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La cura con il marchio

di Roberto Satolli - 26/07/2006

Associazioni di consumatori in allarme: ricerca farmaceutica 'corrotta' da profitto e marketing
 
 
Mettere un marchio alla cura? Non è facile tradurre il titolo di 'Branding the Cure', un rapporto di 50 pagine con cui la federazione mondiale delle associazioni di consumatori Consumer International (CI) ha chiesto ai governi europei di intervenire, perché l'industria farmaceutica sta mettendo a rischio la salute del pubblico.
 
Prescrizioni medicheUna pessima fama. Il  documento si concentra sulle strategie di promozione delle 20 maggiori aziende del settore ed è pieno di esempi agghiaccianti: dall'occultamento deliberato di decessi provocati da farmaci in commercio sino alla corruzione di medici. Secondo Richard Lloyd, direttore di CI, è soprattutto una questione di trasparenza: “L'industria spende in marketing 60 miliardi di dollari l'anno, il doppio di quanto investe in ricerca, ma non sappiamo quasi nulla di come vengono usati questi soldi”. I consumatori non sono gli unici a preoccuparsi. Un anno fa il Parlamento britannico ha pubblicato il rapporto “L'influenza dell'industria farmaceutica” nel quale si conclude che “l'industria ha oggi una pessima fama, ed è una disgrazia per una istituzione della quale ci si dovrebbe poter fidare. Ci dovranno essere grandi cambiamenti”. Sullo stesso tono il documento di Trasparency International, che ha dedicato nel 2006 il suo rapporto annuale sulla corruzione globale al settore della salute: il capitolo dedicato alla “Influenza corrutrice del denaro in medicina” è in sintonia con tutto quanto precede.

FarmaciLa punta di un iceberg. Indubbiamente ciò che ha dato il via a questi allarmi è stato il ripetersi di incidenti, più o meno drammatici, che hanno aperto anche nell’opinione pubblica il varco del dubbio. Il caso della cerivastatina, ritirata dal commercio nel 2003, è solo uno di quelli che hanno attraversato le cronache: rimedi contro la depressione abusati e capaci di indurre al suicidio, pillole per dimagrire che danneggiano le valvole del cuore, ormoni per la menopausa che anziché essere elisir di giovinezza guastano la salute, superaspirine contro l’artrosi che provocano l’infarto e via elencando. Eppure, nonostante la drammaticità delle denunce, siamo ancora lontani dal comprendere sino in fondo la vastità e la profondità della crisi che la medicina e la sanità stanno affrontando. Forse il difetto di chiarezza sta nel fatto che ci si è sinora concentrati solo sui produttori di farmaci, e magari su singoli aspetti di questo mondo complesso, come per esempio la sottomissione della ricerca alla logica del profitto, l’invadenza del marketing, la debolezza delle agenzie regolatorie, l’impreparazione dei comitati etici e così via. Manca ancora la piena consapevolezza che le compagnie farmaceutiche, per quanto colossali e ingombranti, sono solo la punta più visibile e avanzata di un nuovo settore economico in piena espansione che è stato definito “complesso medico-industriale”.
 
Interessi solidali. La salute, oltre a possedere l’intrinseco valore individuale e collettivo che tutti le riconoscono, rappresenta ormai la ragione d'essere per uno dei più floridi e proficui mercati dei paesi ricchi: le sue dimensioni rappresentano circa il 10% del prodotto interno lordo in Europa, e raggiungono il 15% negli Stati Uniti. Questo fatto, evidente ma sempre taciuto come un tabù, influenza il modo in cui la medicina si sta evolvendo alla ricerca di sempre nuovi mercati. Tutti gli attori in gioco hanno di fatto interessi solidali: gli specialisti, che possono aumentare i pazienti e di conseguenza il reddito, la reputazione o il potere; gli amministratori dei centri di diagnosi o di cura, che reclutano un maggior numero di assistiti e fatturano un maggior volume di prestazioni; i produttori di apparecchiature diagnostiche e di test; quelli che forniscono oggetti di consumo o protesi; non ultime, le case farmaceutiche, che sono il vero motore di tutta la catena. Le forme più o meno spontanee di alleanza all'interno dell'industria della salute, al di là delle rivalità tra concorrenti, derivano dalla comune necessità di reclutare sempre più clienti e di far loro consumare sempre più prodotti e servizi. Come è inevitabile, dal momento che la condizione irrinunciabile per qualsiasi sistema industriale è l'espansione continua del proprio mercato: se non si cresce si muore.
 
Una sala operatoriaSpesa sanitaria in continua crescita. Il meccanismo è semplice. Per assicurare una continua crescita occorre ridefinire continuamente i confini tra salute e malattia e abbassare le soglie di intervento sui fattori di rischio (per esempio della pressione, del colesterolo o degli zuccheri nel sangue), in modo da allargare il dominio sui cui si esercita l'azione della medicina. Questo è il primo passo. Perché il mercato potenziale si trasformi poi in fatturato reale occorre anche condurre grandi campagne di sensibilizzazione, sulle malattie e sui fattori di rischio, con l'obiettivo di rendere consapevoli i cittadini della necessità di curarsi anche se si sentono in buona salute. In alcuni casi una maggior attenzione può essere un bene, in altri uno spreco o addirittura un male. Ma non è questo il punto, dal momento che gli strateghi di potenti interessi economici spingono comunque nel senso della medicalizzazione, “a prescindere”, come diceva Totò, dalla sua opportunità in termini di salute. D’altra parte la crescita incontrollabile della spesa sanitaria è solo l'altra faccia della medaglia di un aumento del fatturato e di un'espansione del mercato per l'industria della salute, che rappresenta ormai una quota determinante del PIL di tutti i paesi occidentali. Se la medicalizzazione venisse efficacemente frenata questo settore trainante entrerebbe in crisi e saremmo tutti più poveri, oltre che peggio curati. Non bisogna infatti buttare via il bambino con l’acqua sporca: la medicina contemporanea ha prodotto miracoli come i trapianti, le protesi d’anca, le lenti oculari e le cure per la leucemia, solo per citarne alcuni fra i più vistosi.
 
PilloleDifendersi dalla medicina 'industriale'. Anche per questi motivi, la resistenza alla medicalizzazione da parte della società, e della politica che la rappresenta,  è sinora debole. Però i rapporti da cui abbiamo preso le mosse sono forse il primo segnale di un malessere che si sta diffondendo tra il pubblico e gli operatori. Un ruolo critico ben diverso potrebbe essere svolto dai media e dalle associazioni di cittadini e di pazienti, qualora non fossero succubi culturalmente e materialmente rispetto agli interessi dell'industria, come sempre più spesso accade; per ricordare un esempio positivo, basti pensare a organizzazioni di consumatori come l'americana Public Citizen e alla informazione che produce a proposito di farmaci (www.citizen.org). Purtroppo, pur essendoci la possibilità che anche in Italia alcune associazioni indipendenti si evolvano verso una maggior incisività anche nel campo della salute, si deve prevedere che questo tipo di informazione sia destinata nel prossimo futuro a restare minoritaria rispetto a quella prodotta o influenzata dall'industria (si veda però il sito italiano Partecipasalute: www.partecipasalute.it). In questo caso anche la fioritura dei documenti critici sulla medicina industriale sarebbe destinata a restare una breve primavera isolata di consapevolezza.