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Reati d’opinione: cresce il fronte dei contrari

di Giuliano Lebelli - 18/10/2013

Fonte: Primatonazionale


censura

Si avvicina a grandi falcate l’introduzione del reato di negazionismo in Italia. Eppure diverse voci contrarie si levano. Antisemiti? Pseudostorici? Estremisti di destra? Non esattamente.

Il matematico Piergiorgio Odifreddi, spirito laico oggi vicino a Nichi Vendola e che nel 2007, su invito di Walter Veltroni, si candidò alle primarie del Partito Democratico in una lista di sinistra a suo sostegno, ha per esempio espresso le sue perplessità nel suo blog sul sito di Repubblica: «Affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di “psicoreati”, perseguiti da una “psicopolizia”».

Anche l’Unione delle Camere penali italiane ha contestato la norma allo studio del Senato: «L’idea di arginare un’opinione – anche la più inaccettabile o infondata – con la sanzione penale è in contrasto con uno dei capisaldi della nostra Carta Costituzionale, la quale all’art. 21 comma 1 non pone limiti di sorta alla libertà di manifestazione del pensiero. Ed il giudizio su un accadimento storico – per quanto contrastante con ogni generale e documentata evidenza o moralmente inaccettabile – in altro modo non può definirsi se non come un’opinione, che dunque non può mai essere impedita e repressa dalla giustizia penale: spetterà alla comunità scientifica rintuzzarla, ove sia il caso, e alla maturità dell’opinione pubblica democratica lasciare nell’isolamento chi la formula. A coloro che negano la Shoah bisogna rispondere con le armi della cultura, e, se si vuole, con la censura morale, ma non con il codice penale».

Ma anche un intellettuale libertario e, per altro, di madre ebraica, come Massimo Fini aveva già a suo tempo contestato la proposta: «Non capisco come Pacifici e coloro che seguono la sua linea non si rendano conto che la legge che propongono è una norma liberticida, totalitaria, in tutto e per tutto degna proprio di quello Stato fascista che emanò le ripugnanti leggi razziali. In una democrazia, se vuole esser tale, tutte le opinioni, anche quelle che paiono più aberranti al senso comune, devono avere diritto di cittadinanza. È il prezzo che la democrazia paga a se stessa. Ciò che la distingue da uno Stato totalitario o quantomeno autoritario. Intaccare, anche con le migliori intenzioni, un principio come quello della libertà di espressione oltre che ingiusto è estremamente pericoloso. Perché si sa da dove si inizia, ma non si sa mai dove si può andare a finire. Si comincia con cose apparentemente indiscutibili, perché condivise ampiamente dalla “communis opinio”, e si finisce col mandare gli ebrei nelle camere a gas. Inoltre – ma questo è solo un argomento a latere – una legge come quella proposta da Riccardo Pacifici sarebbe controproducente, perché finirebbe per fare dei “negazionisti” dei martiri e dare loro una rilevanza e un’importanza che attualmente non hanno».

La stessa comunità ebraica presenta al suo interno autorevoli esponenti che già in passato si espressero contro i reati d’opinione. L’ex senatore democratico Roberto Della Seta, per esempio, ebbe a dire: «Il negazionismo è una vergogna e un orrore da combattere ogni minuto facendo tutti gli sforzi possibili per far vivere e per trasmettere la memoria della Shoah. Da combattere con tutti i mezzi tranne uno: vietare per legge la negazione di questa terribile verità storica». Anche per David Bidussa «una legge contro il negazionismo secondo me non sarebbe né una scelta intelligente, né una scelta lungimirante. Non aiuta né a farsi un’opinione, né a far maturare una coscienza civile». Sergio Luzzatto, infine, fa notare che «penalizzare il negazionismo non può essere una soluzione del problema. Non foss’altro, perché il negazionismo è male culturale e sociale. Va dunque affrontato con anticorpi culturali e sociali, non attraverso la repressione giudiziaria».

Va ricordata, infine, la ferma presa di posizione del Vaticano. Nell’ottobre del 2010, infatti, il quotidiano della Santa Sede, l’Osservatore Romano, entrò nel dibattito in merito affermando che «punire per legge chi sostiene questa tesi, e quindi di fatto stabilire ciò che è storicamente vero attraverso una norma giuridica, non è la strada giusta. Anzi, rischia di essere controproducente: in democrazia la censura non è un mezzo corretto, e si finisce per far diventare martire chi vi incappa».