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Il male oscuro dell’Europa si chiama deflazione

di Luigi Tedeschi - 12/01/2014

Fonte: Italicum

 

 

Siamo veramente alla uscita dalla crisi? La ripresa da tempo annunciata verrà alla luce come un evento messianico profetizzato da una sorta di millenarismo economico, volto a giustificare e santificare i sacrifici imposti dalla austerity come un percorso quaresimale necessario all’avvento di una crescita redentrice dai mali dello statalismo e del populismo? In Italia la austerity inaugurata da Monti e proseguita da Letta ha avuto l’effetto di curare il male con il male stesso. La recessione dovuta alla politica di indiscriminati tagli alla spesa sociale e di sconsiderato aumento della pressione fiscale, ha generato come risultato finale la deflazione. Tale fenomeno, pur previsto e prevedibile in Europa, che ha indotto la BCE ad un ribasso netto dei tassi di interesse, non ha certo provocato sussulti nella classe politica di governo, la cui politica economica si limita la contenimento del deficit pubblico a prezzo di nuovi sacrifici, nuova recessione e disoccupazione crescente. Le dichiarazioni di Letta, secondo le quali l’Italia “ha i conti a posto”, nei confronti dei diktat di Rehn circa lo stato dei nostri conti pubblici, in riferimento al rispetto del parametro del 3% del rapporto tra Pil e deficit, non sono certo da interpretare come una risposta polemica, ma come che garantisce la subalternità dell’Italia alle direttive della BCE. Ma di una politica di contrasto all’ondata deflattiva in atto, non se ne intravede neppure l’ombra.

Il governo continua ad esternare dichiarazioni rassicuranti circa la ripresa della crescita data come imminente, in base ai dati positivi dell’export italiano. Tale incremento è tuttavia dovuto all’effetto trainante della ripresa della produzione e del consumo americani, che coinvolge l’economia mondiale. Si rileva comunque che l’apprezzamento dell’euro sul dollaro degli ultimi mesi, giunto a quota 1,37, non è certo un fattore che induce a sperare su una ulteriore crescita dell’export nel prossimo futuro. Lo stesso miglioramento dei nostri conti con l’estero, non può essere interpretato come un segnale di ripresa, in quanto è la recessione produttiva, accompagnata dal calo dei consumi interni a determinare il decremento delle importazioni di materie prime. Permane pertanto la stagnazione della domanda interna. Occorre inoltre rilevare che una crescita basata sull’export non ha che effetti limitati sulla crescita interna. Ne è l’esempio paradigmatico la Germania: al boom dell’export da un decennio fa riscontro una crescita interna che non supera l’1%. La stessa BCE, riducendo i tassi di interesse, allo scopo di frenare il processo deflattivo in atto, oltre che a porre riparo all’eccessiva quotazione dell’euro rispetto al dollaro, pur annunciando la possibilità di ulteriori ribassi dei tassi, ha esaurito ogni possibilità di manovra per favorire la ripresa, qualora non si verifichino inversioni di tendenza da parte delle banche circa l’erogazione del credito alle imprese. Intanto, la deflazione in atto può solo provocare effetti ulteriormente depressivi sull’economia europea e italiana. Ricordiamo che la deflazione ha condotto alla stagnazione dell’economia giapponese per oltre un decennio.

Ma la deflazione è un male che la classe politica italiana sembra voler contrastare attraverso la sua esorcizzazione, cioè silenziando il problema. La deflazione è un processo consequenziale alla recessione economica, che provoca la rarefazione monetaria e cali ulteriori della domanda. Si è affermato che la presente deflazione non è determinata dalla restrizione della liquidità, ma dal decremento della domanda interna. Ma tali giudizi ci sembrano dubbi. E’ vero che la BCE ha effettuato a varie riprese immissioni di liquidità, onde far fronte alla crisi del sistema bancario, ma tale liquidità è stata impiegata dalle banche in massima parte nel debito pubblico degli stati e in investimenti finanziari, non per erogare credito alle imprese, che hanno subito gli effetti di ulteriori restrizioni creditizie. Il sistema bancario non è in grado di ricapitalizzarsi e pertanto acquista titoli di stato, a danno della produzione, la cui crisi è dovuta alla carenza di liquidità. La rarefazione monetaria prodotta dalla deflazione, provoca un apprezzamento della moneta che comporta il calo dei prezzi al consumo e quindi progressiva riduzione dei margini, con successiva ondata recessiva e conseguenti decrementi della produzione, caduta della domanda interna e disoccupazione crescente. Essa determina inoltre effetti negativi sullo stesso debito pubblico. Infatti, il calo del Pil, per effetto della recessione, è accompagnato dalla riduzione delle entrate tributarie, segnatamente delle imposte sul consumo. Il debito pubblico italiano è salito nel 2013 al 130% del Pil: 10 punti in più rispetto al 2012! In conseguenza della deflazione, all’apprezzamento monetario fa riscontro anche quello del debito pubblico, la cui sostenibilità diverrà assai problematica nel prossimo futuro. La deflazione non potrà che incidere anche sui salari, che subiranno una spinta al ribasso.

