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Il concetto dell’inefficienza X e G. Roegen

di Emanuele Vincent - 06/01/2014

Fonte: lintellettualedissidente


Nell’opera di Roegen, lungimirante quanto forse prematuro è stato il distogliere l’economia dal novero delle scienze (intese secondo il concetto ricavato dal pensiero occidentale cioè rigettando il modello cartesiano e meccanicistico) e tentare di basare le nuove fondamenta dell’economia sull’entropia e sulla termodinamica

decrescita

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Il concetto di inefficienza x e l’assunto che l’economia non sia per nulla una scienza esatta – come allo stesso modo non sia proprio una scienza – seguendo la corrente marginalista che vede l’economia separata dalla matematica poiché materia non a sé sufficiente e non completa, rappresenta forse la più grande eredità di Georgescu-Roegen e allo stesso tempo una fondamentale lezione da apprendere e valutare nel nostro sistema economico alla luce dei recenti avvenimenti che hanno compito se non stravolto il nostro sistema economico.
L’analisi analitica, infatti, non può prescindere dai contenuti algebrici e matematici, e proprio per questo non è possibile affermare che l’economia ne sia diretta dipendente oppure ancora – forse in una maniera maggiormente provocatoria – che ne tragga diretta origine, poiché ampi sono gli spazi all’interno di questa materia lasciati completamente non tanto al caso, bensì al continuo apprendimento basato sull’esperienza e sugli effetti delle operazioni messe in atto e dai risultati da questi attesi. Nell’opera di Roegen, infatti, lungimirante quanto forse prematuro è stato il distogliere l’economia dal novero delle scienze (intese secondo il concetto ricavato dal pensiero occidentale cioè rigettando il modello cartesiano e meccanicistico) e tentare di basare le nuove fondamenta dell’economia sull’entropia e sulla termodinamica. E’ vero che tale cambiamento può essere ricondotto al mutare d’opinioni nella dottrina scientifica degli anni Venti, come è altrettanto vero che – anche da una rapida lettura – il suo pensiero si pone in contraddizione poiché non salta sul “treno vincente” del pensiero economico neoliberista mirato completamente alla produzione, al vantaggio economico e al profitto, bensì egli auspicava l’utilità e la possibilità di una decrescita, in questo modo collegando l’economia alla scienza (e all’esigenze ?) della vita biologica e dell’ambiente, azzardo morale ed intellettuale che probabilmente fu determinante per la mancata assegnazione del Premio Nobel.
Per questo si può comprende come l’opera di un colosso come il rumeno Roegen sia di schiacciante attualità e di pungente insegnamento, richiamando l’attenzione e sollevando questioni che – avanzate a cavallo del Ventesimo secolo – possono essere oggi molto utili. Ad essere attaccati, infatti, sono proprio quei principi alla base dell’evoluzione scientifica durati tre secoli e tuttora dominanti ricavati dal pensiero cartesiano, quali il determinismo assoluto, la reversibilità dei fenomeni e la fisica meccanica quale base di ogni analisi analitica. Ad essere attaccati quindi sono l’elaborazione di un concetto partendo dalle sue singole basi per studiare e capire il tutto, riconducendo e derivando quindi anche le leggi della biologia a quelle della fisica e della chimica. Se durante l’Ottocento furono le correnti del vitalismo e dell’organicismo che cercarono – senza durevoli successi – di opporsi a questa visione, il suo contestatore novecentesco si può senza dubbio riscontrare (anche) in Roegen, almeno relativamente agli effetti di questa impostazione nell’ambito economico.
Del resto, la sua trattazione e dimostrazione è stata analitica e matematica, proprio per rilevare come un’economia sganciata da quest’ancora di verificabilità non sarebbe potuta essere una scienza neppure verosimile. Anche se, tuttavia, è proprio quest’ancora che ha determinato la deriva intrapresa dall’economia nel tentativo di assumerla a paradigma infallibile quale essa non può essere, al contrario di quanto il neoliberismo possa oggi pensare, assumendo una regola universalmente valida in tutti i sistemi economici esistenti, o in quasi tutti. In questo senso, rilevanti appaiono anche gli echi di questa visione di pensiero nella materia costituzionale tra l’autorità e le regole, tra il diritto positivo e la consuetudine vivente e “procedente” a prescindere da ogni imposizione positivi.
Se quindi l’inefficienza x quindi parte da un semplice quanto preciso presupposto, ossia quello di (tralasciando le dimostrazioni matematiche qui non riportabili) interpretare ogni mancanza di efficienza come frutto di inefficienza, ed ogni agente economico non perfetto come comporta in sé un inevitabile effetto di tale inefficienza, allora ecco crollare anche un altro importante baluardo dell’impostazione courniana di fine Ottocento e imprescindibile baluardo dell’economia moderna, ossia la perfezione del sistema economico e dei suoi agenti, al pari della loro razionalità matematica e del loro cieco determinismo. Tutti effetti la cui rilettura aiuterebbe a regolarsi in una situazione critica come quella in corso tutt’oggi.