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Questo pane è mio! Dai grani antichi ai diserbanti, storie di guerra e di riforme

di Francesco Cancellieri - 31/07/2013


 

grani antichi sono tutti quei grani che non hanno subito interventi di selezione da  
parte dell'uomo e che non sono stati geneticamente modificati, ma che sono rimasti "originali":così 
come madre natura li ha creati.

Esistono varie specie di grani antichi che si sono formati 
spontaneamente in zone diverse per clima, altitudine e tipologia del terreno. Tra questi: "Senatore 
Cappelli", "Verna", "Frassineto", "Gentilrosso", San Pastore", "Farro" ed ancora "Timilìa", 
"Margherito", "Russello", "Maiorca", "Strazzavisazz", "Bufala rossa" e "Cuccitta".

«Questo 
pane è il mio, è il mio pane perché l'ho fatto fare nel mio panificio. E so che cosa c'è in questo pane, 
conosco il seme del grano che ho seminato io, il lievito naturale che ho utilizzato io. E so che cosa 
c'è in questo pane, perché lo debbo dare anche ai miei bambini...». Il primo minuto del 
documentario La chiave rubata della città del grano (La clé volée de la cité du 
grain
) sembra creato dalla sensibilità di un grande regista, di un Andrej Tarkovskij immerso 
nel  sole accecante della Sicilia. Il film è invece opera di una coppia di registi belgi Jean-Christophe 
Lamy e Paul-Jean Vranken. Una mano semiaperta da contadino, appoggiata al tavolo, un coltello a 
serramanico e una pagnotta di pane. La fotografia esalta la dimensione quasi spirituale degli oggetti. 
Una luce primordiale avvolge le cose, la campagna. La camera fissa il protagonista del film, 
Giuseppe Li Rosi, e ascolta le sue parole: è un siciliano, non ci sono dubbi, lo tradisce l'accento, il 
peso che lui conferisce ad ogni singola parola, ad ogni singola sillaba. È un siciliano che ama la terra, 
la sua terra. Pare fondamentale che gli oggetti possano essere toccati. Nel documentario la 
materialità delle cose è portatrice di valore: la spiga che si sgrana nel palmo del contadino, il fruscio 
delle piante sulle gambe, lo stesso volante della moto trebbia assumono un valore quasi metafisico 
grazie alle pause, ai silenzi, alla colonna sonora mai leziosa.

La terra e l'uomo che la 
coltiva sopravvivono, ormai da tempo, a laceranti crisi che lasciano segni profondi non solo nella 
nostra economia ma anche nelle nostre coscienze. Gli squarci provocati dai goffi uomini che hanno 
avuto in mano le sorti politiche dell'arte di coltivare il suolo e l'illusione contadina di abbandonare la 
passione per la terra ed avvicinarsi al profitto praticando la strada larga della chimica e 
dell'inquinamento, hanno provocato la diaspora nelle campagne e la disgrazia nella popolazione 
rurale.

La ruralità spiccata della nostra Sicilia ha digerito il primo impatto con tutto ciò che 
arrivò da Oriente per consegnarlo ad un continente altrimenti affamato, divenendo pilastro del 
Mediterraneo. Tempo perso. Secoli di storia e di esperienza svenduti, ai giorni nostri, per poche 
palline colorate da banditori idioti su mercati che non controllano più o che non possono più 
controllare. E' la morte. Ma la morte è una lunga attesa; essa dà all'uomo sempre l'occasione di 
convertirsi, di ritrovarsi, di ribellarsi all'inganno prima di passare oltre la linea di demarcazione.


Allo stato attuale sembra incombere il pericolo di perdere le nostre aziende agricole, di perdere 
la nostra terra, per sempre. E questo è il pericolo. L'occasione di cambiamento e salvezza dove sta? 
Innanzitutto, dobbiamo essere coscienti che uscire dalla crisi non è solo un fattore economico, ma è 
principalmente un fattore umano. L'uomo senza la conoscenza non è un attore, ma un servo, uno 
schiavo. Noi, senza nemmeno accorgercene siamo divenuti schiavi di quelle transnazionali alle quali 
interessa solo il profitto, schiavi dei poteri forti che hanno provocato fame e sradicamento nel mondo 
distruggendo intere civiltà e creato in noi la paura del diverso, di tutto quello che proviene dal mare, 
dal grano canadese, dall'ortofrutta africana ecc. 

La paura è giustificata perché questi 
prodotti hanno distrutto i nostri mercati, hanno inquinato le nostre mense, lasciano invenduti i nostri 
prodotti. Ma il potere a questi prodotti - non sempre e necessariamente cattivi - lo abbiamo dato noi, 
perchè abbiamo sostituito la nostra ricca biodiversità con lo standard delle multinazionali. Abbiamo 
abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le 
macchine e non per l'essere umano. E‘ stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di 
lenticchie. Qualcuno propone una Riforma Agraria, serve piuttosto una Riforma Agronomica e 
Agroenergetica.

