La degenerazione dell'olocausto
di Francesco Mario Agnoli - 20/07/2006
Quanto sta accadendo in Medio Oriente è evidentemente lo sviluppo di una catena di eventi, che ha il suo momento iniziale nel genocidio nazista del popolo ebraico e nella volontà, espressa anche nel termine Olocausto scelto per designarlo, di eternarne la memoria. Avvenimenti di segno opposto se considerati nella loro natura. Il genocidio ebraico, anche se non unico, è stato certamente uno dei maggiori drammi, dei più grandi delitti della storia. La sua assolutizzazione, la sua elevazione a paradigma della crudeltà umana, delle conseguenze delle aberrazioni ideologiche mirava, quanto meno nelle intenzioni iniziali, a farne un monito imperituro, a renderne per sempre impossibile, attraverso la perenne conservazione del ricordo, la riproduzione.
Qualcosa non ha funzionato. Forse l'enorme quantità di male insita nel progetto della “soluzione finale” e nell'attuazione dell'operazione di sterminio ha continuato a suppurare, contaminandone anche la memoria fino a trasformarla dal monito che doveva essere in un cancro capace, come dimostra la triste realtà dell'ultimo mezzo-secolo di storia mediorientale e confermano gli attuali avvenimenti in Palestina (striscia di Gaza in particolare) e in Libano, di spargere le sue velenose tossine nel corpo dell'intera umanità, di dare inizio ad una nuova catena di orrore, distruzione e morte.
Forse non è facile individuare tutti i passaggi attraverso i quali una lodevole intenzione si è trasformata nel suo opposto. Sono state tentate varie spiegazioni, le più recenti e interessanti collegate con la religione ebraica, con l'attesa del Messia, da identificare secondo alcuni nello stesso Popolo Eletto. E' possibile. Certamente uno dei fattori decisivi va individuato nella pretesa, anche questa verosimilmente all'inizio in buona fede, di fare del genocidio ebraico, valorizzando il dato quantitativo delle vittime a detrimento di quello qualitativo della natura del bene offeso in quanto comune a tutti i genocidi, un unicum nella storia, qualcosa di totalmente diverso dai genocidi vandeano, armeno, cambogiano e i molti altri che hanno costellato (per limitarsi a questi) i due secoli della storia contemporanea. Appunto l'Olocausto.
Questa pretesa unicità è stata estesa anche ai carnefici, collocati addirittura fuori dal genere umano. In questo caso si tratta però di un'operazione di adulterazione e stravolgimento del rimorso fin dall'inizio non totalmente in buona fede, perché viziata dal desiderio di cancellare del tutto il sospetto che invece le cause dell'orrore vadano ricercate, oltre che all'interno della natura umana e non siano, quindi, per nulla disumane, soprattutto in alcuni caratteri di quella cultura che si suole sempre più spesso definire occidentale, ma che negli anni del grande massacro si qualificava ancora come europea, quindi del tutto nostra.
Il desiderio di conservare la memoria, ma di sbarazzarsi al tempo stesso di scomodi rimorsi, unito all'imponenza del crimine, ha prodotto effetti perversi in una autentica eterogenesi dei fini. L'Olocausto è stato trasformato in una indiscutibile verità di Stato perfino nei suoi termini quantitativi, operazione illegittima, perché in contrasto con la natura stessa della verità storica, e quindi destinata ad eccitare lo spirito critico degli studiosi, portati per mestiere a controllare e contestare. Per evitarlo si è aggravato il male col blindare la verità ufficiale dietro il riparo delle sanzioni penali minacciate agli autori di qualunque tentativo di indagine suscettibile di portare a risultati anche solo in parte difformi da quelli garantiti dalla verità ufficiale. In questo modo si è violato e si continua a violare in nome di una pretesa giustizia tanto la nozione autentica di verità, quanto la libertà di pensiero. uno dei principi fondanti della civiltà occidentale. senza nemmeno accorgersi che questa prima violazione non poteva non aprire la strada, come difatti è avvenuto, a innumeri altre.
