Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Appunti sul fascismo

Appunti sul fascismo

di Andrea Virga - 01/11/2013

 

«Per me il fascismo è quando liberali disillusi e socialisti disillusi s’incontrano per qualcosa di nuovo. Da qui nasce ciò che si chiama Rivoluzione Conservatrice» (A. Mohler)

28 ottobre 1922-2013. A distanza di novantuno anni dalla Marcia su Roma è ormai possibile tracciare un quadro storico-interpretativo del fascismo come fenomeno storico, al di là delle tensioni politiche novecentesche, che l’hanno visto protagonista. Questo brevissimo articolo intende perciò delineare il fascismo in estrema sintesi, anche in rapporto alla mia personale interpretazione. Contrariamente a quanto affermato da Renzo De Felice, ritengo che la definizione di “fascismo” non si addica solamente al caso italiano, di cui fu protagonista Mussolini, ma che possa essere utilizzato in senso più vasto, come i termini “comunismo” o “conservatorismo”, per descrivere tutta una serie di movimenti politici, ivi incluso il nazionalsocialismo tedesco.

La nascita dei fascismi

Uno degli studiosi più acuti delle origini e della natura del fascismo è, a mio parere, l’israeliano Zeev Sternhell, il quale ha sostenuto, nei suoi studi, che il fascismo è un’ideologia che non appartiene pienamente né alla destra né alla sinistra storica, ma si situa in una posizione intermedia, avendo attinto da entrambe le parti. Questa tesi concorda peraltro con quanto affermato dai principali esponenti del fascismo stesso, da Mussolini a Primo de Rivera. Sempre secondo Sternhell, però, la nascita del fascismo non va rintracciata affatto in Italia, quanto in Francia, dove per prima avviene la sintesi tra la destra tradizionalista e legittimista da una parte e la sinistra socialista rivoluzionaria dall’altra.

Il brodo di coltura del fascismo storico varia in parte da nazione a nazione, ma possiamo rintracciare la confluenza di diversi filoni ideologici: il legittimismo e il tradizionalismo cattolico, l’elitismo (es. Mosca, Pareto), il socialismo nazionale (es. Lasalle), il romanticismo völkisch (es. Gobineau), l’estremismo rivoluzionario (es. Sorel), il pessimismo culturale (es. Spengler), il vitalismo (es. Simmel), il neo-idealismo attualista (es. Gentile). Perciò, anche nei suoi caratteri fondamentali, rinveniamo elementi sia di destra (l’inegualitarismo, l’anti-liberalismo, l’anti-democratismo, la gerarchia, la spiritualità, la mistica), sia di sinistra (la politica di massa, l’anti-capitalismo, la forma partito, il nazionalismo, la lotta rivoluzionaria).

Per come si sviluppa nel mezzo secolo che va tra il 1890 e il 1940, possiamo dividere, secondo me, il fascismo in quattro principali correnti:

Ø  Il fascismo propriamente detto, ossia il più vicino a questo idealtipo: nazionalista, incentrato su un leader carismatico, laico ma rispettoso della Chiesa nazionale, modernizzatore ma attento al mondo rurale, corporativo in economia, fautore di uno Stato sociale e di una nazionalizzazione delle masse, ma senza sovvertire i precedenti equilibri di potere, a partire dall’istituzione monarchica. L’esempio e il modello principale è costituito dal fascismo italiano, cui sono affini, tra gli altri, quello greco (Regime del 4 Agosto) e quello inglese (British Union of Fascists). Anche le frange fasciste giapponesi, nell’ambito del nazionalismo imperiale Showa, possono rientrare in questo ambito. In tutti questi casi, il movimento fascista, nonostante parta da basi anche radicali, non ha forze sufficienti ad imporsi sul resto della società ed è quindi costretto a collaborare con i ceti conservatori: monarchia, clero, forze armate, borghesia.

Ø  Il nazionalsocialismo: fondato principalmente sul concetto etnicista di popolo (Volk) e di razza, rispetto ai quali lo Stato è un mero prodotto, e rispetto a cui tutto l’ambito sociale dev’essere subordinato, tende perciò ad un controllo più radicale della società. Oltre al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, vanno citati i vari partiti sorti a imitazione di questo, specie nel Nord Europa. Questo perché queste teorie razziali erano incompatibili con il cattolicesimo e maggiormente in consonanza con il razzismo delle grandi potenze imperialiste (Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti).

