Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Elogio del «pregiudizio», contro la tirannia di una Ragione arrogante e totalitaria

Elogio del «pregiudizio», contro la tirannia di una Ragione arrogante e totalitaria

di Francesco Lamendola - 25/01/2014




 

«Mio Dio, sei pieno di pregiudizi!»; «Ma non ti vergogni di nutrire simili pregiudizi?»; «Pensa a quali terribili conseguenze portano i pregiudizi che avete tu e quelli come te…»

La parola “pregiudizio”, nel linguaggio contemporaneo, è diventata una di quelle parole che vorrebbero essere auto-evidenti e incontrovertibili, mentre, nello stesso tempo, è una classica parola giustiziera, una parola-ghigliottina, libertaria ben inteso: una di quelle parole che, per il solo fatto di essere pronunciate e rivolte contro qualcuno, bollano costui con un eterno marchio d’infamia, lo squalificano, lo relegano nello scalino più basso della specie “homo sapiens”, quella vicina ai villosi e irragionevoli primati scimmieschi dai quali, secondo i biologi evoluzionisti, ci siamo distaccati almeno centomila anni fa.

Questo stato di cose è dovuto alla cultura illuminista: fu allora, verso la metà del XVIII secolo, che i “philosophes”, dall’alto della loro superba razionalità, lanciarono il loro grido di battaglia contro superstizioni e pregiudizi; ed è da allora che la parola “pregiudizio” ha acquistato tutta la sua carica spregiativa, l’equivalente laico di una scomunica in piena regola. Ma che cosa significa, esattamente? ”Pregiudizio”, evidentemente, è un giudizio che viene formulato “prima”; prima di che cosa? Ovvio: prima che la ragione dei “philosophes”, ossia una ragione libera e spregiudicata, desunta dal metodo scientifico galileiano e assolutizzata, abbia valutato la circostanza che forma l’oggetto di cui si discute e abbia emesso la sua inappellabile sentenza davanti al tribunale del Progresso.

Ma chi è che decide che un pregiudizio è una cosa brutta e cattiva, e che brutto e cattivo è colui che lo alimenta in se stesso? La ragione scientifica, naturalmente; la ragione laica e materialista, per la quale tutto ciò che è diverso da essa, è inferiore ad essa, è ed è contrario ad essa: dunque, una minaccia da sventare, un nemico da eliminare: se non si vuol vedere i mostri che risorgono, i mostri generati dal sonno della Ragione. Perché la ragione non deve mai dormire, non può mai permettersi di sonnecchiare: deve sempre vegliare, deve vigilare eternamente, con cento occhi e cento orecchi spalancati, pronta a cogliere il minimo accenno di pregiudizio, per segnalarlo immediatamente ai suoi fedelissimi custodi e consegnarlo al braccio secolare, che provvederà a cauterizzarlo – anche col fuoco, se necessario: perché la causa della Ragione è una causa santa.

Del resto, che i pregiudizi siano sempre brutti e cattivi, lo dimostra sia la loro antichità, sia la loro origine popolare. In quanto antichi, appartengono al passato: e il passato, per l’Illuminismo, è il male, il regno dell’ignoranza e della superstizione, qualcosa che va cancellato e dimenticato, qualcosa che bisogna seppellire sotto montagne di disprezzo, con i suoi roghi, il suo Indice dei libri proibiti, le sue ridicole credenze religiose. In quanto di origine popolare, non possono che essere malvagi e velenosi, perché il popolo è rozzo e ignorante, crede a qualunque cosa, s’inginocchia davanti a qualsiasi idolo. Meno male che ci sono i “philosophes” per aiutarlo a ravvedersi, con le buone o con le cattive: perché anche in questo secondo caso (vedi la repressione della Vandea), si tratta di agire per il suo bene; si tratta di fargli mandar giù la medicina che lo farà guarire dagli errori e che lo libererà dagli spiriti maligni dell’oscurantismo.

I pregiudizi, dunque, sono il retaggio del passato: qualcosa che va continuamente superato; e quanto più il Progresso accelera la sua marcia trionfale, tanto più in fretta devono cadere le pastoie del pregiudizio. Se non cadono da sole, come sarebbe auspicabile, allora bisogna farle cadere con una piccola spinta: ed ecco che i “philosophes” si mobilitano e lanciano una delle loro incessanti campagne per debellare l’immondo pregiudizio di turno, al travolgente grido di guerra del buon vecchio Voltaire: «écrasez l’infâme!» («schiacciate l’infame»).

