Marco Della Luna, Antonio Miclavez, EuroSchiavi (recensione)
di Pietro G. Serra - 26/07/2006
Marco Della Luna, Antonio Miclavez, EuroSchiavi, Arianna editrice, Casalecchio 2005, pagg. 240, euro 12,95
Questo saggio, scritto da un avvocato, Marco della Luna, autore di altre pubblicazioni come Le chiavi del potere (Koiné) e da Antonio Miclavez, un medico appassionato di economia, costituisce un’esauriente sintesi, chiara e scorrevole nella forma, del ruolo e dell’evoluzione delle diverse categorie di banche, dalle più antiche alle più recenti. Ma non è solo un’indagine storica: la valutazione dell’attività creditizia dei soggetti bancari e la conseguente concentrazione di un enorme potere nelle loro mani, conduce gli autori ad esprimere giudizi di valore che hanno i toni di un’appassionata denuncia. Il tutto avviene però sempre al di fuori di ogni teoria complottistica. Vale la pena di riportare le affermazioni contenute a pag. 105: «molti sostengono che siamo vittime di una congiura mondiale – dei banchieri, dei finanzieri, degli Ebrei, etc. – finalizzata a istituire un Nuovo Ordine Mondiale tecnocratico[…]. Riteniamo che tutto ciò sia […] dovuto a un fraintendimento o all’ignoranza di elementari dati sull’economia e sul comportamento umano[…]definire “complotto” la strategia di un’impresa commerciale o di un cartello di imprese che si sforza di acquisire una posizione monopolistica od oligopolistica su scala locale, nazionale o globale, condizionando anche i poteri politici, è infantile – lo può fare chi non sappia nulla della realtà economica- imprenditoriale, del mercato». Una lunga citazione che ci consente di vedere in Della Luna e Miclavez due studiosi intenzionati ad deludere le speranze di tutti coloro che, nella ricerca dell’esistenza delle cospirazioni dei poteri monetari, continuano ad alimentare l’odio brandendo simbolismi negativi come quello del complotto giudaico - massonico. Ma facciamo un passo indietro. Siamo nel 1694 quando la Bank of England fornisce il denaro a uno stato che ormai non riesce più a dominare con le emissioni in proprio il disordine monetario e il suo conseguente processo inflattivo. La banca, così, già dotata di un’ importanza considerevole, acquisita durante tutto il sedicesimo secolo, assume ora un ruolo di primo piano: individuata come autorità in grado di valutare l’andamento reale dell’economia, le viene concessa la facoltà di emettere il primi biglietti di banca: le bank notes. Si tratta, sottolineano gli autori, di una vera e propria rivoluzione: col tempo, infatti, la Bank of England si consoliderà fino ad ottenere il monopolio dell’accesso al credito da parte dello stato e il suo modello si affermerà non solo in ogni paese europeo ma anche in altre parti del mondo, come Stati Uniti e Giappone.
In Italia l’operazione della nascita di una banca centrale viene guidata, nel 1893, da Giolitti; in quell’anno il Parlamento del Regno ratifica la comparsa di un soggetto nuovo, sorto dalle ceneri della Banca romana, implicata in uno storico scandalo, e dalla fusione tra la Banca Nazionale del Regno, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito. Il neonato istituto prende il nome di Banca d’Italia e muove i suoi primi passi come «società anonima», ovvero come una società per azioni a prevalente capitale privato. Giolitti interviene in prima persona al fine di garantirne l’autonomia dal potere politico, con l’unica concessione dell’approvazione da parte del Governo della nomina del direttore generale dell’istituto bancario. Nel 1910 un regio decreto le concede di esercitare il diritto di emissione assieme al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia, ma anche di fare al Ministero del Tesoro anticipazioni al tasso dell’1,5%. Con la legislazione del 1926 -27 il regime fascista attribuisce alla sola Banca d’Italia il monopolio dell’ emissione monetaria, ma è solo con le norme del 1936 che l’istituto di credito muta radicalmente la sua struttura: tutte le disposizioni legislative di quegli anni ne confermano l’autonomia e ne consolidano l’immagine di “Istituto di diritto pubblico”, nonostante, come detto poc’anzi, il suo assetto interno sia quello di una società per azioni.