Ø  Il falangismo: più vicino al cattolicesimo, ma al tempo stesso più radicale a livello economico e sociale, sul modello del nazionalsindacalismo, nonché sostenitore del concetto culturale di “Hispanidad”. È tipico del mondo iberico: Spagna (la Falange) e Portogallo (i nazionalsindacalisti), ma ha trovato diffusione anche nei Paesi latinoamericani, come Cuba, Venezuela e Bolivia, in cui sono stati presenti movimenti falangisti. Tuttavia, movimenti simili, più smaccatamente nazionalisti e non di rado antisemiti, emersero anche nell’Europa orientale, come in Polonia (la Falanga) e in Ungheria (le Croci Frecciate).

Ø  L’integrismo: basato in ampia parte sulla dottrina sociale cristiana (perlopiù cattolica), e sul tradizionalismo cristiano in ambito culturale e identitario, perseguendo comunque una politica d’integrazione delle masse nella vita politica. Esempi pregnanti sono l’Action Française, l’austrofascismo, l’Estado Novo portoghese e brasiliano, e (nel mondo non cattolico), la Guardia di Ferro romena.

Altro discorso è quello relativo alla Rivoluzione Conservatrice che è un fenomeno affine, riguardo alle tematiche e alle origini, ma piuttosto differente per impostazione, essendo fondato su gruppi culturali o politici ristretti, e non di massa (Cfr. il mio articolo “Problematiche della Rivoluzione Conservatrice”).

Bisognerebbe, infine, distinguere con attenzione quei regimi a tutti gli effetti fascisti, come la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini, rispetto a quei regimi nazionalisti, in cui gli elementi propriamente fascisti erano presenti ma in misura minore, come nel caso del Giappone Showa e della Spagna di Franco.

L’ideologia fascista

Premesso questo, l’ideologia del fascismo parrebbe variegata e ben poco unitaria, tanto da potersi chiedere se sia corretto parlare di fascismo o di ideologia fascista in senso così ampio. Ebbene, al di là delle varianti, che esso ha avuto nei vari Paesi, e della mancanza di una teoria filosofico-politica unitaria, possiamo però individuare sei punti fermi fondamentali, propri al fascismo.

v  Anti-liberalismo: contrariamente alla tesi di Nolte, del fascismo come “reazione” alla Rivoluzione bolscevica, il fascismo nasce in un’epoca precedente, e si rivolge innanzitutto contro il liberalismo dei Parlamenti e il capitalismo sfrenato, che stava impoverendo i ceti medi. Esso prende forza dopo l’iniquo trattato di Versailles e la crisi economica del ’29, anche in quei Paesi (come la Romania) dove i comunisti erano poco numerosi. In questo senso, il fascismo prende posizione sia contro il liberalismo politico, sia contro il liberismo economico, accusati di atomizzare la società e di creare ingiustizia sociale, indebolendo la nazione.

v  Anti-comunismo: questo non toglie che il fascismo attacchi e osteggi anche il comunismo, per via del suo materialismo, del suo classismo e del suo collettivismo. I movimenti fascisti, poi, si sono affermati anche in opposizione ai partiti comunisti e socialisti riformisti. Tuttavia, il fascismo non è però anti-socialista, ma anzi, non di rado, ispirandosi a forme di socialismo non-marxista, rivendica il proprio carattere di autentico “socialismo nazionale” o “socialismo cristiano”.

v  Nazionalismo: nel fascismo, è quindi non l’individuo né la classe ad essere il soggetto principale dell’azione politica, bensì la nazione nel suo insieme. Per questo la politica deve avere il fine di compiere il bene della nazione, così giustificando sia l’espansione militare ed economica ai danni di altre nazioni, sia la repressione del dissenso interno, sociale o politico, in quanto potenzialmente sovvertitore. La lotta naturale, di matrice darwiniana, ammessa dai marxisti tra le classi e dai liberali tra gli individui, è collocata dai fascisti sull’arena internazionale, con il diritto delle nazioni più forti ad affermarsi a scapito delle altre.