Il problema non nasce in questi ultimi anni ma in tempi recenti; si profilò 
già alla fine della II Guerra Mondiale, quando le fabbriche di munizioni rimasero con i magazzini 
pieni di nitrato d'ammonio che era stato utilizzato per fabbricare gli esplosivi. Dopo una breve 
ricerca i fabbricanti di armi scoprirono che il solito amico Fritz, Haber di cognome, un tedesco di 
origine ebraica, aveva capito, nel 1906, come dare il nitrato d'ammonio ai vegetali. Costui aveva 
anche inventato lo Zyklon B usato per gasare gli ebrei nei campi di sterminio.

Durante la 
guerra del Vietnam, poi, furono creati i defolianti per scovare i terribili Vietcong che difendevano le 
loro risaie, nascondendosi nella vegetazione delle loro foreste. Da qui vennero fuori i gloriosi 
diserbanti che nelle pubblicità vengono definiti come "protettori delle colture dai loro nemici naturali". 
Se poniamo attenzione vediamo, quindi, che per fare agricoltura stiamo utilizzando due "sistemi di 
distruzione di massa".

La natura ringrazia insieme al consumatore per la strage "differita" 
che stiamo provocando. Differita perché non si muore subito ma dopo avere consumato una buona 
dose di prodotti farmaceutici. Forse potremmo abbassare pure l'Irap se mangiassimo sano. Ciò non 
bastò, perché l'industria non si accontentò di vendere i suoi "elisir", ma rivolse l'attenzione anche 
alla cosa più importante per il contadino: il seme, "a simenza". 

A 
questo punto nasce l'altro inganno. Con il pretesto di risolvere la fame nel mondo gli "scienziati" 
attivano una serie di mutagenesi indotte per modificare il mais, il grano tenero poi e per ultimo il 
grano duro. Così il lavoro svolto dai contadini negli ultimi 10.000 - 15.000 anni, che selezionarono, 
"con la loro ignoranza", centinaia di popolazioni di frumento, rispettandone la natura e adeguandole 
alla moltitudine di microclimi, consegnando alle generazioni future un tesoro di biodiversità vegetale, 
venne messo al bando per promuovere il risultato ottenuto "dalla scienza" in una notte del 1974 con 
l'ausilio di un cannone ai raggi gamma del cobalto inventandosi le varietà di grano nanizzato - 
iperproduttivo che necessita di nitrato d'ammonio, di diserbanti e di antifungini, la cui caratteristica, 
oltre a quella dell'iperglutine è quella di avere perduto la diversità ed acquisito l'omogeneità.


«Ovviamente le nuove varietà sono meno capaci di rispondere adattativamente ai futuri 
cambiamenti climatici o alla comparsa di parassiti» - disse il Luigi Monti durante la sua Laudatio 
Academica all'Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Scienze Biotecnologiche, in 
occasione del Conferimento della Laurea honoris causa a Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, 
l'artefice della mutagenesi indotta applicata sui cereali nel suo progetto Campo Gamma - ed infine 
aggiunse: «Esiste, quindi, una contraddizione tra il miglioramento genetico e la conservazione della 
biodiversità, nel senso che le nuove varietà riducono la diversità genetica presente nell'ecosistema». 
Fu sincero però. Lo stesso lavoro lo si sta facendo sull'umanità a discapito dell'identità e della 
diversità dei popoli.

Le aziende siciliane non hanno più la sovranità sul seme, quindi, non 
hanno neppure quella alimentare. E se il rapporto tra lo schiavo ed il padrone si risolve nella dazione 
o meno del cibo possiamo dire che oggi siamo schiavi. Credo, poi, che gli agricoltori non si rendano 
conto di cosa abbiano studiato a nostro danno. L'agricoltore vende il grano a 15 - 16 euro a quintale, 
ossia a 10 euro in meno di quanto gli costa produrlo. Eppure i raccolti continuano di anno in anno. 
Perché? Di fronte al prezzo basso, il contadino, per pagare le fatture, l'Inps, onorare i debiti e 
mantenere i figli ha una sola possibilità: produrre di più. Per aumentare le rese di qualche quintale 
per ettaro si impoverisce la terra, si usano anche terreni marginali e si abusa di concimi chimici. Ma 
più aumenta l'offerta di grano, più cala il prezzo. Spirale di follia.

L'agricoltore continua a 
misurare il suo lavoro in base ai quintali/ettaro, facendo magari a gara con il circondario, mentre va 
verso il fallimento. Per il mercato, anche se fallisce un agricoltore, non è un problema, la terra 
continua a produrre. Inoltre, i contributi che vanno nelle tasche degli agricoltori in realtà aiutano i 
compratori di grano a prezzi stracciati.

Saranno sempre i governi a guidare l'agricoltura. 
Oggi, le aziende agricole sono dei centri di trasformazione di combustibili fossili in cibo. Un inganno, 
un bluff pare ci sia alla base di questa crisi. Consolidatosi nell'arco di pochi lustri, divenuto verità 
difesa con convinzione a tutti i livelli. Il cibo non e' solo una merce. Il cibo non e' un insieme di 
nutrienti chimici. Esso è una rete di rapporti tra un gran numero di esseri viventi, umani e non 
umani, tutti dipendenti gli uni dagli altri e tutti radicati nel terreno e nutriti dalla luce del sole. Ma 
questo è possibile solo ad un'azienda agro-energetica che appartenga ad un territorio che abbia la 
sovranità alimentare e l'indipendenza.