I Misteri di Eleusi: l'incontro fra la vita e la morte
di Stefano Arcella - 28/07/2006
Un messaggio spirituale di grande attualità per l’uomo contemporaneo
Il significato generale dei Misteri.
Prima di entrare nel merito dei Misteri di Eleusi è bene chiarire al lettore il significato generale che, nel mondo classico, si attribuiva al sostantivo “Mysteria”. Esso designa i segreti, ossia conoscenze inaccessibili, in ragione stessa della loro natura e della loro profondità, alla maggioranza degli uomini e riservate solo a quei pochi, dotati delle qualità intellettive e della sensibilità spirituale necessarie per accoglierle ed interiorizzarle. Un livello di conoscenza riservato a pochi eletti (ossia persone scelte secondo un criterio rigorosamente selettivo), quindi esoterico nel senso pieno del termine ed iniziatico in quanto concernente il percorso interiore per l’inizio di una nuova vita. Gli antichi Elleni non concepiscono che si possa partecipare a chiunque, indistintamente e senza precauzioni, le dottrine spirituali e la stessa impostazione aristocratica – nel senso qualitativo dell’espressione - riguarda l’accesso alle arti ed alle scienze. Per essi la medicina e la stessa filosofia, nei suoi aspetti più profondi, restano scienze segrete. Per la medicina, abbiamo la testimonianza di Sorano, il quale nella sua Vita di Ippocrate, scrive:
“Ippocrate insegnava la sua arte a coloro che erano qualificati per apprenderla, facendo loro prestar giuramento… Infatti le cose sacre si rivelano a uomini consacrati: i profani non possono occuparsene, prima di essere stati iniziati ai sacri riti di questa scienza” (in V. Magnien, tr.it. I Misteri d’Eleusi, Edizioni di Ar, Padova, 1996, p.21).
Questo riferimento alla medicina può apparire estraneo all’argomento specifico delle religioni misteriche, per chi guardi le cose dal punto di vista della mentalità scientifica moderna che separa rigorosamente scienza e religione, ma non lo è affatto se ci si cala nella mentalità degli Antichi per i quali l’essere umano è un tutto unitario che si articola nei tre elementi costituitivi di soma, psyché e nous (corpo, anima e mente); la salute del corpo e dell’anima sono strettamente connesse, ogni squilibrio fisico riflette un disordine più profondo. L’accesso alle dottrine spirituali più segrete è quindi la base per una migliore e diversa armonia dell’essere umano, anche sul piano fisico, poiché, come spiega Plotino nelle Enneadi, i piani dell’Essere sono distinti ma collegati. Per la filosofia sono illuminanti le testimonianze di Clemente d’Alessandria e di Giamblico sui Pitagorici e su Platone, nonché quella dell’imperatore Giuliano sugli Stoici.
“Non soltanto i Pitagorici e Platone – scrive Clemente d’Alessandria - nascondono la maggior parte dei loro princìpi dottrinali, ma gli stessi Epicurei dicono di avere dei segreti, e di non permettere a chiunque di consultare i libri nei quali sono esposti. D’altra parte ancora, secondo gli Stoici, Zenone scrisse alcuni trattati che essi non danno da leggere facilmente ai loro discepoli” (Stromata, V, 9).
“I più importanti e universali princìpi insegnati alla loro scuola – dice Giamblico – i Pitagorici li conservavano sempre in loro stessi, osservando un perfetto silenzio, in guisa da non svelarli agli exoterici, e affidandosi senza l’ausilio della scrittura, come divini misteri, alla memoria di quelli che dovevano succedere loro” (Vita di Pitagora, edizione Nauck, 32, par.226).
“Si ingiungeva a quelli del Portico di venerare gli Dei, di essere iniziati a tutti i Misteri, e di essere perfezionati dalle più sante iniziazioni (teletài)” (Giuliano, Orazioni, 108 a).
La filosofia aveva dunque, nel suo nucleo più interno, un carattere misterico e spirituale, comprendendo l’accesso a verità intuitive che trascendono il pensiero logico-discorsivo, ed analogo discorso può farsi per le arti figurative e per la poesia, che avevano tutte un’ispirazione sacra ed una radice misterica. Abbiamo voluto fare queste precisazioni generali affinché il lettore comprenda che questa impostazione misterica non era limitata a specifiche confraternite praticanti questo o quel culto, ma dava il tono generale a tutta una civiltà, in considerazione dello stretto legame che univa i vari aspetti della realtà alla luce di una visione del mondo e dell’uomo di carattere sintetico ed unitivo. I Misteri si fondavano sempre su un mito, sulla narrazione di una vicenda divina avvenuta in illo tempore, in un tempo fuori del tempo, per dirla con l’espressione di Mircea Eliade, lo storico delle religioni che ha particolarmente evidenziato come il rito antico reiterasse e riattualizzasse una vicenda metastorica che si calava nella storia e nella quotidianità dell’uomo.
