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Fedele alla linea

di Fiorenza Licitra - 01/07/2013



 

«Sono nato cattolico e felice»: così esordisce Giovanni Lindo Ferretti nel documentario “Fedele alla linea” del regista Germano Maccioni.

Ferretti nacque e trascorse parte della sua infanzia a Cerreto Alpi, fulcro dell’Appennino reggiano, tra matriarcato – la Madre (in quelle zone più venerata del figlio Gesù), la nonna, la mamma – e monti aspri, tranne quando i mandorli, indocili all’austero, sbocciano.

Ancora bambino, venne trasferito a Reggio Emilia, quasi una metropoli per un montanaro, spaccata  in due da un’invisibile linea gotica: a destra la sede del PCI, a sinistra le mondane. La nonna temeva più i comunisti, perché le puttane, diceva, erano comunque delle signore.

Fu nel collegio in cui lo spedirono che suora Aurelia scoprì in lui un talento canoro, tanto da decidere di accompagnarlo, in presenza dello sbattezzato maestro di canto, dritto dritto allo “Zecchino d’oro”. Mago Zurlì quella volta rimase interdetto: non facevano proprio parte del repertorio, le litanie! Scavalcata l’acerrima suora, Zurlì si rivolse al piccolo per chiedere scampo: non avrebbe, magari, potuto sostituire quel crepuscolo con qualche motivetto in voga? Niente da fare: quel bambino era cresciuto cattolico e felice, fuori dal mondo cioè.

Non si parlò più di salmodiare fino a quando Ferretti incontrò Massimo Zamboni nella Berlino del Muro. Era il 1981, anno in cui fu forte l’influenza del genere industrial –capeggiato indiscutibilmente dagli Einstürzende Neubauten – con l’azzardo della sperimentazione e del soqquadro: la modernità, insomma. Così nacquero i CCCP con tutto ciò che l’acronimo comportava. Ma non soltanto.

Nelle pause dai concerti, Ferretti abitava a Cerreto Alpi: lì era tornata a vivere la madre, lì restavano le sue montagne appuntate di neve. Prima ancora di entrare in casa, passava dalle stalle e i cavalli, fiutandolo, lo riconoscevano: era l’attimo che irrompeva nel caos dei tour e negli eccessi degli incontri fuggevoli; era il focolare, la stalla. La madre, invece, per trent’anni non trovò modo di capacitarsi di avere allevato un figlio tanto sconosciuto.

Poi vennero il nomadismo, le aquile a cavalcare i cieli e ancora quell’idea equestre da cui ebbe inizio ogni vera conquista d’uomo: la Mongolia, da cui occorrono anni per ritornare. Proruppero i CSI, sempre a fianco di Zamboni, ma senza provocazioni, solo vocazione d’infinito. Quanto più il successo gli arrideva, però, tanto più Ferretti stava peggio; in lui cresceva il disagio – fare il cantante non era un mestiere, o per lo meno non era serio come fare il fornaio che, impastando, concepisce – e avanzava il male: un tumore ai polmoni. La malattia, egli dirà poi, è una delle cose più vitali che possono capitare: è lì che avviene il confronto con la vita, petto a petto; è lì che si annoda il tragico, cioè lo stupore. Ma lui, celtico montanaro, cresciuto  in un minuscolo borgo,  in cui a ogni fine terrena corrisponde un bacio eterno, è avvezzo agli animali che abituano alla moltiplicazione come all’estinzione, non teme la morte.

E’ l’ora in cui ai CSI subentrano i P.G.R. (Per Grazia Ricevuta), ma senza più Zamboni.

Dopo poco pochi anni, a età ormai matura, arriva il tempo de “La corte transumante di Nassetà”, per celebrare le creature – cavalieri, conquiste e cavalli – e dunque il Creato.

I “fan” hanno accusato Giovanni Lindo Ferretti di essersi schierato con la destra e, ancora peggio, con la chiesa; l’imputazione è delle più infamanti: tradimento. Ma vadano a riascoltare, questi benemeriti “fan”, i vecchi CCCP in “Madre” o “Palestina”, per non parlare poi dei CSI: vi troveranno monito di Luce; vadano sull’Appennino, che tanto bene si presta al covo dei lupi, di fronte ai maremmani fumanti per lo sforzo della salita aspra, a consumare l’alba e poi vengano a dire che non riconoscono ancora le prove di Dio.

Non c’è stato alcun abbandono da parte di Ferretti, che l’aveva detto: «Non fare di me un idolo, mi brucerò».

E’ di destra, Ferretti? Certo, però troppo: è “alla destra del Padre”. Provate voi, tanta sublime immodestia.