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Massimo Bontempelli e la ricetta Novecentista: magia, giovinezza, europeismo…

di Ivan Buttignon - 23/08/2013


900, Cahiers d’Italie et d’Europe è una rivista letteraria fondata nel 1926 da Massimo Bontempelli, che ne è anche direttore. Lo scrittore comense introduce le pubblicazioni del periodico con i cosiddetti quattro preamboli, interventi programmatici intitolati Giustificazione, Fondamenti, Consigli, Analogie, che escono nell’autunno del 1926, nel marzo e nel giugno dell’anno successivo. In questi interventi ritroviamo le colonne portanti del Novecentismo, corrente letteraria inventata da Bontempelli e diffusa dal suo giornale.

Il proclama nella prima pagina del primo fascicolo di “900”, in cui si propone di ricostruire “lo Spazio” e “il Tempo” attraverso l’immaginazione, è eloquente. Scrive infatti Bontempelli che “Il compito più urgente e preciso del secolo ventesimo, sarà la ricostruzione del tempo e dello spazio” e ancora “Quando potremo credere di nuovo in un Tempo e in uno Spazio oggettivi e assoluti, che si allontanano dall’uomo verso l’infinito, sarà facile riseparare la materia dallo spirito, e riprendere a combinare le variazioni innumerevoli delle loro armonie. A questo punto potremo con sicurezza affrontare il secondo compito, che sarà il ritrovamento dell’individuo, sicuro di sé, sicuro d’esser sé, di essere sé e non altri, sé con alcune certezze e alcune responsabilità, con le sue passioni particolari e una morale universale: e in cima a tutto ritroveremo forse un Dio, da pregare o da combattere”[1]. Sembra quasi una professione di fede di pura marca crociata[2].

Ricostruzione della realtà esterna e della realtà individuale, quindi. Che dev’essere fatta non dalla filosofia ma dall’arte attraverso il solo strumento dell’immaginazione. Strumento che va inteso come la capacità di creare il mondo e che va alimentato più dalle eccitazioni che dai sentimenti[3]. Strumento, ancora, che permette di “riimparare l’arte di costruire, per inventare i miti freschi onde possa scaturire la nuova atmosfera di cui abbiamo bisogno per respirare… Quando avremo collocato un nuovo solido mondo davanti a noi, la nostra più solerte occupazione sarà passeggiarlo ed esplorarlo”[4]. Precisamente, è “l’arte del Novecento” che deve costruire un mondo reale esterno all’uomo. E dominarlo. Al dominio dell’uomo sulla natura Bontempelli dà un nome: lo chiama “magia”.

I novecentisti vedono la vita ordinaria, quotidiana, come una continua avventura, fatta di rischi, eroismi e trappolerie per scampare alla monotonia. E’ l’esercizio dell’arte, in primis, a permettere queste evasioni. La sua regola di base prevede infatti di “avventurarsi di minuto in minuto, fino al momento in cui o si è assunti in cielo o si precipita”[5]. Il percorso bontempelliano è lontano anni luce dal realismo e del verismo, dal lirismo aprioristico e dalla meccanica tipicamente futuristi, ma anche dal neo classicismo, dall’idealismo, dal provincialismo e dal modernismo da American Bar che gli avversari sostengono – erroneamente – sia endemico a Bontempelli e ai suoi. E’ piuttosto vissuto come un’opportunità di creare miti moderni, di ricreare quelli antichi, di guardare al mondo con gli occhi dei poeti, nella sua magnificenza, nei suoi colori e nelle sue immagini. Ciò che piace agli europei ma molto meno agli italiani, cioè la compilazione di “900 – Cahiers d’Italie et d’Europe” in lingua francese, così è giustificato da Massimo Bontempelli in una lettera pubblicata sul “Tevere”: “La rivista sarà redatta in francese perchè ha intenzione: – 1) di segnalar bene la parte che l’Italia ha (contro l’opinione comune) nella formazione di un’atmosfera poetica nuova; tanto nuova che il nostro tempo è, credo, il preludio di una nuovissima terza èra, dopo il classicismo cha va da Omero a Cristo (escluso), e il classicismo che va da Cristo al balletto russo (compreso), come ho già annunziato altre volte. – 2) di far più intenso tale contributo col buttare addirittura audacemente in gara i giovanissimi valori italiani con i men giovani valori delle altre. Nazioni. – 3) di ottenere che sieno essi valori italiani, esportandosi e penetrando, a premere sugli stranieri e informarli di sè, contrariamente a quanto è avvenuto in tempi più timidi. Per ottenere questi fini mi occorre una lingua che sia ampiamente letta in Europa. Ad altri il compito di imporre la lingua italiana a tutto il mondo della cultura; ma sarà un lento lavoro. Spero che tra 10 anni ‘900’ potrà essere scritto in italiano e così letto in tutta Europa. Per ora, se lo scrivessi in italiano lo leggerebbero 1000 italiani e 50 stranieri; in francese lo leggeranno ugualmente quei 1000 italiani, più 5000 stranieri, secondo il computo infallibile che abbiamo fatto Suckert e io quando abbiamo preso la risoluzione che ha destato tante apprensioni. Uno dei caratteri che credo necessario fomentare nella letteratura moderna, è la immaginazione inventiva, la facoltà di creare miti, favole, personaggi così vivi da mantenere il solido della loro vita, anche tradotti, anche rinarrati in altre forme. Una delle riprove del valore di un’opera novecentista sarà la sua traducibilità. Perciò ai giovanissimi che stanno con me in questo tentativo orgoglioso impongo questo sacrificio e questa minorazione; di presentarsi senza l’aiuto e il vantaggio del loro idioma; e quale idioma!”[6].