Il mito: Persefone negli Inferi e l’incontro delle due Dee.
La fonte basilare per la conoscenza del mito che racchiude l’archetipo dei Misteri eleusini è l’Inno omerico a Demetra che canta come la Dea istituì i Misteri di Eleusi in occasione del suo soggiorno in questa città.
“Prima di partire, ella svelò ai sovrani amministratori della giustizia, a Trittolemo, a Diocle, il fustigator di cavalli, alla forza di Eumolpo, a Keleo, il conduttor di guerrieri, la perfetta celebrazione dei sacri riti; ella ammaestrò tutti negli òrgia venerabili… Felice chi fra gli uomini che vivono sulla Terra li ha contemplati! Chi non è stato perfezionato nei sacri Misteri, chi non vi ha preso parte, mai avrà, dopo morto, un destino simile al primo, oltre l’orizzonte oscuro” (Inni omerici, vv.473-482).
Il termine òrgia ha, nel greco antico, un senso diverso da quello comune di “orgia” nella nostra lingua; esso designava un intenso stato interiore in cui l’iniziato si sentiva immerso e quindi spinto ad una apertura di coscienza verso la dimensione del sacro, vissuta come un quid più profondo dell’uomo stesso, ossia come una “trascendenza immanente”. Le iscrizioni e le raffigurazioni mostrano costantemente la Dea Demetra in relazione coi Misteri di Eleusi. Associata a Demetra è Persefone, o Core, sua figlia. Le iscrizioni eleusine chiamano Demetra e Persefone “le due Dee” e gli autori antichi adoperano la locuzione “la madre e la figlia”. Nel mito omerico Kore, nel mentre raccoglieva fiori nella pianura di Nysa, fu rapita da Plutone (Ade), dio degli Inferi. Demetra la cercò per nove giorni, durante i quali non gustò l’ambrosia, il nettare degli dei. Infine Elios (il Sole) le rivelò la verità: Zeus aveva deciso di dare in sposa Kore a suo fratello Plutone. Furibonda contro il sovrano degli dèi, Demetra non tornò sull’Olimpo. Nelle sembianze di una vecchia, si diresse verso Eleusi e si sedette vicino al Pozzo delle Vergini (allusione simbolica ad un rito di purificazione). Interrogata dalle figlie del re Celeo, dichiarò che il suo nome era Doso e che era sfuggita ai pirati, i quali l’avevano rapita a Creta. Accettò poi l’invito di fungere da nutrice dell’ultimo figlio della regina Metanira. Entrò nel palazzo, si sedette su uno sgabello e restò a lungo silenziosa (allusione simbolica all’importanza rituale del silenzio mentale, come superamento del pensiero dialettico). Infine una serva, Iambe, riuscì a farla ridere con i suoi scherzi grossolani. Demetra rifiutò la coppa di vino rosso offerta da Metanira e chiese del ciceone, mescolanza di orzo tritato, di acqua e di foglie di menta. La dea non allattò Demofonte, figlio del re al quale faceva da nutrice, ma gli soffregò il corpo con l’ambrosia e durante la notte lo nascose nel fuoco “come un tizzone” (allusione simbolica alla potenza purificatrice del fuoco e ad un probabile rito di iniziazione che si svolgeva in presenza di un fuoco rituale). Il bambino assomigliava sempre più ad un dio, ma questo processo di rigenerazione fu interrotto dalla regina Metanira che una notte scoprì il figlio tra le braci e prese a lamentarsi. ”Uomini ignoranti, insensati, che non sapete vedere il vostro destino di ventura o di sventura!” esclama allora la Dea. Demofonte non potrà più sfuggire al suo destino mortale. L’epilogo del mito narra che Demetra, ritrova sua figlia Kore, grazie all’intervento di Zeus su Plutone, che riesce, però, ad introdurre nella bocca di Persefone un chicco di melagrana e la costringe ad inghiottirlo; ciò determina il ritorno annuale di Kore, per quattro mesi, presso il suo sposo nell’Ade. Demetra, dopo aver ritrovato sua figlia, acconsente a ritornare fra gli dèi e la terra si ricopre di vegetazione (allusione all’origine sacra e misterica dell’agricoltura). Prima di tornare sull’Olimpo, la dea rivela i suoi riti e insegna i suoi misteri a Trittolemo, Diocle, Eumolpo e Celeo.
