Qualche tempo fa Claudio ha pubblicato un post su destra e sinistra che ha suscitato un certo dibattito fra i nostri lettori, segno che il tema interessa. Intervengo quindi per riprendere alcuni dei temi di quel dibattito. Come sa chi ha letto le cose che vado scrivendo da quasi una ventina d’anni, sono uno dei sostenitori del carattere superato e obsoleto della opposizione categoriale destra/sinistra. Non intendo qui ripetere cose dette altrove, ma mi limiterò a discutere due tesi che sono emerse nel dibattito sul post di Claudio. La prima di queste tesi argomenta che, se è vero che la sinistra politica non ha più nulla a che fare con il suo patrimonio ideale, tale patrimonio resta pur sempre un punto di riferimento che appare distinto e incompatibile rispetto al patrimonio ideale della destra. Si avrebbe dunque un “tradimento” della sinistra concreta rispetto al suo “tipo ideale”, ma in termini, appunto, di “tipi ideali”, la “sinistra” resterebbe pur sempre chiaramente distinguibile dalla “destra”. La seconda, sostenuta da Claudio, è che l’affievolirsi del contrasto è dovuto al fatto che la sinistra è scivolata sulle posizioni della destra, e non viceversa. Si tratta di due obiezioni diverse ma compatibili, e che si rafforzano a vicenda.
Rispetto ad entrambe occorre dire subito che esse colgono aspetti di realtà. Non sono cioè obiezioni assurde. Rappresentano piuttosto delle verità parziali. Ma gli errori peggiori che si possono commettere in politica non sono le assurdità, che si confutano da sé, ma appunto le mezze verità.
Per quanto riguarda la prima di queste tesi, è certamente vero che è possibile costruire il tipo ideale della “sinistra” e contrapporlo al tipo ideale della “destra”. La questione è se questa operazione abbia un senso politico.
Per fare un esempio, è noto che il contrasto fra guelfi e ghibellini è un dato politico decisivo nelle vicende dell’Italia medioevale. Al mutare delle condizioni, questo dato perde di rilevanza e scompare dall’orizzonte storico. Ora, era certamente possibile nel ‘700 costruire i tipi ideali “guelfo“ e “ghibellino” e contrapporli per affermare che l’opposizione guelfo/ghibellino non era svanita, ma si sarebbe trattato di un’operazione priva di qualsiasi senso politico reale. Nel '700 l'opposizione guelfo/ghibellino non aveva più realtà storica, e delineare i tipi ideali contrapposti di “guelfo” e “ghibellino” avrebbe avuto solo il senso della ricostruzione storica di vicende lontane nel tempo.
Il problema non è quindi che si possa delineare in astratto il tipo ideale della “sinistra” da contrapporre a quello della “destra”, il problema è se questa operazione abbia oggi un significato politico. Il punto è che sinistra e destra sono realtà storico-politiche, e l'azione di una realtà di questo tipo non trae il proprio significato solo dal riferimento ad una costellazione di ideali o valori, ma, in maniera essenziale, dall'orizzonte di proposte politiche con le quali si cerca di realizzare gli ideali. Il punto è che il riferimento storico generale, all’interno del quale pensare i propri ideali di emancipazione, per tutte le posizioni di sinistra (tutte quelle almeno che hanno avuto rilevanza storica), è stata una nozione di progresso inteso essenzialmente come sviluppo economico e tecnologico. Nel momento in cui lo sviluppo perde questa valenza emancipatoria, e a favore dello sviluppo si pronunciano sia destra sia sinistra, cade ogni senso di questa contrapposizione. Il che non vuol dire che vengano meno gli ideali emancipatori della sinistra, ma che essi vanno pensati in un contesto generale completamente diverso rispetto a ciò che è stata la sinistra storica. Un futuro movimento storico emancipatore, per esempio, dovrà probabilmente essere progressista su certi punti ma conservatore su altri, e sarà quindi al di fuori della contrapposizione di progresso e conservazione, e di conseguenza fuori da destra e sinistra.