Contemporaneamente la proclamata e sanzionata unicità del genocidio di cui è stato vittima, ha reso unico anche il popolo ebreo, trasformato finalmente nel vero Popolo Eletto se non più (o non soltanto) agli occhi di Dio a quelli dell'umanità occidentale.
E' possibile che, come un numero crescente di critici (il che non significa numerosi) ha cominciato a sostenere, questa convinzione sia condivisa dagli ebrei, che, di conseguenza, si sarebbero convinti della loro superiorità, appunto in quanto appartenenti al Popolo Eletto, su tutti i goim, inchiodati per sempre alle conseguenze di un crimine di cui vengono ritenuti (ed essi stessi in qualche misura si sentono) complici se non altro per colpevoli silenzi.
Lasciamo che siano gli ebrei a riflettere sugli aspetti negativi che li riguardano o comunque interessiamocene solo nella misura in cui forniscono la prova e indicano le cause degli effetti del fenomeno degenerativo che direttamente ci interessano. Anzitutto una costante sottovalutazione, molto spesso sconfinante in una approvazione del tutto irrazionale e, quindi di chiara origine patologica, delle condotte, politiche e militari, del governo israeliano, dei suoi abusi nei confronti delle popolazioni arabo-palestinesi caratterizzati da un evidente e violento razzismo. Per restare fedeli al proposito di parlare di noi e non di altri, questo razzismo ci interessa qui solo in quanto è stato da noi introitato e assimilato al punto che in questi giorni, caratterizzati nelle terre medio-orientali da avvenimenti sconvolgenti, l'opinione pubblica occidentale unanime piange, si rammarica, s'indigna per l'uccisione di nove civili israeliani ad opera dei missili degli hezbollah mentre accompagna (da ben prima del lancio di questi tanto deprecati missili) con la più glaciale indifferenza la morte di centinaia di persone, per la maggior parte donne e bambini, sotto i bombardamenti israeliani a Gaza e in Libano (e qui molte delle vittime non sono nemmeno musulmane, ma cristiane e, quindi, del tutto estranee alla contesa che oppone lo Stato d'Israele al mondo musulmano). Reazioni assurde che, a meno di attribuirle a malafede (forse riscontrabile in politicanti e in giornalisti, ma certamente non nella gente comune) tolgono ogni dubbio sulla natura patologica del fenomeno.
Una memoria che fa applicare le regole del razzismo addirittura ai morti, distinguendo fra vittima e vittima, fra innocente e innocente a seconda dell'appartenenza al popolo degli Eletti o a quello degli iloti non può essere definita altrimenti che un cancro, che, se non curato, potrebbe portare a esiti mortali per l'intera umanità. Non per nulla qualcuno ha già cominciato a parlare dello scontro finale di Armageddon.
Gli ultimi avvenimenti sul campo e le reazioni dei governi e dell'opinione pubblica occidentale (o, se si preferisce, euro-americana) confermano la natura patologica del fenomeno, a meno di non volere attribuire a malafede le incredibili argomentazioni utilizzate a sostegno delle operazioni belliche israeliane, di fronte ad una realtà che radicalmente le contraddice. Significativo il fatto che quanti si assumono il ruolo della pubblica difesa della politica israeliana contro eventuali critiche (quasi sempre comunque a mezza bocca e in nome di una equidistanza assurda, perché uguali non sono le opere e le vittime) nemmeno si curano nemmeno di alterare i dati di fatto di questa realtà da tutti facilmente conoscibile perfino attraverso le immagini (non i commenti) delle trasmissioni televisive. Evidentemente o sono essi stessi accecati dalle tossine proliferanti dalla massa cancerosa o, nei forse rari casi di piena malafede, persuasi che questa sia ormai così profondamente incistata nella coscienza collettiva da rendere superfluo ogni tentativo di contraffazione.