Frodi scientifiche: metodo Rose per prevenirle
Nei soli Stati Uniti un terzo degli scienziati, intervistati nel corso di una ricerca tesa a stabilire l’onestà intellettuale dei ricercatori, ha dichiarato di aver avuto comportamenti non eticamente corretti almeno una volta nel triennio precedente all’intervista. Il 15,5 per cento ha ammesso di aver cambiato il disegno dello studio, la metodologia o addirittura i risultati cedendo alle pressioni dei finanziatori, il 10 per cento ha ammesso di aver firmato dei lavori a cui non ha partecipato o, al contrario, di essere stato estromesso da lavori in cui aveva avuto un ruolo importante.
Come risolvere il problema delle frodi scientifiche che sembrano essere una piaga aperta del mondo della ricerca? Si potrebbe prendere in prestito una strategia teorizzata da Geoffrey Rose nel 1985 nel libro “Le strategie della medicina preventiva”: muovendo tutta la comunità scientifica nella giusta direzione si potrebbe ridurre il numero di casi di frode, anche quelli eclatanti. Lo sostiene un commento firmato da Magne Nylenna e Sigmund Simonsen e pubblicato sull’ultimo numero della rivista The Lancet.
Rose, nel suo paradosso della prevenzione, sosteneva che gli interventi di medicina preventiva per essere efficaci avrebbero dovuto essere rivolti a tutta la popolazione invece che essere mirati solo alle categorie a rischio. Secondo questo tipo di approccio, piccoli cambiamenti nella giusta direzione sono più efficaci dal punto di vista epidemiologico per tutta la popolazione che interventi mirati per categorie specifiche.
Nel dettaglio, solo nel 2006 ci sono stati casi eclatanti come quello di Woo Suk Hwang, lo scienziato coreano considerato uno dei massimi esperti mondiali di clonazione, o del norvegese Jon Sudbo che ha falsificato in toto un lavoro, pubblicato proprio sul Lancet, che sosteneva l’associazione degli effetti dell’uso a lungo termine di farmaci antinfiammatori non-steroidei con una riduzione del rischio di cancro al cavo orale. Ma la comunità scientifica fa l’errore di ritenere questi personaggi “mele marce” di un sistema che funziona onestamente invece così non è, sostengono gli autori del commento.
La divisione tra buoni e cattivi non è netta; ci sono diverse zone di grigio in cui si possono inserire comportamenti negligenti, superficiali, ma non intenzionalmente scorretti. A volte ci sono anche degli errori che si fanno in buona fede nella valutazione dei dati.
Per questo motivo l’approccio deve essere totale. I due autori propongono anche cinque chiari punti che la comunità scientifica dovrebbe far propri: non sottovalutare il fenomeno della frode scientifica e non esitare a denunciare i casi sospetti; definire nella maniera più chiara possibile cosa sia plagio e frode scientifica in maniera da poter intervenire anche con azioni legali sui soggetti che li commettano; rendere accessibili a ciascun ricercatore le linee-guida oggi disponibili in merito; creare un organo di controllo nazionale che vigili sulla veridicità dei dati pubblicati; ultimo ma più importante punto: fare una discussione seria e completa sull’attuale sistema accademico e sul modo di attribuire i meriti... Probabilmente l’enfasi posta sulla produttività e la competitività è diventata eccessiva tanto da spingere gli scienziati a provare delle scorciatoie.
Fonte. Nylenna M et al. Scientific misconduct: a new approach to prevention. Lancet 2006;367:1882-4. |