L'alleanza più pericolosa del mondo
di Norman Solomon - 25/07/2006
Nel 40esimo anno dell’inconcepibile occupazione di Israele dei territori palestinesi, i leader israeliani hanno scritto la loro agenda politica. E la nostra? La nostra dovrebbe includere una chiara opposizione all’alleanza più pericolosa del mondo. Evadere il coro 'usare la forza è giusto' non è così difficile" |
Dopo aver lasciato il Libano, la scrittrice June Rugh martedì scorso ha dichiarato alla Reuters: “Come americana, mi sento imbarazzata e mi vergogno. Il governo del mio paese sta dando a Israele il tacito consenso per distruggere un paese”. Naturalmente, gli ufficiali israeliani parlano di crimini perpetrati da Hamas e da Hezbollah contro la popolazione civile. E Hamas ed Hezbollah parlano a loro volta di crimini perpetrati da Israele contro la popolazione civile. Alla fine, crimini su crimini. Tuttavia, Israele ha più ucciso che sofferto uccisioni. (Se avete dei dubbi, date un’occhiata al sito internet del gruppo israeliano per i diritti umani B'Tselem e alle documentazioni di eventi sanguinosi che riporta). “Israele vanta una schiacciante superiorità militare sia nel Libano del Sud che a gaza”, ha ricordato il New York Times a metà luglio. Ecco uno schema piuttosto noto tra i media e gli ambienti politici statunitensi: da un lato condannare i piccoli assassini, dall’altro giustificare gli omicidi di massa con spiegazioni interminabili. Lasciando da parte la retorica giustificatrice, le manipolazioni mediatiche e le consuete contorsioni dei giornalisti, ciò che rimane del patto Usa-Israele è la (mal)celata presupposizione che esso possa funzionare. I miti tornano ogni volta che ce n’è bisogno. I leader israeliani che questo mese hanno lanciato il loro attacco perfetto su Gaza e sul Libano avrebbero dovuto sapere quanti civili sarebbero stati uccisi, quanti altri feriti e quanti ancora terrorizzati. Il fatto che l’esercito israeliano eviti di colpire i civili è più che altro un’ovvietà moralistica – che, in termini di vite umane, risulta completamente irrilevante rispetto all’idea di porre un freno alla carneficina. “Ci sono terroristi per scopi tattici fanno saltare in aria persone innocenti”, ha dichiarato George Bush il 13 luglio scorso. Si riferiva naturalmente ad Hamas e a Hezbollah. Dovremmo pretendere allo stesso modo che Israele “per scopi tattici non faccia saltare in aria persone innocenti”. Israele si autodefinisce uno Stato ebraico, e la sua leadership sostiene di rappresentare gli interessi degli ebrei. Gli assassini che terrorizzano spesso affermano di agire a favore di propri fratelli di fede. Musulmani, cristiani, ebrei, indostani… Ora, una tale demagogia ha bisogno di diventare trasparente. Negli Stati Uniti, evadere il coro “usare la forza è giusto” non è così difficile. Si tratta dello stesso inganno che consente a Israele di bombardare il Libano e Gaza, del trucco che traspare dalle maliziose dichiarazioni di cui si rendono protagonisti anche i migliori politici di Capitol Hill. Lo si legge negli editoriali del New York Times. Invece di riconoscere che l’offensiva di Israele “è totalmente deprecabile e antitetica agli strumenti della politica”, il messaggio che passa è che essa può essere accettata e della politica costituisce una strategia.
L’ultimo libro di Norman Solomon è “War Made Easy: How Presidents and PunditsKeep Spinning Us to Death”, pubblicato da Wiley nel 2005 ed edito in Italia da Nuovi Mondi Media con il titolo “MediaWar. Dal Vietnam all’Iraq. Le macchinazioni della politica e dei media per promuovere la guerra”. Solomon è fondatore e direttore esecutivo dell’Institute for Public Accuracy.
Fonte: AlterNet |