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Gli scritti di Martin Heidegger su Ernst Junger sismografo dello Spirito del Tempo

di Simone Paliaga - 19/03/2013


ernst-junger-and-birdDue titani pronti a fronteggiarsi. Così potrebbe riassumersi il confronto che vede disporsi uno contro l’altro Martin Heidegger e Ernst Jünger: il maggiore filosofo e uno dei grandi scrittori e pensatori del secolo passato. Finora avevamo solo lo scambio di omaggi per i rispettivi compleanni contenuti nel volumetto Oltre la linea, ma adesso grazie alla collana diretta per Bompiani da Giovanni Reale, I classici del pensiero occidentale, entriamo direttamente nel laboratorio del pensiero heideggeriano.

Esce in libreria il corposissimo volume di Martin Heidegger Su Ernst Jünger (pp. 874, euro 35 ) che raccoglie in modo dettagliatissimo non solo i quaderni di appunti su cui l’autore di Essere e tempo apportava i commenti e le analisi mano a mano che procedeva nella lettura dei testi del suo sodale, ma altresì le carte di alcune conferenze tenute per pochi allievi e soprattutto le note a margine scritte direttamente sulle copie dei libri di Jünger. Prima di addentrarci tra le pagine va spezzata però una lancia a favore del traduttore, Marcello Barison, che è riuscito nell’ingrato e difficile compito di rendere il complicatissimo e spesso oscuro lessico heideggeriano alla portata di tutti evitando di adottare, come molti suoi colleghi, circonlocuzioni e giri di parole che anziché chiarirlo finivano col renderlo asfittico e illeggibile.

Torniamo però al libro. Quando Heidegger si mette ad annotare con acribia maniacale L’operaio, il grande trattato jüngeriano del 1932, siamo ai primi lampi della Seconda guerra mondiale. Gran parte del materiale risale infatti al biennio 1939 e 1940. L’analisi del filosofo porta a considerare lo scrittore e eroe di guerra come colui che è stato capace di condurre alle estreme conseguenze il pensiero di Nietzsche che, secondo Heidegger, chiude il cerchio della metafisica occidentale.

«Ernst Jünger è il suo unico vero successore», annota Heidegger, «i suoi scritti rendono l’attività di scrittura finora esercitatasi “su” Nietzsche inessenziale e superflua; Jünger, infatti, non assume la volontà di potenza come una dottrina generalmente riconosciuta che debba essere ancora discussa e semmai aggiustata». Ma la coglie per quello che è, vale a dire la caratteristica profonda del mondo in cui è immerso: dalla Prima guerra mondiale la realtà intera soggiace alla volontà di potenza, alla volontà di rendere tutto ciò che esiste utile e fruttuoso, disponibile e sfruttabile. È questo l’obiettivo a cui mira il lavoro realizzato dall’operaio che si mette al servizio dell’estensione della tecnica su tutto il pianeta. E niente sfugge a questa morsa, neppure l’uomo.

Infatti, secondo Heidegger, Jünger non è un filosofo ma una sorta di sismografo che attraverso l’esperienza al fronte racconta nei suoi romanzi incentrati sulla Prima guerra mondiale la trasformazione accaduta alla svolta del Novecento. A fronteggiarsi nel conflitto non sono più solo gli eserciti ma i materiali, le risorse, le tecnologie di cui essi dispongono. «Jünger tenta di tener testa alla diversa essenza della Prima guerra mondiale per lasciare dietro di sé, mettendola in risalto rispetto a tale guerra, l’epoca prebellica, e determinare il presente in modo nuovo, ossia a partire da se stesso».

La fatica di Jünger non consiste nel rivendicare per la Germania glorie passate o nell’aspirare a una restaurazione dell’impero guglielmino. Tutto questo non è più possibile perché ormai la potenza non si misura più sui territori conquistati ma nell’essere all’altezza e nella capacità di farsi carico delle forze scatenate dalla tecnica. Qui sta il segreto del futuro e della potenza.

«Da noi», scrive Heidegger, «soltanto nei presentimenti di pochi combattenti essenziali (Jünger, ndr) era divenuto certezza il presagio che si preparasse un mutamento nelle modalità di detenzione della potenza mondiale. Le potenze occidentali combattono per la salvezza di ciò che è finora invalso, noi combattiamo per conformare un avvenire». E continua bacchettando conservatori e reazionari: «Gli slogan come “socialismo tedesco” contro “plutocratia” occidentale sono non meno superficiali, privi di scopo e senza forza essenziale di quelli guglielmini del 1914/18 I tempi sono cambiati e le consunte parole d’ordine del passato non funzionano più».

«La lotta», continua, «non può concernere il fatto che ottanta e più milioni di uomini abbiano il loro spazio vitale e vedano soddisfatti i loro interessi esclusivamente perché in effetti esistono come una tale massa d’uomini e devono pertanto condurre più in là il “progresso della cultura”». «Alla domanda che chiede chi siano gli ottanta milioni, non si risponde nemmeno in base a ciò che hanno fatto i loro predecessori, bensì in base a ciò che loro stessi sono in grado di conoscere e volere come incarico dell’avvenire al fine di poter da ciò seriamente misurare se sono degni di richiamarsi ai predecessori». Ormai «le attuali comunità statali – democratiche, fasciste, bolsceviche – e le loro forme miste, sono facciate», dietro cui agisce la forza inarrestabile della tecnica.

A questa consapevolezza Jünger conduce Heidegger che a sua volta la farà propria per preparare il terreno a una nuova fase del mondo.