Oggi, per esempio, si tratta di far cadere il pregiudizio omofobico: «Dagli all’untore, distruggi il pregiudizio e i suoi spregevoli seguaci!». Visto che la Ragione stenta a farsi strada nelle tenebre neo-medievali, ci penseranno i parlamenti e i tribunali a legiferare, equiparando le unioni omosessuali al matrimonio fra uomo e donna; eliminando gli odiosi pronomi “lo” e “la” nelle scuole materne, per sostituirli con il pronome neutro; a passando sotto silenzio la festa del papà, se nella classe in questione c’è il figlio di una coppia lesbica, o la festa della mamma, se in classe c’è il figlio di una coppia gay maschile; e via dicendo. E non importa se, per tutelare dal pregiudizio una piccola minoranza, si passa come un rullo compressore sopra i sentimenti e le legittime aspettative della stragrande maggioranza: in nome del pregiudizio egualitario, bisogna appiattire le differenze, omologare le coscienze, di modo che l’intera società si rifaccia una coscienza nuova di zecca. O meglio, bisogna appiattire le differenze, ma solo quando ciò rientra nei disegni della minoranza “illuminata” che si fa carico di guidare la marcia delle masse verso il Progresso; però – strano - non accade mai il contrario: che sia la maggioranza ad essere ascoltata.

In altre parole: così come nel marxismo-leninismo è una minoranza rivoluzionaria che possiede la piena coscienza di quali siano i reali interessi della classe lavoratrice, ragion per cui essa ha il diritto e il dovere di instaurare la “dittatura del proletariato”, cioè la SUA dittatura (oh, ma nell’interesse  e per conto del popolo, si capisce: anche se si tratta di ammazzare e imprigionare un bel po’ di popolani!), così nella concezione illuminista è una piccola ma selezionata minoranza di intellettuali che si auto-proclama custode e vessillifera del Progresso ed è essa, pertanto, la sola titolata a decidere cosa sia un pregiudizio e cosa vada eliminato, per preparare le coscienze alla nuova tavola di valori stabilita dalla marcia del Progresso.

Uno dei primi filosofi europei a smascherare l’inganno e il ricatto ideologico connessi all’uso e all’abuso del concetto di “pregiudizio” da parte della cultura illuminista è stato Edmund Burke, deciso oppositore della Rivoluzione francese (sebbene egli avesse guardato con favore, almeno all’inizio, la lotta per l’autonomia delle tredici colonie americane); a lui si deve la prima, energica confutazione del sofisma “progressista”, secondo il quale il pregiudizio è il grande male da distruggere, affinché i lumi della Ragione possano affermarsi.

Le idee di Burke al riguardo sono state efficacemente sintetizzate da un illustre studioso contemporaneo della storia delle idee, Christopher Lasch, nella sua classica monografia «Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica» (titolo originale: «The true and only Heaven. Progress and its Critics», New York-London, Norton & Company, 1991; traduzione dall’americano di Carlo Oliva, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 119-22):

 

«Ancor prima che il Terrore conducesse la Rivoluzione francese al suo terribile culmine, Edmund Burke pubblicò la sua classica difesa della saggezza della tradizione contro l’innovazione sconsiderata, delle “vecchie istituzioni” contro il “sistema meramente teorico” ideato dai “sofisti”, dai “declamatori” e dai “metafisici”. Burke sottolineava il valore  del pregiudizio, che secondo lui era “diecimila volte” preferibile ai “mali della incostanza e della volubilità”. L’Illuminismo condannava il pregiudizio in quanto nemico della ragione; ma il suo valore come fonte di controllo morale, per Burke,era testimoniato proprio dalla Rivoluzione, opera di uomini e di donne cui la libertà dai pregiudizi aveva tolto la capacità di evitare dei crimini orribili. Burke identificava il pregiudizio con il decoro e con “sentimenti ineffabili”, suggeriti spontaneamente dal cuore.  Un “saggio pregiudizio” contro il parricidio aveva spinto gli inglesi, di fronte alla follia dei loro vicini d’oltre manica, a “considerare con orrore quei figli del loro paese che facevano sconsideratamente a pezzi” lo stato francese, “questo vecchio genitore”,  per “gettarlo nel calderone dei maghi”. […]

Invece di “distruggere i pregiudizi”, i filosofi dovrebbero “impiegare meglio la loro sagacia.. per scoprire la saggezza nascosta che in essi prevale”. I pregiudizi guidano la condotta dell’uomo in maniera molto più attendibile che non la ragione, in quanto fanno sì che sia “la consuetudine, e non una serie di azioni sconnesse” a costituire ”la virtù di ogni uomo”. Anche la superstizione ha il suo posto in uno schema ben ordinato. “Non c’è alcuna superstizione con cui l’assurdità della ragione umana ha potuto paralizzare il coraggio di agire, che il novantanove per cento degli inglesi non preferirebbe all’empietà”.