L’inno omerico menziona due tipi di iniziazione; più esattamente spiega i Misteri eleusini sia come ricongiungimento delle due Dee sia come conseguenza della mancata immortalizzazione di Demofonte. Demetra stava per trasformare un uomo in un dio, ma la trasformazione è bloccata dalla madre del bambino; il mito può leggersi come allusione al destino mortale dell’uomo, ad un processo di elevazione interrotto, che può essere completato solo attraverso un percorso misterico ed iniziatico, per coloro che sono idonei ad affrontarlo. Demetra è la Terra madre, la “nutrice carissima”, colei che dona la perfezione della vita, che porta a compimento la vita in tutte le sue manifestazioni, dalle superiori alle inferiori e la virtù è la perfezione delle anime, secondo la testimonianza di Proclo (Sul Cratilo, 168). Demetra è colei che ha donato agli uomini l’agricoltura e, assieme ad essa, i Misteri. La dea non ha fatto agli uomini due doni diversi, perché, stando alle fonti antiche, l’agricoltura è parte integrante dei Misteri. Varrone - secondo quanto ci riferisce Sant’Agostino – nel parlare dei misteri eleusini, non ha dato che ragguagli sull’agricoltura. Egli afferma, infatti, che molti particolari, nei Misteri, si riferiscono solo alla scoperta dei cereali (S. Agostino, La città di Dio, III,20). La coltivazione della terra è allo stesso tempo, simbolo e supporto per la coltivazione e l’affinamento della propria interiorità. In altri termini non si tratta solo di un simbolo, ma di una pratica estremamente concreta, ogni atto potendo essere il supporto di una elevazione interiore. A questo riguardo, si può ricordare che nella vita del contadino è molto importante l’essere in sintonia con le forze cosmiche, con le quattro fasi della luna e con quelle del sole e, quindi, coi ritmi delle stagioni. L’uomo delle culture contadine sente la sua intima connessione col Tutto cosmico, l’interazione fra la sua azione e le forze cosmiche, a differenza dell’uomo moderno che si chiude nel suo guscio razionale ed individualistico, rimuovendo il suo legame con la vita e l’energia dell’universo.
Il potere di Persefone è complementare a quello di Demetra. Mediante i Misteri l’uomo riceve una nuova vita ed una nuova anima. Il potere che infonde la nuova vita iniziatica è lo stesso principio, Persefone, che dal seme affidato alla terra e nascosto in essa – quindi il seme nell’oscurità - fa nascere una nuova pianta, che fa discendere nella terra un’anima destinata a dare forma e vita ad un corpo umano, che fa morire gli uomini e regna sui morti, che riconduce le anime verso l’alto, per dare loro una vita nuova. Persefone è, al tempo stesso, la dea della vita e della morte, a dimostrazione dell’inestricabile nesso vita-morte che caratterizzava la visione del mondo e della vita presso gli Antichi, un nesso presente anche in altri filoni misterici, come quello mitriaco, in cui la spiga di grano – simbolo comune all’iconografia eleusina - nasce dalla coda o dal sangue del toro sacrificato.
“Proserpina rapita da Hades è l’energia di germinazione che viene ritratta quando il sole va verso il solstizio d’inverno” (G. Lido, Dei Mesi, 4,137).
Esiste dunque un legame fra il ritrarsi dell’energia fecondatrice, la “morte del sole” fisico – che corrisponde alla nascita del sole interiore, quel “sole di mezzanotte” di cui parla Apuleio ne L’asino d’oro – e la discesa agli Inferi, ossia il viaggio dell’uomo nella profondità più oscura del suo essere, per trasformarla in creatività spirituale che poi sboccia e fiorisce con la primavera, i due aspetti, quello cosmico e quello interiore, essendo sempre collegati, poiché l’uomo è parte integrante del Tutto. La correlazione fra vicenda mitica e vicenda dell’anima umana è ben presente nella coscienza degli Antichi. “Come Core, l’anima discende nella génesis – scrive Olimpiodoro – Come Dioniso, essa nella génesis si disunisce e si disperde. Come Prometeo e i Titani, è avvinta ad un corpo, dal quale si distacca, dopo essersi rinvigorita come Eracle. Essa si riunifica raccogliendosi grazie ad Apollo e Atena salvatrice, praticando in vera purità la Filosofia. Essa risale verso la sua origine con Demetra”. (Olimpiodoro, Commento al Fedone, ediz. Norvin, pag. 111).