Per quanto riguarda la seconda tesi, la risposta è che essa dice una cosa corretta per quanto riguarda le politiche economiche, ma non tiene conto del fatto che una società non è fatta solo di economia. Si può quindi rispondere con una frase sintetica davvero azzeccata, che ho letto in qualche scritto di Costanzo Preve (ma non sono in grado di fornire un riferimento bibliografico preciso): il capitalismo attuale è di destra nell'economia, di centro nella politica, di sinistra nella cultura. Con ciò si vuol dire che il capitalismo attuale si basa su politiche economiche di destra, nel senso della destra liberista, ostile all'azione redistributiva dello Stato e ad ogni intervento della politica nell'economia. Il capitalismo attuale è però, in politica, di “centro”, nel senso che preferisce che venga mantenuto l'apparato classico delle democrazia liberale: libertà individuale ed elezioni con scelta fra coalizioni almeno formalmente diverse. Infine, ed è questo il punto che qui ci interessa, il capitalismo attuale è sostanzialmente “di sinistra” nel campo culturale, nel senso che ha perfettamente assorbito le istanze culturali “antagoniste” che sono state tipiche della critica “di sinistra” al capitalismo. Ha cioè assorbito le istanze critiche di innovazione, modernizzazione, critica della cultura borghese, dell'autoritarismo, della scuola, e ne ha fatto anzi un elemento forte della propria attuale configurazione. Queste cose ho cercato di dirle in un breve saggio pubblicato sulla rivista “Koiné” nel 1998 e poi ripubblicato nel 1999 in “Ricercando la comune verità”. Il saggio lo trovate qui (e nelle pagine collegate). In maniera molto più approfondita di quanto potessi mai sperare di fare io, cose simili sono state dette dette due sociologi francesi, Luc Boltanski e Eve Chiapello, in un fondamentale libro uscito nel '99, “Le nouvel esprit du capitalisme”. Non posso riassumere qui, ovviamente, le circa 945 pagine di analisi di questo testo. Per quanto riguarda l'argomento che qui ci interessa, basti osservare che essi segnalano come la critica anticapitalistica fosse il risultato di quelle che loro chiamano, rispettivamente, “critique sociale” e “critique artiste”: e intendono con la prima espressione la critica "di classe” del proletariato che protestava contro lo sfruttamento, e con la seconda la critica “culturale” degli intellettuali borghesi d'avanguardia in rotta con la propria classe, critica indirizzata principalmente contro il carattere inautentico e conservatore del mondo borghese. Il punto di maggiore impatto di questa alleanza di proletariato e intellettuali borghesi dissidenti sono ovviamente i movimenti di contestazione degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. La reazione della struttura dominante a tali movimenti è duplice, e porta appunto a quello che Boltanski e Chiapello hanno chiamato “il nuovo spirito del capitalismo”. Per quanto ci interessa qui, possiamo riassumere il passaggio con una rapida formula: la “critica sociale” è sconfitta, la “critica artistica” è arruolata. Ovvero, come si diceva sopra, il capitalismo attuale fa proprie le istanze antiborghesi tipiche della cultura delle avanguardie del Novecento. E' in questo senso che si può dire che il capitalismo attuale è “di sinistra” nella cultura.
Proviamo a fare un esempio concreto di queste dinamiche. Abbiamo detto che in campo economico il capitalismo attuale è “di destra”, e a questo la sinistra politica si è perfettamente adeguata, in base al principio che “non c'è alternativa”. Questo si vede in pratica dal fatto che tutti i governi, qualsiasi sia il loro colore, praticano politiche economiche liberiste. Le uniche differenze fra destra e sinistra sono puramente formali, come dovrebbe essere ormai a tutti noto: a sinistra magari qualcuno si permette di fare qualche discorso che va apparentemente in direzione diversa rispetto al pensiero unico, ma si tratta di pura fuffa, di chiacchiere che vengono regolarmente smentite quando si arriva alle decisioni vere. Oppure a sinistra si chiede e magari si ottiene qualche concessione del tutto secondaria, il cui unico effetto è semplicemente di ritardare di poco, in un ambito limitato, l'inevitabile vittoria dei principi liberisti.
Ora, la cosa interessante è che esattamente lo stesso avviene in campo culturale, solo a parti invertite. Facciamo l'esempio della scuola. La distruzione della scuola pubblica nazionale è avviata dalla sinistra, col ministro Berlinguer all'epoca del primo governo Prodi. Non mi dilungo nell'analisi di tale distruzione: rimando per questo al profetico libro di Massimo Bontempelli “L'agonia della scuola italiana”. Basti dire che tale distruzione è motivata con argomenti “di sinistra”: innovazione, rifiuto di una cultura invecchiata e libresca, apertura alla società, rifiuto della lezione frontale e delle tradizionali discipline in quanto espressioni di autoritarismo. Di fronte a queste innovazioni, quali sono state le reazioni della destra? Esattamente quelle della sinistra di fronte alle politiche economiche liberiste: qualche distinguo formale, qualche lotta di retroguardia su aspetti secondari, ma nessuna divergenza vera. Tanto che tutti i governi di destra succedutisi da allora hanno conservato e rafforzato l'impianto della riforma Berlinguer.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che l'opposizione all'attuale capitalismo non potrà definirsi “di sinistra”. Per usare il linguaggio di Boltanski e Chiapello, “sinistra” è definita proprio dalla fusione di “critique sociale” e “critique artiste”: una volta che questa fusione finisce, perché il capitalismo fa propri i temi della “critique artiste”, l'anticapitalismo non può più essere definito “sinistra”. Il che, come ho detto sopra, non vuol certo dire che non siano validi gli ideali di giustizia sociale e di emancipazione che sono stati tipici della sinistra, finché è esistita. Vuol dire piuttosto che questi ideali vanno inseriti in un orizzonte teorico che non può e non deve aver più nulla a che fare con ciò che è stata storicamente la sinistra.
