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Il Grande Fratello prima del Grande Orecchio

di Paolo Martini - 25/07/2006

 
LA «GOGNA MEDIATICA» DELLE INTERCETTAZIONI? IN FONDO ERA GIA’ TUTTO SCRITTO, O VISTO IN TELEVISIONE

Travolta da un insolito destino telefonino-maniacale, l’Italia dei cosiddetti Vip viene messa a nudo caso dopo caso. Potere economico e mondanità, calcio e televisione, giornali e politica, persino i servizi segreti: quasi nulla sembra resistere a questa ondata di “trasparenza”. Del mondo dell’apparenza che ci domina, giorno dopo giorno, sembra che non restino più segreti. L’impudica e continua pubblicazione dei dialoghi degli intercettati eccellenti può far storcere la bocca a molti, e non senza ragioni d’ordine etico, perché travolge impietosamente anche le vite private degli interessati. Opinionisti e leader politici, d’entrambi gli schieramenti, si pronunciano sempre più spesso contro la pubblicazione di questo straordinario brogliaccio pubblico quotidiano del presente. S’invoca un impossibile nuovo velo di nascondimento da imporre per legge, magari pure in buona fede, cattolica ovviamente, e dunque di tutela della persona, come fa il nuovo Guardasigilli Clemente Mastella. Con l’eccezione notevole del solito vecchio leone Marco Pannella (“pubblichiamo tutto, di tutti, è la democrazia”) nelle polemiche di questi giorni molti nostri politici hanno fatto sfoggio di concetti che formano una sorta di nostalgico luogo-comunismo. In singolare sintonia culturale con Flavio Briatore - “così si rovinano le famiglie” è lo slogan - s’invoca prima di tutto la tutela dell’istituzione naturale per eccellenza, senza nemmeno rendersi conto dell’ambivalenza del riferimento: dalle intercettazioni in pubblico vengono alla luce, appunto, belle “famiglie” stile Padrino o Sopranos.

Ci sono poi i concetti più logori come “gogna mediatica” e l’invocazione più assurda di tutte: “non possiamo stare tutti sempre dentro al Grande fratello”. Che siano parole semplici, usate per farsi comprendere meglio, è possibile: ma quel che se ne ricava è la sensazione di un incolmabile ritardo di percezione del tempo presente e della sua strana, ineluttabile trasparenza assoluta. Basta vedere l’ultimo film di cassetta con Hugh Grant, per esempio, “American Dreamz”. E’ la versione di fantasia di un trionfale “reality show” che tradotto in termini televisivi italiani potrebbe stare a metà tra la gara di talenti alla Maria De Filippi e l’ultimo gioco sadico di Teo Mammucari. Altro che sentimenti e famiglia: a finire travolti nell’onda del cinico presentatore sono persino i terroristi islamici e il presidente americano, in questa feroce commedia, demenziale e geniale insieme, perfetto spaccato del potere di seduzione collettiva della nuova frontiera “realiticistica” della televisione.

Ma basta anche semplicemente dare un’occhiata a caso, in qualunque orario, ai canali tematici tutti “reality” che arrivano via satellite da mezzo mondo, magari proprio a quello olandese che l’inventore del Grande fratello John de Mol usa per i suoi nuovi esperimenti. Oppure, per stare su qualcosa di più tradizionale, che sembra piacere tanto ai nostri leader politici, ci si poteva mettere in coda all’Hangar Bicocca di Milano per una mostra d’arte contemporanea di grande richiamo, come l’ultima di Marina Abramovic, che dagli anni Settanta ha trasformato il suo corpo in opera, esponendolo persino alla brutalità. Senza scomodare le cronache vere, che ci propongono ogni giorno gli orrori dei corpi straziati nei teatri del mondo, la testa mozzata in diretta di un ostaggio, la macchia ematica autentica - e non da telefilm “Csi”- dell’ultimo bambino ammazzato in casa, i corpi segati in quattro dell’ultimo delitto, persino lo sporco nella biancheria intima di un’imputata d’omicidio, come se avessero una qualche importanza oggettiva. Ma non ci sarebbe bisogno d’entrare subito in questo allucinante e desolato girone infernale del reale: si può guardare alla finzione del teatro. L’evento cult di stagione a Roma è quello di un’attrice che invita ogni sera in casa sette-otto spettatori per raccontare dettagliatamente come ha subito da bambina le violenze sessuali del padre.

L’ormai ben noto teorico della “modernità liquida” Zygmunt Baumann, interprete di questa nostra società che appare appunto in totale liquefazione, ha scritto pagine illuminanti che anche i leader politici dovrebbero conoscere. L’ultraottantenne sociologo-guru ha lucidamente raccontato già nel 2002 (“La società sotto assedio”) come il Grande fratello e i programmi del genere siano proprio lo specchio più fedele della tendenza verso una realtà sociale dove al centro c’è solo il privato degli individui, dove il confine fra lo spazio pubblico e quello degli individui non esiste più, dove contano solo le biografie dei singoli, dove la vita politica stessa è stata spazzata via dall’affermarsi spietato di una “politica della vita” personale.

Il filosofo francese Jean Baudrillard ci spiega come in fondo questo spettacolo della banalità “costituisce oggi la vera pornografia, la vera oscenità” che ci attrae e ci conquista. Alla fine è vero che i ricercatori sguazzano tra atti notarili e archivi parrocchiali, cartoline d’epoca e diari privati con passione certo superiore a quella che suscitano i documenti per così dire ufficiali, e avranno sempre più nuova materia su cui lavorare. In una democrazia dove tutto di tutti è sotto lo Sguardo, e lo Sguardo sembra non riconoscere più nessun confine, appare molto sospetto che a sfuggire debbano essere solo le spudorate telefonate sulla “porcella” di un Sottile nero o sulla parcella di un Consorte rosso.