Burke non mette in discussione l’opposizione fra ragione e tradizione. Inverte semplicemente i valori che vengono abitualmente attribuiti a questi concetti, celebrando il pregiudizio e la superstizione in opposizione alla predilezione illuministica per la “nuda ragione”, come la definisce. La sua critica non si limita all’argomento per cui la ragione incoraggia la confusione, l’azione sconsiderata, ma include l’argomentazione opposta, che la ragione favorisce il dubbio e l’incertezza. La ragione paralizza la capacità di agire, mentre il pregiudizio è “di pronta applicazione nei casi di emergenza”, e “non lascia l’uomo esitante, scettico, incerto, perplesso, nel momento della decisione”. Queste osservazioni mettono in evidenza come Burke identifichi la ragione con un tipo di speculazione fluttuante, astratta, irresponsabile, indifferente alle conseguenze di un dato succedersi di azioni, indifferente persino al bisogno di azione  e di scelta morale, inteso  come l’opposto di un modo di comportarsi estrapolato da premesse teoretiche. […]

Pur essendo un polemista brillante, Burke preferiva il silenzio al vociare del dibattito o, secondo una immagine a lui molto cara, il decoroso abito della consuetudine alla “nudità” della ragione. Egli lodava la religione, considerandola il “fondamento della società civile”, ma deplorava le controversie religiose. I cristiani moderni, scriveva, “considerano la propria religione come una consuetudine, sottoposta a un’autorità, non soggetta a dispute”. Quando parlava del cristianesimo come dell’”unica grande fonte di civiltà per noi tutti”. Aggiungeva che “sbarazzarsi” del cristianesimo avrebbe significato “rivelare la nostra nudità”. »

 

Burke era rimasto particolarmente inorridito dal processo e dalla condanna a morte di Maria Antonietta: come regina e come donna, essa avrebbe dovuto essere tutelata da un così grande oltraggio; la sua condizione di donna e di regina avrebbero dovuto sottrarla a un procedimento giudiziario da parte dei suoi stessi sudditi; e se tale considerazione è il frutto di un pregiudizio, ebbene, allora ben vegano i pregiudizi, che peraltro nascono spontaneamente nel cuore degli uomini e che solo con uno sforzo della volontà e di una intelligenza pervertita dal fanatismo della ragione, possono essere messi a tacere o estirpati dal cuore umano.

La storia è piena di esempi di come si sia chiamato “pregiudizio” ciò che la ragione non era disposta a riconoscere, arrivando a negare la realtà delle cose, pur di non dare torto alla ragione astratta. La stregoneria, tanto per fare un esempio particolarmente scomodo e politicamente scorrettissimo: è sempre esistita e continua a prosperare tuttora, all’ombra dei grattacieli; ma la ragione non lo ammetterà mai: dunque, quest’ultima DEVE proclamare che la caccia alle streghe del XVI e XVII secolo fu soltanto una sanguinosa insensatezza. Ora, che sia stata sanguinosa, non c’è dubbio (anche se il numero delle vittime è stato, da taluni storici neo-illuministi, enormemente esagerato); ma che sia stata “insensata”, nel senso di “folle” e “illusoria”, è tutto da vedere - altro discorso, ovviamente, è se i poteri diabolici di chi pratica la magia nera siano reali o immaginari.

Il paradosso della ragione illuminista, come notava acutamente Burke, è, dunque, che essa vorrebbe eliminare i conflitti di opinione mediante la sua universalità: perché la ragione, per i “philosophes”, è l’elemento che accomuna tutti gli uomini, mentre il sentimento, essendo un elemento soggettivo e passionale, tende a dividerli; ma, di fatto, succede che la ragione, dopo aver abbattuto, l’uno dopo l’altro, i “pregiudizi”, nella sua nudità lascia gli uomini incerti ed esitanti, perché rivela loro la fluidità e la relatività dei valori, una volta che a questi sia stato strappato il solido fondamento della tradizione. Se si dichiara “pregiudizio” tutto ciò che la tradizione ci ha tramandato, ma che la ragione scientifica non approva né convalida (magari semplicemente perché non lo capisce o perché non appartiene alla sua sfera di competenza, ed essa non possiede gli strumenti per indagarlo), si distruggono le certezze su cui poggia il vivere civile, senza avere nulla con cui sostituirle, e si avvia la società lungo la china del caos. È difficile credere che i razionalisti e i sacerdoti del Progresso, ieri come oggi, non abbiano visto una verità così facilmente intuibile; per cui sorge spontaneo il dubbio che essi siano i consapevoli artefici di una sistematica strategia della dissoluzione sociale…