporto fra la civilizzazione umana e la natura, propiziata dalla cultura occidentale capitalista, secondo la quale la terra è solamente una “risorsa” e un territorio da occupare e saccheggiare.

Anche lo sviluppo sostenibile ha favorito e consolidato il “capitalismo assoluto”, inteso come il capitalismo storico che è penetrato in ogni poro e in ogni profondità della vita umana associata.

Insomma non solo il concetto stesso nasceva senza porre una critica adeguata e necessaria al sistema capitalista e ai suoi rapporti di forza e di produzione, ma ha finito con il diventarne un “sostegno” ideologico. E senza scalfire, ci mancherebbe, i totem della crescita e della sovrapproduzione. Insomma nessuna abiura dello sviluppo come viene inteso tradizionalmente ed ideologicamente da quando si è formato il nostro immaginario economico. Che non può essere “sostenibile”: siamo di fronte ad un evidente ossimoro!

Adesso è il turno della green economy, una versione aggiornata dello sviluppo sostenibile, anche se non necessariamente sostitutiva di quella più “datata”, anche perchè i due concetti non solo possono convivere ma l’ultima si inserisce perfettamente nella prospettiva della prima.

I paesi potenti e i grandi “poteri” non hanno alcun interesse a modificare le cause strutturali del disastro climatico. Al contrario tutti sembrano ormai convinti, al Nord come al Sud, che la soluzione alla crisi mondiale passi per il rilancio della crescita, dell’economia di mercato, ma di colore verde (automobile verde, energia verde, abitazione verde…). Ma riconvertire l’industria serve a poco, se non si ferma la crescita che produce emergenze come quella dell’acqua e quella dei rifiuti.

Se ancora viene perseguita -ad ogni livello di potere e senza discontinuità- la logica di ottenere il sostegno delle imprese e della finanza, dando priorità alle innovazioni tecnologiche, ai meccanismi di mercato e agli strumenti finanziari favorevoli al mondo dell’impresa privata, è difficile pensare che eventuali proposte contrarie agli orientamenti e agli interessi del mondo degli affari abbiano qualche possibilità di essere prese in considerazione. Di fatto, i responsabili del nostro futuro continuano ad imporre (e a farsi imporre) le logiche economiche, soprattutto finanziarie, per risolvere il disastro ecologico.

Una volta di più i cosiddetti “grandi” e i loro supporter non solo sottovalutano la crisi ecologica e ignorano le vergognose iniquità che pure appartengono al mondo loro affidato, ma puntano a legittimare il dominio del capitalismo, il culto della ricchezza individuale, il primato del consumo. Consumo sempre energivoro, ma verde!

Insomma, quello che serve per “rinverdire” la fiducia in questo modello di sviluppo e di società senza discuterne le fondamenta. Un “correttivo” improntato su possibili alternative alla produzione di energia che certo rappresenta un bel problema ma non è l’unico.

Non si tratta solo di scegliere la bicicletta all’automobile, il biologico o la “filiera corta” ai prodotti della grande distribuzione, la verdura all’hamburger, il sole al nucleare, il riciclo all’usa e getta. Bensì di applicare un principio guida trasversale e sistemico ad ogni settore “merceologico” e prescrivere delle specifiche tecniche e modalità concretamete misurabili (con indicatori diversi e alternativi a quelli del PIL e simili): ad esempio la decrescita dei flussi di energia e delle materie prime impegnati nei cicli produttivi e di consumo.

Innescando un processo di de-globalizzazione e di decentralizzazione dell’economia, di ri-territorializzazione e di trasferimento dei poteri al basso ed investendo di potere e di responsabilità soggettività nuove: pensiamo a quel terzo dell’umanità che ancora cerca di coltivare la terra e resiste al “saccheggio” e alla perdita dei beni comuni; al terzo dell’umanità emarginata negli inferni delle bidonville, delle banlieue e delle favelas dalle quali vengono “recuperati” i moderni schiavi industriali per le nostre fabbriche; fino a quella parte rappresentata dall’ esercito crescente dei salariati svalorizzati, robotizzati, precarizzati del mondo occidentale.

