Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il ribelle interiore e l’arte della guerra “esoterica”

Il ribelle interiore e l’arte della guerra “esoterica”

di Gian Maria Bavestrello - 13/12/2013

Fonte: heimat

Mala tempora currunt. Tempi d’incertezza, di disorientamento, di paura e di sfiducia. Tempi in cui una parola, ribellione, ritorna di stretta attualità, soprattutto dove la “crisi” sistemica annuncia anzitempo il superamento epocale della modernità occidentale. I più la usano come sinonimo di rivolta o insurrezione, chiudendo rapidamente una partita che tutto è fuorché chiusa con una spontanea acquisizione del concetto. Raramente una semplice parola merita di essere collocata a una distanza così ampia dal senso comune che ne ispira l’utilizzo.

C’è infatti ribellismo e Ribellione. C’è il ribelle e il Ribelle. Impossibile equipararli, anche quando le differenze esteriori possono apparire limitate. La Ribellione impone una visione della “crisi” che dal piano sociale sappia trasferirsi a quello individuale. Che dal piano politico e storico, dal semplice teatro di eventi conflittuali, sappia porsi su un livello meta-politico e strutturale. Che solleciti una re-azione di segno “esoterico” nel duplice senso di “interiore” e “segreto”.

Interiore, perché è nella distanza, nel distacco, nell’alterità, in uno jungeriano “passaggio al bosco” dove sia possibile riconquistare una propria individualità,  che il terreno della propria intimità diventa così saldo e affidabile da progettare una “Nuova guerra” (da cui l’etimo ri-belle) su un piano diverso, autenticamente Nuovo: un piano dove si elabori la sconfitta patita (la ribellione nasce sempre da uno scacco che lascia vivo il perdente), se ne superi il trauma e si rilanci la sfida al “dominus” in una chiave diversa, superiore: una ribellione che produca cioè l’irruzione, sulla scena della storia, non di simulacri nazionali o feticci ideologici ma della propria autentica individualità, indisponibile ai “miti” della mobilitazione collettiva e consapevole che solo nello spazio della propria coscienza si può spezzare l’incantesimo del dato strutturale a ogni società politica: l’incantesimo del Potere. Non c’è Libertà che non sia ipso facto autonomia, che non renda indipendenti e resilienti, che non insegni a trarre dalle viscere della Terra e della Tradizione, invece che dalle istituzioni politiche ed economiche, il nutrimento per il corpo e per l’anima.

Segreto, perché “le parole Heim, «casa», Heimat,«patria», e heimlich, «segreto» – come spiega ancora Ernst Junger – hanno la stessa radice”. Casa, patria e segreto disegnano un triangolo in cui ogni termine evoca i restanti due: la propria casa, che Junger individua “nella propria biblioteca”, “nella solitudine della notte”, diventa Patria, terra che cela e protegge le proprie radici e indica il proprio destino; terra però, nella sua essenza, nascosta dietro un’apparente normalità “di ragioniere o di contabile” (o persino di funzionario o di militare), un’apparenza esibita a chi ha in odio un’indipendenza che odora di presunzione, di alterigia e di solipsismo quando non di sociopatia, una minaccia che dalle periferie dell’anima  giunge a scompaginare la plastica immagine della moderna società industriale come luogo privilegiato, se non unico, di realizzazione di sé.

Il segreto serve a proteggere la propria Patria, è un atto di fedeltà a sé stessi, una nebbia scatenata sul limitare della propria casa, la porta di una stanza chiusa a chiave dietro alla quale si cela la “nostra” verità. La verità è sempre nascosta, sempre segreta. Sempre agisce, spettrale, dietro l’esistenza fenomenica.  Quando un uomo, “passato al bosco” e realizzata la propria indipendenza – tanto più salda quanto più provata dall’ostilità delle condizioni esterne – riesce a trasparire a sé stesso, rischia di divenire  agli occhi de “gli altri” enigmatico o scandaloso ; quando riceve in dono una scintilla di verità spesso incomunicabile sul suo esser-ci, sulla sua origine, sul suo destino e in breve sui suoi scopi ultimi, ha il dovere di proteggerla, con forza ancora maggiore di quanto non faccia con la sua generica esistenza privata, non solo dal Potere ma anche e soprattutto da un’opinione “pubblica” spietata, scettica, qualunquista, limitante e mediocre.