v  Corporativismo: coerentemente con questa teoria politica nazionalista, in ambito economico, i fascismi hanno sostenuto una varietà di teorie sussumibili comunque sotto il concetto di corporativismo, ossia della composizione degli interessi dei diversi ceti e classi per opera delle strutture statali. Nella prassi, i diversi sistemi e modelli, spesso mai implementati completamente, divergevano, ma il fine era comunque quello di porre l’economia nazionale sotto il controllo della politica ed eliminare i contrasti economici interni.

v  Modernismo: nonostante possa avere tratti reazionari, il fascismo resta comunque ben diverso da una semplice dittatura reazionaria o militare, come quelle di Miguel Primo de Rivera in Spagna o del Re Alessandro Karageorgevic in Jugoslavia. Esso non si pone mai come una semplice restaurazione, bensì come qualcosa di nuovo (un Nuovo Stato, un Nuovo Ordine, un Uomo Nuovo, ecc.) e di rivoluzionario rispetto a ciò che era esistente. In effetti, una caratteristica comune ai vari fascismi fu il potenziamento delle strutture statali, accompagnato da una più ampia partecipazione delle masse, inquadrate su base paramilitare, alla vita politica della nazione, e non di rado da uno sviluppo pianificato dell’economia.

v  Spiritualismo: infine, avendo già accennato all’anti-materialismo fascista, dobbiamo sottolineare come spesso e volentieri ebbe veri e propri tratti di religione politica, dotata di propri riti celebrativi, miti fondanti, figure di martiri e di sacerdoti. Ciò è vero, sia laddove esso s’innestasse sulla tradizione cristiana, sia laddove la sua spiritualità avesse radici più moderne e laiche, di stampo massonico o neopagano. Questo non è però l’unico elemento di forte spiritualità nel fascismo. La sua stessa dottrina presenta, infatti, per come è esposta, tratti metafisici palingenetici, o addirittura apocalittici, un’etica volontaristica e, in generale, una visione della vita spirituale, per cui alla nazione partecipano non solo i viventi, ma anche i defunti e i membri futuri.

Dopo aver esposto sommariamente i capisaldi dell’ideologia fascista, è necessario svolgere alcune precisazioni su alcuni concetti spesso accostati al fascismo, e non di rado in maniera polemica, ma che richiedono una discussione a parte, non essendo, infatti, a mio parere, caratteristiche legate al fascismo nel suo insieme.

o   Antisemitismo: l’ostilità verso gli Ebrei è stata diffusa laddove sussisteva effettivamente il problema dell’integrazione di cospicue minoranze ebraiche, non di rado preponderanti nelle professioni liberali, come in Paesi dell’Europa orientale, quali Romania, Ungheria e Polonia. In questo caso, trovava la sua legittimazione ideologica nell’antigiudaismo religioso (accettando di conseguenza i convertiti), mentre solo nel nazionalsocialismo abbiamo una vera e propria teoria razziale che determina come impossibile l’assimilazione degli Ebrei nella nazione, posizione invece sostenuta da altre correnti fasciste, come in Grecia o in Inghilterra. Non è un caso del resto che l’antisemitismo fosse emerso come un tratto divisivo tra vari movimenti fascisti europei, alle conferenze di Montreux del ’34-’35.

o   Imperialismo: anche qui, si tratta tendenzialmente di un fenomeno proprio a quelle nazioni sufficientemente sviluppate dal punto di vista capitalistico da mantenere una propria sovranità politica e condurre una politica coloniale a scapito dei Paesi non occidentali. L’imperialismo trova legittimazione in un’ideologia nazionalista e razzista, ma non coincide con il fascismo. Abbiamo, infatti, Paesi imperialisti democratici (come l’Inghilterra, la Francia, il Belgio, ecc.) e Paesi imperialisti fascisti (come l’Italia e la Germania) che erano già imperialisti in precedenza, o che (come il Portogallo di Salazar) avevano ereditato le loro colonie, ma si erano limitati a mantenerle. Dall’altra, troviamo Paesi fascisti non imperialisti, che miravano al massimo ad espandere la propria nazione su base irredentista (come la Grecia di Metaxas) o addirittura in lotta per mantenere la propria indipendenza (come la Croazia di Pavelic e l’Austria di Schuschnigg). Infine, non mancavano persino movimenti nazionalisti, ispirati al fascismo ma anti-imperialisti, come nell’Asia (ad esempio, la Cina nazionalista di Chiang Kai-Shek), nel mondo arabo e nell’America Latina, schierati contro l’imperialismo britannico e statunitense.