Non contestiamo l’importanza e l’urgenza di ‘mettere al verde’ le nostre economie, tuttavia colorare di verde il sistema economico senza modificarne i principi e le modalità di funzionamento che sono all’origine della crisi, ha poco senso. Abbiamo davvero bisogno di altre centinaia di milioni di automobili e di camion, anche se verdi? Milioni di case “passive” non risolveranno niente per miliardi di persone povere, senz’acqua potabile né servizi sanitari, senza abitazione decente, senza accesso alla sanità e all’istruzione base.

Oggi ci confrontiamo con tanti “ambientalisti” che credono di poter arrestare il collasso degli ecosistemi affidandosi al “green business”, di fatto identificando il problema ambiente soltanto con il mutamento climatico; il quale certo, nell’impazzimento delle stagioni e nel moltiplicarsi di fenomeni meteorologici “estremi”, ne costituisce la conseguenza più grave, ma non può essere considerata la sola, col rischio di mancare l’intero obiettivo. La «vampirizzazione» dell’agenda-ambiente da parte della questione energetica costituisce un’evidente mistificazione delle priorità del mondo. Non è accettabile tacere tutto ciò e puntare solo sulla “green economy”, creando l’ottimistica attesa di un futuro libero da inquinamento e da scarsità energetica, con sicuro rilancio di produzione e consumi. Da questo punto di vista negoziare il futuro dell’umanità unicamente a partire dall’energia è una grave colpa storica!

Serve un progetto politico capace di realizzare una trasformazione sociale ed ecologica dell’economia, all’interno della quale ci stanno certamente le battaglie contro il nucleare, gli OGM, l’elettrosmog, i termovalorizzatori (o inceneritori che dir si voglia), i rigassificatori, la privatizzazione dell’acqua ecc e favorire e promuovere le energie rinnovabili e il consumo critico, la riduzione dei consumi, la raccolta differenziata, la difesa e il rilancio dei beni comuni ecc, ma ci deve essere spazio anche per il lavoro, la casa, la sanità, l’eguaglianza, la multiculturalità, la redistribuzione dei redditi e delle risorse ecc.

Facciamo l’ipotesi che le grandi multinazionali del petrolio, della chimica, dell’agricoltura riconvertano le loro produzioni in senso ambientale, così da avere grandi benefici sull’inquinamento, sull’effetto serra, sui cambiamenti climatici ecc. Però rimarrebbero salde le logiche del profitto, le differenze e le ingiustizie sociali, lo sfruttamento dei popoli (specie quelli dei sud del mondo) le guerra e altro. Insomma tutte le contraddizioni ed ingiustizie che caratterizzano il capitalismo e il neoliberismo dominante.

Potremmo essere soddisfatti di un ambiente perfettamente salvaguardato in un mondo socialmente ingiusto? Crediamo e vogliamo proprio sperare di no!

Ecco perchè troviamo fisiologico avere come base e principale criterio la necessità di un cambiamento radicale della nostra società e degli equilibri esistenti, all’interno di una visione radicale ed ecologica – sociale del mondo.

Sulla scia dell’onda positiva dell’ascesa di Obama negli Stati Uniti che ha fatto appunto della green economy un bel trampolino di lancio, da anni ormai anche in Italia essa viene usata come la panacea di tutti i mali.

Prendiamo le nostre realtà territoriali più vicine: dal Comune di Livorno alla Regione Toscana non manca documento o appello che non faccia riferimento alla green economy. Dal programma di mandato del sindaco Cosimi a quello del governatore Rossi, dalla bozza del piano strutturale e dal Piano Comunale di Sviluppo 2011-2014 del Comune di Livorno al Programma Regionale di Sviluppo 2011-2015 della Regione Toscana: tutti concordi e quindi allineati sulle strategie e le scelte da intraprendere. Il futuro di Livorno passa anche da qui: consolidare la nostra città come attore strategico del “Polo energetico della Toscana” e quindi ecco serviti sul tavolo i progetti del rigassificatore off shore, le centrali a biomasse (non a filiera corta), le discariche, gli inceneritori (o termovalorizzatori che dir si voglia). E tutto questo si inserisce in un contesto come quello della provincia livornese già pesantemente colpita dalla presenza di centrali e impianti inquinanti che contribuiscono a renderla la seconda provincia più inquinata d’ Italia per emissioni industriali.

Appunto, viva la Green Economy!