Questo “moto” dell’anima ha poco da spartire con una  mera rivolta popolare, perché le rivoluzioni stesse rappresentano solo una fase di trapasso all’interno di una storia, quella del Potere, che rimane straordinariamente lineare quando non subisce un vero e proprio climax al presunto progredire della democrazia. La questione del Potere e della libertà dal suo giogo non interessa le masse se non quando il Potere ha già vinto e si è già imposto, erodendo l’individualità dei singoli e la loro sovranità su sé stessi.  Sul piano della “massa” non c’è ribellione, e cioè “nuova guerra”, che sia possibile. Porre autenticamente questo tema significa porlo innanzitutto sul piano spirituale, un piano necessariamente elitario, consapevoli che la libertà non è egalitaria.  Che la domanda di libertà, al di là delle apparenze, non è né può essere la stessa da parte di tutti gli uomini. Il varco di fuga dallo stomaco del Leviatano è sempre aperto, ma è una sfida ben più radicale di una rivolta. Una sfida che implica anche la prova, per molti insopportabile, della solitudine.

Solo nel “segreto” della propria casa, elevata a Patria, è infatti possibile assumere ben altre fattezze spirituali rispetto a quelle grigie e scialbe forme esistenziali che contraddistinguono l’identità diurna di un comune cittadino: solo “al riparo” dagli sguardi altrui è possibile sottrarsi al controllo sociale anteponendo la propria autonomia di giudizio alla “verità collettiva” e ai suoi sterili linguaggi, così come radicarsi in una dottrina spirituale che addomestichi il potere della buona o della cattiva sorte di decidere del nostro equilibrio interiore. Solo al di fuori dell’economia ufficiale è possibile costruire una propria economia domestica non specializzata, sostenibile e indipendente dai cicli economici, educando severamente i propri bisogni ad adattarsi a una nuova esigenza di sobrietà (non c’è strategia di indipendenza e di liberazione dal giogo del Potere che non adatti i propri bisogni e i propri desideri alle propria capacità di farvi fronte, ed è per questo che il consumismo rappresenta la più radicale soppressione della libertà individuale); solo con lo studio e la sperimentazione personale è possibile re-impossessarsi progressivamente del proprio corpo, oggetto di dominio per antonomasia, imparando a conoscerlo e a governarlo, sottraendolo alla medicina ufficiale, al Potere della scienza e dei suoi sacerdoti; solo nella propria casa è possibile, ancorché fuori moda, educare i propri figli e trasmettere loro il “seme” della libertà a discapito di quelli della “dipendenza”  e della “specializzazione” imposti dalla scuola moderna. Solo reimpossessandosi del proprio destino è possibile decidere lucidamente, radicati nel proprio progetto e nella propria strategia, quali sono le esperienze necessarie alla propria realizzazione individuale,  le proprie battaglie, perché “l’Anarca – afferma ancora Junger – combatte guerre proprie anche quando marcia tra le· fila di un esercito”. Anche quando prende parte a una rivoluzione.

L’essenza della ribellione, il punto più alto che essa può raggiungere, è il piegamento della Storia collettiva alla propria. Il Ribelle acquisisce allora la stra-ordinaria capacità di insinuarsi tra le masse senza perdere mai di vista sé stesso, il proprio scopo e il senso che si riconosce alla propria unica e irripetibile e-sistenza. Celata la sua autentica natura, il Ribelle può sfilare sotto gli occhi del Potere, anche di quello più spietato, incunearsi nel suo ventre molle e arrivare persino a toccarlo con mano, eludendone i sistemi di controllo e vanificandolo nella sua essenza, creando di fatto le condizioni del suo superamento. Della sua ultima, assoluta, definitiva sconfitta.