Malaparte, a sostegno dell’amico (ancora per poco) Bontempelli, spiega che “l’Italiano è poco letto in Italia; ed è parlato pochissimo fuori d’Italia. La nostra lingua non è perciò uno strumento di conoscenza e di propaganda”[7].

Dei “cahiers” l’espertissimo giornalista da rivista Giuseppe Prezzolini gradisce parecchio la vitalità, l’entusiasmo, lo spirito audace e per certi aspetti rivoluzionario che si contrappone al conservatorismo e all’inerzia delle lettere italiane[8].

Un’altra eccellente adesione viene da Ruggero Orlando che osserva “si respira per tutte le pagine un aroma saporoso di aria libera e la giovinezza […] trionfa con tutta la sua bellezza e anche con tutti i suoi eccessi” tanto che definisce la rivista nientemeno che “una grande ambasciatrice di italianità”[9].

Giulio Santangelo non nasconde il suo fervido sarcasmo quando si tratta di difendere “900” dalle indegne accuse: “E Goldoni, non ha scritto commedie e memorie in francese? Chi si è mai sognato, per questo, di reclamarlo alla letteratura francese? E i nostri amati Savoia, non si sa che hanno sempre parlato francese in casa, fino a mezzo secolo fa? E non si sa che Cavour parlava assai a stento l’italiano? Ma Cavour ha fatto l’Italia o ha fatto la Francia? […] Chi crede che possiamo costruirci un impero a furia di spaghetti e abbacchio alla cacciatora?”[10].

Piuttosto apprezzata su scala europea è anche la selezione attenta e accuratissima che “900” fa dei collaboratori, escludendo quindi i fastidiosi pregiudizi di scuola, di celebrità e delle accolte editoriali e campanilistiche. Far collaborare i più rappresentativi scrittori d’Europa farà letteralmente raggiungere l’apice dell’indulgenza da parte dei colleghi esteri. La letteratura italiana esprime per la prima volta la volontà di incontrare quella europea. Di simulare quindi quello scambio che in precedenza è avvenuto solo per caso o in determinate circostanze[11].

Giovanni Artieri, nel 1960, così parla del cenacolo novecentista[12]: “La rivista ‘900’ in quell’autunno del 1926, veniva in buon punto a situare i programmi bontempelliani quasi come riassunto storico del clima comune, cioè ‘europeistico’… Bontempelli, così, passava dalla solitudine al fuoco della predicazione. E c’è da chiedersi perché; anche tenendo conto che lui si poneva come un sostituto di un’avanguardia gloriosa, quella del Futurismo, attraverso il quale – raccontandone, poi, l’esperienza – era passato. Da queste ragioni critiche si può, poi, pervenire a chiedersi perché nel regime fascista, già affermato, nasceva una rivista cosiffatta. Non si possono che avventare ipotesi; basandole sul fastidio avvertito da Mussolini, in quegli anni non ancora dittatore come dopo il ’35, di urtare, ad ogni passo, nella sistemazione storica delle origini del fascismo, in quella parola Futurismo, dietro la quale c’erano decenni significativi della vita quotidiana”.

Il culto dell’immaginazione espresso da 900 attraverso il “realismo magico” (secondo il quale elementi magici si manifestano in luoghi e situazioni altrimenti realistici) fa subito a pugni con il naturalismo, lo psicologismo e l’estetismo. L’esaltazione dell’avventura e dell’intelligenza, le uniche entità dominatrici della realtà, capaci di creare e ricreare sempre nuovi miti, sono alla base della spiritualità artistica bontempelliana. E allora…magia, giovinezza, europeismo.




[1] M. Bontempelli, L’avventura novecentista, a cura e con introduzione di Ruggiero Jacobbi, Vallecchi, Firenze, 1974, p. 9.

[2] G. Artieri, Massimo Bontempelli e l’avventura novecentesca, in “L’Osservatore politico letterario”, a. XXIV, n. 11 (novembre 1978), pp. 39-52.

[3] M. Bontempelli, L’avventura novecentista, cit., p. 15.

[4] In R. Glielmo, La traversata dell’ironia: studi su Massimo Bontempelli, Alfredo Guida Editore, Napoli, 1994,  p. 96.

[5] M. Bontempelli, L’avventura novecentista, cit., p. 10.

[6] M. Bontempelli, Perché ‘900’ sarà scritto in francese, in “Il Tevere”, 18 maggio 1926.

[7] Intervista a Curzio Malaparte riportata in A. Frateili, Il programma della rivista ‘900’, “La Fiera letteraria”, 1 agosto 1926, p. 1.

[8] G. Prezzolini, La lillérature italienne de l’après-guerre, in “La Revue de Paris”, 1929, 3, pp. 106-129.

[9] R. Orlando, Figli del secolo, in “Roma fascista”, 4 giugno 1927.

[10] G. Santangelo, Lo vogliamo fare?, in “I Lupi”, 20 gennaio 1928, p. 2.

[11] In “La conquista dello stato”, A. III, n. 9, 14 giugno 1926, p. 4.

[12] G. Artieri, Bontempelli e gli amici giovani, in “Nuova Antologia”, Roma, pp. 68-69.