La discesa agli Inferi di Persefone può essere letta – in base alla polivalenza dei simboli antichi – anche come la discesa dell’anima nel mondo della generazione, cui segue il passaggio dall’Uno al molteplice (lo smembramento di Dioniso) e poi lo sforzo di liberazione simboleggiato dalle fatiche di Eracle. Il ritorno all’Uno avviene grazie alla forza della luce spirituale (Apollo) ed alla sapienza iniziatica (Atena Salvatrice). Molteplici sono le varianti del mito, fra le quali quella secondo cui Persefone è figlia di Zeus e Demetra, ossia l’anima nasce dall’incontro fra il Principio virile olimpico e la Madre Terra, il principio femminile fecondatore, inteso come forza cosmica. Non conosciamo i contenuti esperienziali dei Grandi Misteri, che si svolgevano nel mese di settembre-ottobre (Boedromione), ma è intuitivo ritenere che essi consistessero in una reiterazione esperienziale del mito della discesa agli Inferi di Kore, quindi in una esperienza di buio e di tenebre cui seguiva una esperienza di luce, una trasformazione dello stato interiore nella direzione dell’unificazione con la divinità. La rinascita della vegetazione era l’aspetto mitico rivissuto nei Piccoli Misteri celebrati nel mese di Antesterione, in primavera, segnati da purificazioni, digiuni e sacrifici; l’aspetto della manifestazione era quello minore, rispetto alla fase in cui si poneva il seme spirituale della nuova nascita, il seme che deve morire per fruttificare.
Un messaggio per l’uomo contemporaneo
I Misteri di Eleusi sono una preparazione al post-mortem, come Omero chiaramente ci dice. Gli Antichi – parliamo degli iniziati ai Misteri – mantenevano sempre viva la consapevolezza del nostro destino mortale e della necessità di prepararsi alla morte ed alle esperienze che l’anima dovrà affrontare nel post-mortem. Si può ricordare, a questo proposito, che presso i Tibetani e presso gli Egizi esistono – e sono ora ampiamente pubblicati e conosciuti – i Libri dei Morti, che venivano meditati in vita dalle élites sacerdotali per prepararsi alle prove dell’aldilà.
L’uomo contemporaneo è caratterizzato dalla rimozione, nella sua vita, della dimensione della morte; essa è messa, per così dire, fra parentesi, come se si dovesse vivere in eterno. Tutta la febbre del denaro, l’accumulazione di ricchezze, il fenomeno del consumismo – i bisogni artificiali indotti dalla pubblicità – si spiegano in questa chiave. Il mondo moderno è la via degli attaccamenti, che sono – secondo le dottrine sapienziali di Oriente e d’Occidente – la radice, il seme della trasmigrazione nel ciclo delle rinascite, il ciclo della génesis di cui parlavano gli antichi Greci. La fuga dalla morte, il vedere una cerimonia funebre come qualcosa che riguarda gli altri, che non ci tocca direttamente è la strada di quella “possibilità inautentica” di cui parlava il filosofo Martin Heidegger, del quale si stanno studiando alcune affinità con le filosofie orientali. I Misteri di Eleusi ci richiamano alla consapevolezza della nostra impermanenza, come base per una diversa scala di valori, per fondare un modo diverso, più limpido e distaccato, di guardare alla vita e quindi anche al vivere sociale. L’unione fra Cielo (Zeus) e Terra (Demetra), l’origine sacra dell’agricoltura, il nesso fra questa e i Misteri, ci richiamano alla coscienza dell’intima unità del tutto, della partecipazione dell’uomo ad un Tutto cosmico cui è legato da mille fili, dall’aria che respira ai frutti della terra di cui si nutre, all’acqua che gli è indispensabile, all’energia solare ed a quella della luna. La base di una vera ecologia non può che essere di natura spirituale, in termini di visione del mondo; lo stravolgimento dell’ecosistema è, innanzitutto, un’alterazione delle forze cosmiche, delle energie universali i cui effetti si ritorcono a danno dell’uomo. La natura può essere trasformata, non distrutta. E’ l’uomo che pone le basi per la sua stessa distruzione.
La discesa agli Inferi, l’esperienza delle tenebre e poi della luce ci richiama alla necessità di conoscere sé stessi, di osservarsi, per vedere i propri limiti ed adoperarsi per superarli. I Pitagorici e gli Stoici praticavano l’“esame di coscienza” quotidiano, come momento di autoconoscenza e stimolo al perfezionamento morale; l’uomo moderno – coinvolto nel vortice di una vita frenetica - vive spesso nella meccanicità e nella distrazione e non prende coscienza dei suoi limiti e dei suoi errori. La comprensione, anche solo intellettuale, della spiritualità misterica può essere un validissimo aiuto per un diverso atteggiamento esistenziale che dia un senso alla vita.
Tratto da Hera n° 69, ottobre 2005.