o   Capitalismo: i rapporti tra il fascismo e il sistema socio-economico capitalista sono altrettanto complessi. Sicuramente, il suo anticomunismo lo rendeva ben accetto alle elite capitalistiche per scongiurare un’eventuale rivoluzione comunista, e i suoi metodi autoritari e centralisti favorivano lo sviluppo della grande industria. Spesso, poi, i fascismi mancavano del consenso necessario a rompere nettamente con i capitalisti, anche qualora l’avessero voluto. D’altra parte, la soppressione del sistema liberale e parlamentare storicamente legato al capitalismo borghese costituiva un motivo di dissidio, specie se non si configurava come temporaneo, ma esprimeva la volontà di porsi come un nuovo sistema politico. Inoltre, le ali più radicali del fascismo proclamavano apertamente la volontà di abbattere il capitalismo in favore di un sistema corporativo dominato dallo Stato, se non con intenti ancora più rivoluzionari (es. lo strasserismo tedesco e il “fascisme immense et rouge” di Brasillach).

o   Totalitarismo: questo è un concetto complesso su cui misurare i fascismi. Se accettiamo la definizione di totalitario come «determinato a controllare ogni aspetto della società, della politica, della cultura e dell’economia» è evidente che non sia proprio soltanto del fascismo, ma in un certo senso una vocazione totalitaria sia connaturata nello Stato moderno in quanto tale, con la sua tendenza ad un controllo centralizzato e monopolistico della forza e del diritto, così come ad intervenire anche sulla vita privata degli individui. Nel caso dei fascismi, varia poi il grado di totalitarismo raggiunto dai vari regimi. Solo nel caso tedesco si è raggiunto a tutti gli effetti un totalitarismo compiuto, nonostante la sussistenza di ambienti non del tutto nazificati come la Chiesa Cattolica e le Forze Armate. In alcuni casi, come nell’integrismo austriaco e portoghese, addirittura la rinuncia ad una presenza totalitaria dello Stato è implicita fin dall’inizio, in obbedienza alla dottrina sociale cattolica.

o   Anti-intellettualismo: infine, è il caso di smentire la clamorosa boutade di Bobbio per cui il fascismo sarebbe privo di cultura. Basterebbe citare i grandi uomini di cultura del XX secolo, militanti o simpatizzanti per la Rivoluzione Conservatrice o i fascismi: Pound, Céline, Heidegger, Gentile, Schmitt, Eliade, Hamsun, Jünger, ecc. Tuttavia, è vero che i fascismi ebbero tendenze anti-intellettualistiche, logicamente conseguenti al binomio attualista tra pensiero e azione (analogo alla filosofia della prassi marxiana), che negavano la possibilità di una cultura neutrale, e perciò portavano a fascistizzare la cultura. Ad onore del vero, questo vale soprattutto per il nazionalsocialismo – durante il quale gli studi superiori furono scoraggiati a vantaggio del lavoro manuale o del servizio militare – o per certi elementi militari più retrivi (es. il famoso “¡Abajo la intelligencia! ¡Viva la muerte!” del Gen. Millán Astray del Tercio spagnolo). Il fascismo italiano, viceversa, fu più tollerante, permettendo un’ampia discussione interna alle proprie fila e confrontandosi con le tendenze principali del suo tempo.

Il fascismo nella storia

Dopo questo quadro conciso ma, si spera, completo delle problematiche inerenti l’ideologia fascista, vale la pena di ripercorrere il percorso storico del fascismo. Le sue vicende tra le due guerre, specie in Italia e Germania sono arcinote, ma diverso è il caso dei Paesi minori, soprattutto quelli extraeuropei.

In generale, il fascismo non riuscì mai ad affermarsi nei Paesi capitalisti maturi e dominanti, come Stati Uniti, Inghilterra e Francia, nonostante i primi avessero movimenti in questo senso (es. le Silver Shirts statunitensi e la British Union of Fascists) e quest’ultima fosse stata il luogo d’incubazione del fascismo, con l’Action Française, seguita da numerosi altri gruppi e movimenti. Lo stesso vale per Paesi più piccoli, dotati di un’economia sviluppata e di uno stabile regime democratico come l’Olanda e il Belgio (il rexismo di Léon Degrelle), la Svizzera, l’Irlanda (le Blueshirts di Eoin O’Duffy) e i Paesi scandinavi: Norvegia (la Nasjonal Samling di Vidkun Quisling), Danimarca e Svezia. In questi Paesi, solo l’occupazione tedesca riuscì a dare forza ai fascisti autoctoni o a stabilire gruppi collaborazionisti.

