La mappa della lingua è universale e infinita
di Noam Chomsky - 08/01/2014
Viaggio nella cartografia delle strutture verbali dove «istintivamente le aquile che volano nuotano»
I meandri del cervello
Ciò che ogni essere umano sempre padroneggia è un oggetto certo finito, ma di portata illimitata, cui è concesso un repertorio incalcolabile di espressioni
Il linguaggio è stato proficuamente studiato per 2500 anni, ma solo di recente è diventato possibile formulare chiaramente la sua proprietà fondamentale: in parole semplici, ogni lingua offre il modo di esprimere un repertorio infinito di pensieri. Nel corso degli anni vi erano stati tentativi sommari di cogliere tale proprietà. Per esempio, Charles Darwin osservò che gli animali inferiori differiscono dagli esseri umani solamente per il maggior potere, un potere quasi infinito , di associare e comporre i più svariati suoni con le più svariate idee. L’espressione quasi infinito deve essere intesa come, semplicemente, infinito , e adesso sappiamo che il modo di fare tali associazioni è nell’uomo radicalmente diverso da quello di ogni altra specie. Ciò detto, Darwin aveva sostanzialmente ragione, sebbene non fosse ancora in grado di formulare in dettaglio un programma produttivo di ricerca su questa speciale facoltà umana.
Uno dei più insigni studiosi dell’evoluzione, Ian Tattersall, in una sua recente rassegna sulle origini dell’uomo, conclude dicendo: «L’acquisizione della sensibilità unicamente umana è stata improvvisa e recente nei tempi dell’evoluzione e la sua espressione è stata quasi certamente il portato dell’invenzione di quello che è il singolo più notevole tratto dell’uomo moderno, cioè il linguaggio». In sostanza, ritroviamo il potere notevolissimo di cui parlava Darwin.
A partire dalla metà del XX secolo, le scienze formali (matematica, logica e teoria del calcolo) avevano offerto una ricca comprensione di come un sistema finito — il cervello umano o un calcolatore programmabile — possa generare un repertorio infinito di espressioni. Ciò rese possibile formulare precisamente la proprietà in questione e aprire la strada a un’indagine in profondità sulla proprietà che era stata fino ad allora inaccessibile a un esame specifico.
La lingua che ogni essere umano padroneggia è un oggetto finito, ma di portata infinita. È una proprietà interna alla persona, un sistema di elaborazione e calcolo di un cervello finito che rende possibile esprimere un repertorio infinito di espressioni strutturate, ciascuna delle quali viene interpretata su due livelli: quello dell’apparato sensorio-motorio (per lo più suoni, ma anche segni nei linguaggi dei segni) e quello dei sistemi di pensiero atti a interpretare il mondo circostante, pianificare le azioni, ragionare ed eseguire molti altri processi mentali. Uno schema di ricerca che vuole cogliere tale proprietà è (per definizione) una grammatica generativa . Tale tipo di grammatica cerca di rendere totalmente espliciti i processi finiti che subentrano nel normale uso della lingua nella sua varietà complessa e illimitata.
Il programma di ricerca della grammatica generativa , avviato in questi termini circa 60 anni orsono, ha enormemente arricchito l’ambito dei fenomeni empirici accessibili allo studio, includendo lingue di tipi assai diversi. Ha, inoltre, consentito di indagarli a un livello di profondità prima inimmaginabile e in domini nuovi: per esempio studiare in modo nuovo e molto illuminante in che modo il significato di espressioni complesse sia determinato dall’operare di poche e astratte regole interne al linguaggio. Studiare il linguaggio come oggetto biologico ha anche consentito di ampliare enormemente il tipo di dati propri a una certa lingua, includendo il modo in cui il bimbo la acquisisce e come esso è dissociato da altre funzioni cognitive, inaugurando anche una bio-linguistica e una neuro-linguistica.
Un obiettivo ancora più ambizioso è stato quello di portare alla luce (usando le parole dell’insigne linguista Otto Jespersen) «i grandi principi che sottostanno alle grammatiche di tutte le lingue, ottenendo una più approfondita comprensione dell’intima natura del linguaggio e del pensiero umano». Nell’era moderna, tale studio ha preso il nome di grammatica universale , adattando una terminologia tradizionale al nuovo contesto. Non mi sembra possa essere messo seriamente in dubbio che gli esseri umani sono accomunati da un bagaglio biologico prefissato, che è alla base della capacità di acquisire e usare il linguaggio, e questo è ciò che la grammatica universale studia. Che questa capacità sia, in essenza, il patrimonio unico dell’umanità, è quanto Darwin e molti altri studiosi avevano riconosciuto. Nella misura in cui comprendiamo le proprietà della grammatica universale , lo studio di una lingua può poggiare sui risultati ottenuti nello studio di altre lingue, consentendo, una volta di più, una maggior comprensione della natura e dell’uso del linguaggio.
