La costellazione di Ofiuco e i suoi simboli
di Alfredo Cattabiani - 27/07/2006
Vi sono alcune costellazioni collegate direttamente o indirettamente allo Scorpione, prima fra tutte quella di Ofiuco (Ophiucus), che da maggio a settembre si vede poggiare i piedi sul velenoso animale. La si rappresenta nelle sembianze di un uomo che tiene fra le mani un serpente e talvolta è anche avvolto dalle sue spire. Per questo motivo nei cataloghi stellari odierni la si chiama anche Serpentario. Il nome deriva dal greco ofiókos, tradotto nel latino anguitenens, ovvero «colui che tiene il serpente».
Si è già accennato al simbolismo solare di questa costellazione, creata probabilmente verso il 3500 a.C. da chi poteva osservarla bene alla latitudine di 35°, che corrisponde all'alto Eufrate: «In questa data» osserva Giuseppe Maria Sesti «Ofiuco era in opposizione al Sole durante la notte dell'equinozio di primavera, simbolicamente trionfando nella mezzanotte sui signori delle tenebre, rappresentati dallo Scorpione, che egli schiacciava con il piede, e dal Serpente, che teneva saldo fra le mani». Ma c'era un'altra coincidenza: osservando dal 35° parallelo le teste di Ofiuco e di Ercole le si vedeva cadere sullo zenit in modo che «questi fratelli celesti si presentavano uno nella zona nord del cielo e l'altro nella zona sud in posizione di comando e di conquista sulle forze dell'inverno e delle tenebre al tempo dell'equinozio di primavera».
Chi era questo misterioso personaggio? Secondo l'opinione prevalente nell'antichità era Carnabone (Karnabõv), il re dei Geti che vivevano nella Tracia. Aveva accolto nel suo regno Trittolemo che, al servizio di Demetra, percorreva la Terra su un carro trainato da due draghi, per insegnare agli uomini la coltivazione del grano. Un giorno Carnabone decise di eliminare Trittolemo considerandolo pericoloso per il suo regno. Ordinò di uccidere uno dei draghi in modo da impedirgli di fuggire col carro. Ma Demetra, che vegliava su Trittolemo, accorse nel momento in cui il suo protetto stava per essere ucciso e, dopo averlo sistemato sul carro al quale aveva attaccato un nuovo drago, confinò il re fra gli astri infliggendogli la pena eterna di tenere fra le mani un drago.
Secondo un'altra interpretazione, preferita da Igino, si sarebbe trattato di Eracle-Ercole, rappresentato mentre sulle rive del fiume Sagaris stava uccidendo un serpente che massacrava gli abitanti e devastava i campi coltivati. Per ricompensa Onfale, la regina di quel paese, lo rimandò ad Argo carico di doni mentre Zeus lo incastonava nel cielo stellato.
Ma vi era anche chi lo chiamava Triopa (Triópas), re di Tessaglia, il quale un giorno decise di demolire il tempio di Demetra perché gli servivano quelle pietre per completare il suo palazzo. Per punirlo del sacrilegio la dea gli inflisse la pena di soffrire eternamente la fame; e alla fine della vita lo obbligò ad affrontare un drago che l'uccise. Lo incastonò infine nel firmamento con un drago che lo stringe eternamente nelle sue spire.
Secondo il poeta alessandrino Polizelo di Rodi, Ofiuco sarebbe stato Forbante (Fórbas), l'eroe tessalo della stirpe dei Lapiti che, spinto da una tempesta, approdò nell'isola dove un enorme drago, che aveva ucciso centinaia di abitanti, aveva costretto i sopravvissuti a fuggire lontano dalla patria. Forbante non eistò nemmeno un minuto a massacrare il mostro insieme con tutte le belve che lo circondavano. Apollo decise allora di premiarlo per l'eternità sistemandolo in cielo nelle sembianze di un uccisore di draghi.
Gli astronomi invece erano inclini a vedervi Asclepio (Asklepiós), che i Latini chiamarono Esculapio (Aesculapius), celebrato nell'inno omerico come «risanatore dei morbi», «grande conforto per gli uomini, dio che scongiura le crudeli sofferenze».
Sulla sua nascita si narravano tanti miti. Secondo il più diffuso, Apollo aveva amato Coronide, la figlia del re tessalo Flegia; mentre era incinta del dio, la giovane aveva ceduto all'amore di un mortale, Ischi, figlio di Elato. Il dio, informato subito dell'accaduto da un corvo, uccise l'infedele. Ma quando Corinide già bruciava sulla pira funebre, Apollo fu preso dal rimorso e, prima che le fiamme ne consumassero il corpo, con l'aiuto di Ermes strappò dalle sue viscere il bimbo ancora vivo.
Così nacque Asclepio, che fu affidato al centauro Chirone per la sua educazione. Il giovinetto apprese così bene le arti del centauro che un abilissimo chirurgo e un esperto di farmaci, tant'è vero che è considerato ancora oggi il leggendario padre della medicina. Scoprì addirittura un rimedio che permetteva di resuscitare i morti: il sangue colato dalle vene della Gorgone che egli aveva ricevuto in dono da Atena. Utilizzando quello della parte destra, che era benefico, aveva restituito la vita a molti morti, fra cui Capaneo, Licurgo, Glauco, figlio di Minosse, e Ippolito, figlio di Teseo. Ma Ade, temendo che sconvolgesse l'ordine del mondo con questo rimedio, convinse Zeus a colpirlo con una folgore. Poi, pentito, lo resuscitò ponendo fra le stelle la sua immagine con un serpente fra le mani.
Anche la presenza del rettile venne giustificata mitologicamente narrando che un giorno Asclepio stava riflettendo con una bacchetta in mano sul modo migliore per resuscitare Glauco, il figlio di Minosse e Pasifae, annegato in una giara colma di miele mentre stava inseguendo un topo. A un tratto un serpente tentò di salire sulla sua bacchetta, ma Asclepio lo uccise colpendolo ripetutamente con lo stesso legno. Poco dopo giunse un altro serpentello tenendo in bocca un'erba che pose sulla testa del primo facendolo tornare in vita. Poi i due rettili fuggirono abbandonando per terra l'erba miracolosa. Asclepio la utilizzò subito per resuscitare Glauco. «Per questo motivo il serpente fu posto sotto la protezione di Asclepio e fra gli astri» commenta Igino. «Questa consuetudine spinse i suoi successori a fare utilizzare i serpenti dai medici».
In realtà i rettili erano stati impiegati fin dalle epoche più arcaiche grazie alle proprietà terapeutiche del loro veleno che in dosi minime serviva, come oggi d'altronde, per guarire molte malattie. Erano sacri anticamente alle grandi Dee Madri, le cui sacerdotesse conoscevano i segreti della medicina. Con l'arrivo degli Elleni in Grecia il culto delle Grandi Madri venne subordinato a quello degli dei; sicché l'uccisione di Coronide, un'antica dea cui era sacro il corvo, e la nascita di Asclepio non sono se non allegorie di quel cambiamento epocale; tant'è vero che il corvo divenne l'uccello sacro ad Apollo.
Quanto al serpente, consacrato alla Grande Madre e alla Luna, e dunque simbolo della prevalenza del nostro satellite sul Sole nell'alto del cielo durante il semestre invernale, bene si addiceva a contrassegnare, presso lo Scorpione, quella parte del cielo in cui il Sole declinava.
Tratto dal sito
http://guide.supereva.com/astrologia/interventi/2004/04/157318.shtml.
Passi dal libro di Alfredo Cattabiani Planetario, Mondadori, Milano 2001.