Viceversa, nel caso tedesco, austriaco e italiano, abbiamo dei Paesi drasticamente sconfitti, o comunque insoddisfatti del trattato di pace, le cui popolazioni e la cui classe dirigente appoggiano quindi una politica nazionalista revanscista, il che spiega il maggior successo avuto dal fascismo in questi Paesi. Nella stessa Francia, è con la sconfitta del 1940, che il fascismo conosce un’espansione, e non solo a causa del collaborazionismo con la Germania. Analogo è il caso di Paesi mediterranei che non hanno sconfitte da vendicare, ma restano molto instabili dal punto di vista politico, come la Grecia, il Portogallo e la Spagna. Nel caso della Turchia o dell’URSS, il posto del fascismo è preso dal kemalismo e dallo stalinismo, che presentano caratteristiche analoghe, a prescindere dalle differenze ideologiche. Questo non toglie che anche in questi due Paesi vi siano frange fasciste (i Lupi Grigi in Turchia, e un’associazione fascista russa in Manciuria ad Harbin, sotto protezione giapponese).

Ancora più marcata è questa tendenza nei Paesi dell’Europa orientale, caratterizzati da un’economia povera (tranne Polonia e Cecoslovacchia), un forte nazionalismo, una democrazia debole (tranne la Cecoslovacchia) e una mentalità conservatrice. Qui i movimenti fascisti portano spesso avanti istanze sociali e rivoluzionarie, in mancanza di forze comuniste organizzate, di contro a regimi nazional-conservatori e reazionari (fa eccezione il regime del Maresciallo Józef Piłsudski in Polonia, dai tratti progressivi e modernizzatori). L’esempio più rilevante è quello della Guardia di Ferro in Romania. Fuori dall’Europa, questa tendenza è dominante ed assume toni anti-imperialistici, a partire dal Giappone – a sua volta imperialista ma che si pone l’obiettivo di porre fine al dominio europeo in Asia – fino alla Cina del Kuomintang, al Brasile integrista di Getúlio Vargas, entrambi filotedeschi anche se schierati con gli Alleati, ai nazionalisti indiani di Chandra Bose e a quelli arabi di Ali Rashid, che combattono invece a fianco dell’Asse.

A livello storico, si può osservare comunque che solo con la crisi del ‘29 e l’inasprirsi della questione sociale in Europa, il fascismo conosce una vera espansione, accelerata dopo il 1933 dalla fascistizzazione della principale potenza europea, la Germania. Anche il fascismo italiano, in questo periodo, cerca di condurre una politica “internazionalista”, volta a coordinare i vari movimenti fascisti. Il culmine di questa politica è rappresentato dalla vittoria dei nazionalisti spagnoli, grazie al sostegno militare di Italia e Germania. Non mancano però neanche i conflitti tra Stati fascisti, come l’Anschluß dell’Austria integrista da parte della Germania nazionalsocialista (1938) o l’invasione della Grecia da parte dell’Italia (1940). In sintesi, il conflitto tra i nazionalismi europei, innescato dalla Seconda Guerra Mondiale, contribuisce in maniera importante alla sconfitta dell’Asse e alla distruzione dei regimi fascisti.

Dopo la guerra, l’erede principale del fascismo è stato considerato il neofascismo, sorto nei Paesi europei ed occidentali. Esso si caratterizza, rispetto al fascismo prebellico, per aver assorbito anche correnti tradizionaliste o nazionaliste, precedentemente distinte. Inoltre, le tendenze scioviniste passano in secondo piano rispetto a un nazionalismo di portata più ampia come quello europeista (come la Jeune Europe di Thiriart) o razzista (come il White Nationalism angloamericano). In relazione alla guerra fredda, la maggioranza del neofascismo assume posizioni anticomuniste e filo-occidentali, ma non mancano i terzaposizionisti che rifiutano di schierarsi con uno dei due blocchi, né una piccola parte di neofascisti filosovietici, che vedono nello stalinismo la continuazione delle posizioni social-nazionaliste e rivoluzionarie del fascismo. Spesso l’antigiudaismo è passato in secondo piano, a fronte del nuovo problema dell’immigrazione di massa, coinvolgente i Paesi occidentali.  Tuttavia, i movimenti neofascisti non sono mai riusciti a prendere il potere, mantenendo una posizione spesso meramente testimoniale.