Con l’aumento del debito pubblico, crescerà anche quello privato delle imprese, pregiudicandone la competitività e i livelli occupazionali. Il calo dei prezzi avrà particolari ripercussioni nel settore immobiliare, già in profonda crisi e un ulteriore crollo dei prezzi potrebbe essergli fatale. Il crollo del mercato edilizio condurrà inoltre al deprezzamento delle garanzie immobiliari prestate dalle imprese e dai privati alle banche per l’erogazione del credito. Assisteremo dunque a ulteriori restrizioni del credito alla produzione e al propagarsi di insolvenze diffuse, essendo i debitori impossibilitati al rientro dei crediti già erogati. Tra le altre cose, con l’apprezzamento della moneta non è difficile immaginare gli effetti della deflazione sulla pressione fiscale che, già in Italia ai livelli insostenibili del 44%, potrà salire in termini reali a percentuali incontrollabili, non essendo certo prevedibili riduzioni della fiscalità a breve.

L’Italia e l’Europa necessitano di inflazione. L’inflazione è un fenomeno congenito allo sviluppo economico. Un’inflazione moderata, ritenuta tollerabile alla percentuale del 2%, può essere riassorbita dall’effetto propulsivo della crescita economica. L’attuale inflazione della Germania, stato guida dell’Eurozona è all’1,4%, quella italiana è al livello preoccupante dello 0,7%. L’Europa ha quindi bisogno di inflazione, di iniezioni di liquidità alla produzione per sostenere lo sviluppo. Occorrerebbe procedere a svalutazioni monetarie consistenti, onde finanziare la spesa pubblica per investimenti, rilanciare la competitività delle imprese e favorire la ripresa della domanda interna. Tali misure sono comunque impensabili nella “gabbia” dell’Eurozona. La deflazione è forse il risultato terminale di una politica europea rigidamente incentrata sugli equilibri finanziari, che hanno condotto alla recessione produttiva, al depauperamento dei popoli, oltre che ad insolubili crisi del debito nel sud dell’Europa. Sono stati gli americani ad elevare vibranti proteste nei confronti della politica economica europea, con particolare riferimento alla Germania, non certo gli stati dell’Eurozona che ne subiscono le conseguenze. Le pesanti critiche americane hanno condotto perfino ad una procedura di infrazione nei confronti della Germania. Le uniche proteste in sede europea sono paradossalmente quasi sempre inoltrate dalla Germania, che vuole garantirsi un primato europeo a discapito delle economie più deboli e respingono qualsiasi misura di solidarietà con i paesi in crisi. Per gli USA la crisi della domanda interna dell’Eurozona pregiudica in modo rilevante le proprie esportazioni, che potrebbero espandersi in corrispondenza del deprezzamento del dollaro. Ma è la stessa economia mondiale ad accusare un rallentamento, proprio a causa della crisi europea, data l’odierna interdipendenza delle economie su scale globale.

La deflazione è comunque un problema sconosciuto per la classe politica italiana, volta solo a compiacere l’oligarchia finanziaria della BCE a danno del paese. Il problema insolubile del prossimo futuro non sarà tanto quello di una auspicabile fuoriuscita dall’euro dell’Italia e dell’Europa mediterranea, quanto quello della sussistenza dell’Eurozona e, una persistente deflazione interna all’Europa potrebbe inaugurare scenari sconosciuti, a cui l’Italia non è certo preparata, data la non auspicabile prospettiva di uscita dall’euro con la attuale classe dirigante