La Banca d’Italia cresce fino a raggiungere, nel 1992, con una legge promossa dall’allora ministro del Tesoro Guido Carli, la totale indipendenza dal controllo pubblico, con il potere di fissare il tasso di sconto senza doverlo più concordare con lo Stato. Il lungo processo evolutivo dell’organismo bancario, di cui si parlava all’inizio, è ormai compiuto. L’Italia è un caso emblematico, perché ormai in tutte le società capitalistiche gli interessi delle banche di stato si sono saldati con quelli dei governi, a un punto tale da consegnare il potere nelle mani di pochi soggetti economici che hanno fatto del debito pubblico un colossale affare. Il debito pubblico cresce incessantemente. Al momento, come da poco ha dichiarato Silvio Berlusconi in un recente confronto televisivo, ogni italiano deve restituire solo di interessi passivi circa 20 mila euro. È una cifra colossale, quella del debito pubblico, legata a un’attività bancaria che prende il nome di signoraggio. Siamo così arrivati alla parte fondamentale del libro: cos’è il signoraggio? Il signoraggio è la differenza fra il valore legale di una moneta e i suoi costi di produzione. Gli autori espongono la questione con molta chiarezza: lo stato italiano chiede 100 milioni di euro alla banca centrale e li paga con titoli del debito pubblico, la banca li acquista ma emette la cifra a costo zero o quasi, dato che spende 3 centesimi per stampare una banconota (fabbricare moneta costa pochissimo e ciò è dovuto al fatto che più o meno dal 1929 le banche non hanno l’obbligo del gold exchange, cioè della convertibilità in oro), lo stato deve così restituire la somma avuta più gli interessi (il tus) del 2,5%. Una volta conclusa la transazione, la Banca d’Italia vende i titoli e apposta i 100 milioni di euro al passivo, evitando di pagare le tasse su quello che è un puro incremento di capitale, un profitto. È un guadagno enorme per una banca di stato che crea il denaro dal nulla e i cui capitali sono nelle mani dei grandi istituti commerciali e compagnie di assicurazione d’Italia (e il libro ne riporta un elenco dettagliato). Si intuisce allora quanto siano smisurati gli interessi che ruotano attorno al recente tentativo di acquisto della Bnl. Sono interessanti, a questo proposito, le affermazioni di Marco Saba, autore della prefazione e studioso di problematiche economiche: «se è vero che la Banca d’Italia prende 147 milioni di euro al giorno di signoraggio - afferma Saba -, BNL come socia ne prende il 2,83%. Con semplici calcoli aritmetici si può capire in quanti giorni il Banco di Bilbao y Vizcaya rientrerà dell’investimento di 7 miliardi di euro dell’OPA. Rientrerà in 1688,61 giorni, ovvero in 4.74 anni». Se questo comportamento non suscita l’indignazione popolare, è chiaro che si sono ormai consolidate nuove forme di egemonia che aspirano, scrivono gli autori, a trattare le persone come «mere parti del ciclo riproduttivo della ricchezza», a tutto danno delle categorie deboli di una società in cui i vecchi e gli invalidi «sarebbero trattati come zavorra», e questo perché, nell’economia globalizzata, non si potranno avere «al contempo, più di due alla volta tra le seguenti condizioni: sviluppo, democrazia, protezione sociale».
Se in definitiva fosse lo Stato a stampare la moneta, riappropriandosi della sovranità monetaria, non esisterebbe il debito pubblico e le tasse potrebbero essere impiegate per il miglioramento strutturale della società civile. Un compito quantomai difficile dato che i politici non sono in grado di promuovere un’attività legislativa che possa danneggiare gli interessi dei banchieri i quali, alzando di un punto il tasso di sconto, possono scatenare crisi finanziarie gravissime, fino a mettere in pericolo la stabilità dello stato. Ma il signoraggio non coinvolge solo le grandi banche: anche i piccoli istituti, quelli che si occupano del credito ordinario, possono creare denaro creditizio dal nulla attraverso meccanismi complessi. Come quello del cosiddetto coefficiente di riserva frazionale. Che cos’è? In parole povere le banche possono oggi prestare molto più di quello che hanno nei forzieri, tenendone in riserva solo una piccola parte. Se ad esempio il coefficiente di riserva viene fissato al 2%, la banca riesce a moltiplicare un deposito per cinquanta volte. In questo modo: se un depositante dà 1000 la banca ne tiene 20 in riserva e presta gli altri 980. Tali 980, una volta che vengono depositati nella stessa o in un’altra banca possono generare altro denaro dal nulla, perché la banca può tenere in riserva 19,60 e prestare 960. L’operazione può essere ripetuta per 50 volte. Naturalmente più sarà basso il coefficiente di riserva (che può variare, secondo gli accordi di “Basilea 2” dall’1,6% al 12%) e più alta sarà la somma che la banca potrà creare dal nulla.
Il popolo non detiene più il potere. Non ha più la sovranità monetaria la cui realizzazione, peraltro, dopo il trattato di Maastricht, si è ancora di più allontanata: ora è la Banca Centrale Europea, una banca privata, perché governata dalle banche centrali a loro volta controllate dalle banche private, che può per legge emettere moneta in Europa e controllare il signoraggio. La Bce agisce al di fuori di ogni controllo politico e con le sue scelte condiziona pesantemente la vita delle nazioni. Esiste una via d’uscita? Il libro riporta la proposta di Marco Saba che assieme ad alcuni studiosi ha elaborato una serie di «pacchetti di proposte ragionevoli» il cui punto di forza è costituito dalle monete complementari e locali che, emesse da enti pubblici territoriali, dovrebbero avere una circolazione, seppur limitata, in ogni ambito della società civile. Tutto ciò non toglierebbe all’oligarchia bancaria il suo privilegio e il suo potere. Gli autori però propongono anche una soluzione più radicale: abbandonare l’euro. I vincoli imposti da Maastricht, scrivono, comportano una cessione della sovranità monetaria, «governo e parlamento […] non possono emettere la propria moneta ma devono comprarla dalla BCE; non possono agire sul tasso di sconto, perché questo è fissato dalla BCE; non possono svalutare, perché il cambio è gestito dalla BCE e vincolato alle altre euro – valute; non possono spendere a debito per i necessari investimenti produttivi (ricerca, infrastrutture, istruzione), perché sono vincolati a contenere il deficit di bilancio e a ridurre il debito pubblico».
A libro chiuso non si può non pensare che una famosa legge mosaica si sia avverata: «tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno» (Deuteronomio 15:6).
Pietro G. Serra
Diorama Letterario n. 278