Tutt’altro discorso invece va fatto per il mondo extraeuropeo. Come faceva notare Hobsbawm, il principale lascito del fascismo fu la lotta delle potenze in ascesa contro le vecchie potenze coloniali. La retorica mussoliniana sull’Italia proletaria e fascista fu presa in parola da numerosi popoli in via di decolonizzazione. Se, infatti, molti movimenti di liberazione nazionale del Terzo Mondo sposarono posizioni dichiaratamente marxiste, alleandosi all’Unione Sovietica, molti altri preferirono una terza via, socialista e nazionalista, divergente sia dal comunismo sovietico sia dal capitalismo occidentale, entrambi considerati come ideologie straniere. Questo peculiare socialismo o nazionalismo – termini spesso usati intercambiabilmente in questo contesto – si fondava sulla modernizzazione endogena delle tradizioni e delle culture locali, conducendo un vero e proprio processo di nazionalizzazione delle masse. Pur non essendo dichiaratamente fascisti, termine sottoposto ad una vera e propria demonizzazione dal 1945 in poi, queste esperienze presentano tutti gli aspetti dell’ideologia fascista, poco sopra elencati.

In particolare, è il caso del mondo arabo, con il partito Baath in Siria e in Iraq o il nasserismo egiziano o il SSNP siriano. I loro fondatori avevano sperato in una vittoria dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale, che potesse liberare il Medio Oriente dal dominio britannico. Questi regimi si sono sempre caratterizzati per la tensione verso un unificazione del mondo arabo e per la costruzione di un’identità pan-araba laica, in opposizione all’islamismo. Allo stesso modo, secondo Gregor e altri studiosi, anche i nazionalismi e socialismi africani (come quello di Julius Nyerere in Tanzania o di Leopold Sedar Senghor in Senegal o di Kwame Nkrumah in Ghana o di Thomas Sankara in Burkina Faso) presentano importanti analogie con il fascismo, non mancando neanche accenni di orgoglio razziale, come la Négritude elaborata da Senghor o l’afrocentrismo di Cheikh Anta Diop, e di revanscismo contro i colonialisti bianchi.

Infine, l’America Latina aveva presentato un altro interessante laboratorio di movimenti d’ispirazione fascista, a partire dal peculiare nazionalsocialismo cileno negli anni ‘30, dal succitato integrismo brasiliano e dall’esperienza del peronismo argentino, che a sua volta avrebbe presentato ramificazioni di estrema destra, quasi nazionalsocialiste (i Tacuara), e di sinistra nazional-rivoluzionaria (i Montoneros), in lotta contro la dittatura militare. In questi Paesi, infatti, già indipendenti, era prioritaria la piena indipendenza economica e politica rispetto all’imperialismo degli Stati Uniti, al punto di allearsi con socialisti e comunisti. Altri neofascisti, invece, avevano ritenuto prioritaria la lotta anticomunista, finendo per schierarsi con quest’ultimo. Più recentemente, ricorrono elementi di origine fascista anche nelle attuali esperienze politiche: dall’Argentina neoperonista dei Kirchner, al Nicaragua sandinista di Ortega, ai legami di Chavez con il teorico peronista Norberto Ceresole, fino all’esempio più vicino al fascismo, quello del Presidente peruviano, il nazionalista Ollanta Humala, un militare aderente all’etnocacerismo, movimento etno-identitario quechua.

Questa rapida carrellata è per dimostrare come il fascismo, in senso più ampio, non sia finito nel 1945, ma abbia continuato ad avere una sua rilevanza, specialmente in quelle lotte anticoloniali intraprese dalle borghesie nazionali per diminuire l’influenza straniera e modernizzare i loro Paesi. Ad oggi, infatti, ritengo tuttora attuale la lotta al capitalismo e al liberalismo condotta però nel pieno rispetto delle tradizioni culturali e identitarie dei popoli e tendendo alla loro unità, anziché divisione su base classista, senza cedimenti né al materialismo né all’utopismo.