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Riscriviamo i vocabolari

di Luciano Fuschini - 29/11/2013

                      

 

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In occasione della recente commemorazione delle vittime dell’attentato di Nassirya, tutti i media più diffusi, imbeccati dal peggiore dei nostri presidenti della Repubblica, hanno ripetuto la formuletta standard del “barbaro e vile attentato terroristico”.

I nostri soldati erano truppe combattenti di un esercito invasore, come venne dimostrato dalla battaglia per il possesso dei ponti di quella città, pochi mesi dopo l’attentato, quando le nostre truppe, grazie a un armamento nettamente superiore e al sostegno dall’aria, fecero strage di insorti armati sciiti.

L’attentato di alcuni mesi prima fu dunque l’azione di guerra portata a termine da un combattente che aveva scelto di morire suicida per una causa. Si potrà parlare di furia sanguinaria, si potrà parlare di fanatismo, ma mai di “viltà”.

Se un combattente suicida è un vile, ritiriamo tutti i vocabolari della lingua italiana in circolazione e ridefiniamo i termini.

 

Chiudendo il Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, il nuovo segretario generale del Partito, che è di fatto la più alta carica nel sistema di quel Paese, ha dichiarato solennemente che “solo il socialismo può salvare la Cina”, aggiungendo subito dopo che il Plenum ha deciso di introdurre nell’economia più mercato e più iniziativa privata.

Ebbene, se socialismo significa più mercato e più privatizzazioni, ritiriamo pure i dizionari e riscriviamoli, ma contestualmente riscriviamo anche la storia degli ultimi secoli.

Si usano spesso le espressioni “riformismo” e “riformista”, intendendo con ciò un indirizzo politico ed economico rivolto a ridurre il peso della burocrazia e del controllo statale, a snellire le procedure e a liberare l’ iniziativa privata dai lacci che la frenano: anche in questo caso, l’ideologia del libero mercato.

Ebbene, il riformismo storicamente è termine attinente a un dibattito interno ai partiti socialisti, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

 “Massimalisti” erano chiamati quelli che volevano il programma massimo: nessuna compromissione con la borghesia e i suoi partiti, attesa delle condizioni per una rivoluzione che portasse il proletariato al potere.

A loro si contrapponevano i “riformisti”, che volevano giungere allo stesso obiettivo, il socialismo, ma praticando la via parlamentare, in modo pacifico, introducendo nel sistema progressivamente riforme che lo trasformassero in senso socialista.

Se “riformismo” significa liberismo, allora riscriviamo non solo i vocabolari ma anche i libri di storia.

Kamikaze trasformati in “vili assassini” (allora cosa saranno gli operatori che guidano i droni stando a migliaia di chilometri dai fronti di guerra?); il socialismo che diventa privatizzatore e cultore del libero mercato; il riformismo che diventa sinonimo di liberismo: siamo allo stravolgimento ideologico e propagandistico del vocabolario.

E si tratta soltanto di tre esempi su decine di altri che potrebbero essere fatti.

Ai fini della trasparenza, condizione preliminare indispensabile perché si dia qualcosa che assomigli alla democrazia, occorre che le parole corrispondano ai loro significati: le parole specchio delle cose a cui si applicano.

Còmpito primario degli intellettuali dovrebbe proprio essere questa operazione sulla lingua, per renderla uno strumento di comunicazione non equivoco.

Succede esattamente il contrario.

Un ceto numeroso di plasmatori dell’opinione pubblica è pagato per alterare, per confondere, per creare disorientamento, cortine fumogene in cui le cose perdono i loro contorni diluendosi nel nulla e lasciando relitti di parole che non significano più niente.

Il fenomeno si fa tanto più vistoso quanto più si approfondisce la crisi del sistema: tentativo disperato di dissimularla. Tornano alla mente episodi quasi grotteschi di alterazione propagandistica della realtà. Pochi giorni prima dell’abbattimento del muro di Berlino, il regime morente organizzò grandi manifestazioni di popolo per esaltare le conquiste della DDR.

Mentre i carri armati americani entravano nel centro di Baghdad e puntavano i cannoni sul palazzo presidenziale di Saddam, uno speaker della televisione irachena annunciava trionfante  che gli aggressori americani erano in fuga su tutti i fronti.

Non siamo ancora a questo punto ma vi ci stiamo avvicinando a passo rapido.