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C'è chi tifa la decrescita. Ma senza falsi miti

di Stenio Solinas - 25/09/2013

La «decrescita» è una corrente
di pensiero dal nome infelice,
in una società
quale la nostra in cui lo sviluppo
non sembra contemplare ritorni
elacrisieconomicavedenellacadutadeiconsumiunanemesisociale.
Nel suo La decrescita. Un
mito post-capitalista (Diana edizioni,
pagg.158,euro12)Giuseppe
Giaccio lo sa bene: «In teoria,
tutti sidiconosensibili ai discorsi
ambientalisti.Poi,quandosiarriva
al redde rationem, nel migliore
dei casi, si ricorre alla strategia
mimetica e ipocrita dello svilupposostenibile;
nelpeggiorecisilimita
all’accusa di utopismo».
Di questa ambivalenza, il saggio
di Giaccio porta esempi a iosa,
e uno dei meriti del libro sta
nel suo sfuggire al manicheismo
delle tesi contrapposte.
André Gide definiva «banalità
superiori» quelle idee talmente
semplici e evidenti da saltare subito
agli occhi e che invece, nella
storiadelleidee,siincarnanosoltantoquandoc’è
chi riescearenderlevereenecessarie.
Sottoquesto
profilo, la «banalità superiore
» che informa ogni teoria della
decrescitaecheperònonriescea
trasformarsi in «verità necessaria
»èche«nonèpossibilecrescere
all’infinito in un mondo finito
».
Sul perché ciò non avvenga, si
potrebbe aprire una discussione
infinita,maduesonoglielementi,
di «banalità spicciola», su cui
vale la pena soffermarsi. Il primo
riprendequellafrased’usocomune
e però entrata in circolazione
danonpiù diunsecolo: «I posteri?
Che cosa hanno fatto i posteri
per me?». Racconta la fine di
un’ideadiciviltàlegataallatradizione,
alla conservazione e alla
trasmissione. Ilsecondohaache
fare con il prometeismo tipico
dell’essere umano, nel tempo
sempre più svincolatosi da qualsiasi
idea di limite, fino a giungereaunafiduciadistampofideistico.
Al combinato disposto di questa,
come dire, visione del mondo,
si aggiunge un altro elemento,
non secondario, che riguarda
proprio la società occidentale.
Dasessant’anniaquestaparte,la
sua incessante crescita socioeconomica
è avvenuta in pace,
unarcoditempoche,sesivaavedere
la storia, prima non si era
maiverificato. Ci possono essere
state crisi e catastrofi (quella petroliferaneglianniSettanta,
larecentissima
Fukushima, per fare
due esempi per il tutto), manessunadidimensionitalidagiustificareilmonitodiSaintJustaitempi
della Rivoluzione francese e
del Terrore: «Affinché l’opinione
pubblica avverta il bisogno di fare
il bene, occorre attendersi un
male generale abbastanza grande
».Nellibro,largospazioèdedicato
anche alle ambiguità politiche
che ruotano intorno al tema.
La parabola ecologista in Italia è
intalsensoesemplare,edaiverdi
di un tempo ai no-tav di oggi si
iscriveall’internodiunorizzonte
divaloriuniversalista,contuttoil
suo corteo di maiuscole (il Progresso,
lo Sviluppo, i Diritti dell’Uomo,
la Globalizzazione), che
sta allabasedi ciòchegli obiettoridella
crescitadovrebberoinvece
combattere.
Scrittoinmodopiano,Ladecrescitaraccontalapossibilità/
difficoltà
di un cambio di paradigma
perunmondopostcapitalista:selettiva
diminuzione dellaproduzioneinutile,
sovranitàalimentare,
indipendenza energetica, benesserediunanazionesullabase
della qualità della vita,unfattore
che va ben oltre il Pil… «Banalità
superiori», appunto.