Lo studio di ogni bagaglio biologico è sempre complesso. Cionondimeno, c’è stato un notevole progresso sul fronte della grammatica universale , sebbene molti problemi e ardui interrogativi siano ancora aperti e ne scaturiscano sempre di nuovi. Il progresso è stato sufficiente a rendere abbordabile un nuovo programma di ricerca negli ultimi anni: chiedersi quale sarebbe la soluzione perfetta per soddisfare le richieste fondamentali imposte dal funzionamento del linguaggio, imposte, cioè, dalla proprietà fondamentale vista sopra. Quando si scoprono delle discrepanze tra ciò che si osserva e le soluzioni ideali, ci si chiede come reinterpretare i dati e come rivedere le intuizioni teoriche in modo da sanare tali discrepanze. Questo programma prende il nome di programma minimalista , e ben si attaglia al quadro della recente e subitanea emergenza evoluzionistica del linguaggio descritta da Tattersall. Adottando progressivamente questo programma di ricerca è stato possibile rivelare che alcune proprietà piuttosto sbalorditive della grammatica universale sono il portato coerente dell’ipotesi che il design del linguaggio sia ottimale sotto il profilo visto sopra.
Un esempio di tale ottimizzazione è il fenomeno onnipresente dello spostamento sintattico. I sintagmi possono essere uditi in una posizione nella frase, ma interpretati sia in tale posizione che in una diversa. La frase «Quali libri ha letto Gianni?» viene interpretata come se fosse «Quali libri sono tali che Gianni ha letto quei libri?». «Libri» è il complemento oggetto diretto di «leggere», ma non viene pronunciato o scritto immediatamente alla destra del verbo. Tale spostamento è stato a lungo, nella professione, considerato una strana imperfezione del linguaggio, ma possiamo oggi mostrare che risulta da una radicale semplificazione del calcolo mentale sintattico, mostrare, cioè, che è la più semplice operazione mentale sintattica immaginabile, il risultato automatico di una massima semplicità. Contrariamente a quanto ritenuto fino a pochi anni fa, l’assenza di ogni spostamento sintattico sarebbe stata una strana e inspiegabile imperfezione. Un ulteriore esempio è il dato insolito e curioso che le regole del linguaggio sono, senza eccezioni, centrate sulla minima distanza strutturale, non superficiale (cioè calcolata lungo il numero di parole nella frase), anche se tale distanza sarebbe in linea di massima più facile da calcolare e da elaborare linguisticamente. Così nella frase «Istintivamente le aquile che volano nuotano» l’avverbio «istintivamente» è superficialmente più vicino a «volano», ma strutturalmente più vicino a «nuotano», al quale in effetti si applica.
Questa computazione mentale è più astratta e più complessa, ma è quella giusta. Non ci sarebbe niente di errato nel pensiero che le aquile che istintivamente nuotano volano, ma non lo si può esprimere con questa frase. Tale proprietà è linguisticamente onnipresente ed è automaticamente colta dal bimbo sulla base di dati praticamente miseri, se non del tutto assenti. Lavori recenti offrono una spiegazione sorprendente, basata sull’efficienza del calcolo sintattico mentale, con conseguenze di vasta portata che minano alla base svariate ipotesi tradizionali e ben radicate sulla natura e l’uso del linguaggio. In questo caso, i principi della grammatica universale sono stati verificati su studi delle funzioni cerebrali, un successo importante e arduo, ottenuto in lavori diversi, tra i quali spiccano quelli di Andrea Moro (Università di Pavia), il quale ha integrato contributi di spicco alla teoria linguistica con indagini pionieristiche nel campo della neuro-linguistica.
Una linea di ricerche molto produttive ha esplorato ciò che in termine tecnico si chiama la cartografia delle strutture linguistiche, cioè le gerarchie universali delle frasi, attraverso le modifiche apportate dagli avverbi e le strutture di informazione veicolata dalle frasi (con componenti tecnici come il fuoco, l’informazione topica e così via). In particolare, i più recenti lavori di Guglielmo Cinque (Università di Venezia) e Luigi Rizzi (Università di Siena) hanno rivelato strutture linguisticamente universali di notevole complessità, con interessantissime conseguenze sintattiche e semantiche, dischiudendo nuovi problemi sul perché il linguaggio è organizzato in tal modo e non in qualche altro modo.
È impossibile in questo breve spazio passare in rassegna i risultati conseguiti nel moderno studio del linguaggio, le sue rappresentazioni neurali, il suo intimo ruolo nelle nostra vita mentale e sociale. Né raccontare le molte sfide ancora aperte alla nostra comprensione del linguaggio che tali risultati hanno suscitato, segno che si tratta di una disciplina vivace e in continuo fermento. Tali ricerche procedono, senza dubbio, a un livello che travalica nettamente quanto potevamo immaginare anche solo alcuni anni addietro, e offrono prospettive entusiasmanti su scoperte ancora più profonde delle capacità linguistiche della nostra specie, appunto sul «singolo più notevole tratto dell’uomo moderno» e la nostra specialissima sensibilità moderna.