Forse può essere utile fare un altro esempio, per rendere più concreti questi discorsi. Pensiamo allora al referendum sul divorzio del '74. La vittoria del fronte divorzista in quel referendum rappresentò un momento importante del processi di modernizzazione del paese e un segnale della crescita di un'opinione pubblica “di sinistra”. Come si sa, si trattava di un referendum abrogativo della legge sul divorzio entrata in vigore qualche anno prima. Il fronte antidivorzista, che aveva raccolto le firme, era formato da settori cattolici tradizionali, conservatori, e in generale dal centro e dalla destra. Il settore divorzista era rappresentato dalle forze laiche e dalla sinistra. Chi era contrario al divorzio doveva votare “sì” all'abrogazione, chi era favorevole doveva votare “no”. Il fronte antidivorzista coniò uno slogan molto efficace, anche se questo non gli valse la vittoria: “sì, come il giorno delle nozze”. Si tratta di uno slogan ancora oggi perfettamente comprensibile: chi era contrario al divorzio difendeva una certa immagine del matrimonio e della famiglia, ed aveva allora senso ricollegarsi al “sì” che viene pronunciato al momento del matrimonio. Non ci fu, nel fronte divorzista, una risposta ufficiale a questo slogan. Vi fu però una risposta “non ufficiale” e scherzosa: “no, come il giorno delle cozze”. La cosa interessante è che questa risposta è oggi del tutto incomprensibile, per due motivi diversi, il secondo dei quali è collegato alla nostra discussione su destra e sinistra. Lo slogan si riferisce al fatto che poco tempo prima vi erano stati a Napoli dei casi di colera, legati come è intuibile anche al fatto di mangiare mitili crudi. Ma una volta chiarita questa allusione alle “cozze”, è chiaro che oggi uno slogan simile appare incomprensibile: cosa c'entra il colera con il problema del divorzio? L'idea era che quei casi di colera derivavano da condizioni generali di scarsa attenzione dei ceti dominanti alle condizioni di igiene e di salute pubblica, in particolare nel sud. Il significato di quello slogan era quindi qualcosa del genere: votiamo no al referendum per contrastare i ceti dominanti che sono conservatori sia nel campo dei rapporti familiari sia in quello dei rapporti sociali, e infatti rifiutano il divorzio e mantengono nel sud uno stato di arretratezza che porta addirittura a casi di colera.
Il punto è che una tale impostazione verrebbe oggi considerata irrimediabilmente ideologica, e non avrebbe nessuna efficacia: non si accetterebbe cioè di portare, in una discussione come quella sul divorzio, considerazioni completamente diverse come quelle relative allo stato dell'igiene pubblica. Ma quell'approccio, che oggi appare quasi incomprensibile, era del tutto ragionevole all'epoca. Perché ancora negli anni Settanta esisteva davvero un “fronte del progresso” che si contrapponeva a “un fronte della conservazione”, e aveva senso criticare le politiche del “fronte conservatore” nel campo della famiglia facendo riferimento alle politiche dello stesso “fronte” in altri campi. Ma è proprio questa contrapposizione ad essere venuta meno, per le dinamiche indagate, fra gli altri, da Boltanski e Chiapello. Oggi non ha più senso opporsi al capitalismo in nome del “progresso”: la TAV è progressista o conservatrice? E gli OGM? Il fatto che un atteggiamento come quello sottinteso dallo slogan “no come il giorno delle cozze” sia oggi del tutto irrealistico, è la prova del fatto che l'opposizione destra/sinistra è superata dallo “spirito del tempo”. La vecchia città della sinistra è ormai un cumulo di macerie, e occorre veramente affrontare il viaggio di Enea per fondare una nuova città, portando con sé la propria storia, i propri numi tutelari.
Sinistra e destra, progresso e conservazione
di Marino Badiale - 01/11/2013
Fonte: il-main-stream.blogspot