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La cannabis e il rock? Una storia superata

di Claudio Risé - 12/01/2014

Fonte: RollingStone


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Attenzione: c’è in giro uno psicanalista molto indie. Dice che gli spinelli fanno male (sarà..) e che il rock di oggi è salutista (eh?!?). Professore, scusi, si spieghi meglio…

Pochi anni fa, sul palco del Maurizio Costanzo Show, sconfessava l’andropausa anticipata dell’italiano medio con il suo best seller Maschio Selvatico. Oggi, forse provato dalle email che i lettori di Io Donna gli scrivono ogni settimana nella rubrica “Psiche lui”, ha deciso di darsi alla droga. Quella leggera, però. Claudio Risé, psicanalista e docente di Sociologia dei processi culturali e delle comunicazioni, ha appena pubblicato per San Paolo Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita, uno studio sugli effetti negativi dell’erba. RS, che è sempre stato per il confronto aperto (e soprattutto per la cannetta serale), ci ha fatto due chiacchiere. Senza filtri…

L’erba è una cosa così brutta?

«Può essere efficace in alcune patologie, perché è una sostanza potentemente attiva. Un vero “pharmakon” nel senso greco del termine: veleno, quindi in grado di curare, nelle dosi stabilite dall’esperienza clinica».

Perché, allora, se ne sente sempre parlare come di un rimedio naturale?

«Per non fare concorrenza ai farmaci sintetici. E per sostenere la leggenda della cannabis come sostanza innocua (appunto non pharmakon). Se non fosse un veleno, come si sostiene per legittimarne l’uso a scopi ricreativi, non avrebbe nessun effetto terapeutico, a meno di collocarla tra le sostanze miracolose, come l’acqua di Lourdes».

 Esistono patologie mentali che possono trarre benefici dall’utilizzo di endocannabinoidi?

«No. Assunta subito dopo un trauma, la marijuana potrebbe aiutare a rimuoverlo, visto che danneggia fortemente la memoria breve. Però quel vissuto traumatico finirebbe nell’inconscio, dove è meno controllabile, e quindi potenzialmente più dannoso. Poi ci sono gli effetti collaterali: ideazioni paranoidi e fantasie persecutorie».

Oggi è quasi impopolare sostenere che le canne creino dipendenza. Quali sono le sue argomentazioni?

«La cannabis ha tutti i requisiti richiesti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per stabilire se una sostanza dia dipendenza: produce intossicazione cronica (più della cocaina), che suscita il desiderio della sostanza, tendenza ad aumentare la dose, condizionamento psichico e fisico. Sintomi della dipendenza sono irritabilità, ansia e un aumento di aggressività che raggiunge il picco più alto una settimana dopo l’inizio dell’astinenza».

Ha in cura molti pazienti dipendenti dalla marijuana?

«Molti me lo chiedono, ma purtroppo non si può fare. La psicoanalisi può trattare un soggetto traumatizzato e psichicamente ferito, ma non dipendente. La dipendenza da sostanze impedisce lo stabilirsi di una valida alleanza terapeutica con l’analista. Il soggetto dipendente, per definizione, tra la droga e chiunque altro, compreso se stesso, sceglie la droga. Da qui la difficoltà di ogni trattamento “libero”».

Conferma anche le voci sul fatto che la cannabis fa male al sesso?vai

«È una gonadotossina, in grado quindi di danneggiare la costituzione del testicolo. Altera la produzione di sperma, riduce densità e mobilità degli spermatozoi, quindi la fertilità maschile intesa come capacità di penetrare nel rivestimento dell’uovo. Nella donna interferisce col trasporto e l’impianto dell’embrione nell’utero, aumentando aborti e gravidanze extrauterine. I figli di fumatrici di cannabis presentano più frequentemente iperattività, disturbi dell’attenzione e della memoria e altri disturbi cognitivi».

Nel suo libro Maschio Selvatico sosteneva la scomparsa dell’iniziazione maschile nella società contemporanea. Ma fumare cannabis non è un retaggio di antiche iniziazioni?

«La cannabis ha preso un enorme spazio anche perché i giovani hanno un grande bisogno di iniziazioni e di riti di passaggio che gli adulti non forniscono più. Si tratta però di una finta iniziazione, che non “inizia” a nulla, se non a un nuovo consumo (tratto del resto tipico di una società consumista). Dell’iniziazione autentica manca l’esperienza di rafforzamento della personalità attraverso una privazione (che qui viene sostituita appunto dal consumo). Ma manca anche la sperimentazione di livelli di coscienza più profondi e sottili. La cannabis ne procura piuttosto di più grossolani e opachi, percepiti infatti come “rilassanti” rispetto alla coscienza abituale, cosa che le iniziazioni autentiche non sono mai».

Lei così sta minando le basi del manifesto sesso, droga e… Ora finirà per dirmi che anche il rock&roll crea dipendenza?

«Come tutte le cose belle, anche il rock&roll tende a piacerti per tutta la vita. Io mi svegliavo e addormentavo con Elvis, non potrei certo farlo con la Pausini. Non la chiamerei però dipendenza, ma educazione del gusto. Quella che mi fa sputare uno spino e accendere un sigaro cubano. I chitarristi rock di oggi, poi (Steve Vai, Joe Satriani, Yngwie Malmsteen, Steve Morse), curano corpo e muscoli in palestra, e la mente con lo zen o con la preghiera. Mi sembrano lontanissimi dalla dipendenza». I chitarristi di oggi… Touché!