Italiani campioni nello spreco e nel consumo di risorse idriche
di Luca Fazio - 31/07/2006
Usiamo 740 metri cubi di acqua a testa all'anno, beviamo 182 litri di minerale. Il sistema idrico è un colabrodo e le tariffe aumentano
Qual è il paese europeo che spreca più acqua? Indovinato. E chi sono i maggiori consumatori al mondo di acqua minerale? Indovinato. In qualche modo siamo sempre i campioni del mondo, per la gioia delle poche multinazionali che rapinando un bene pubblico registrano un fatturato che si aggira sui 3 miliardi di euro all'anno (per 11 miliardi di litri prodotti), e per scatenare le stagionali lamentazioni di chi in estate si accorge che a causa della siccità e della cattiva gestione delle risorse idriche anche l'Italia è a rischio crisi energetica.
Secondo Roberto Della Seta, presidente di Legambiente, bisognerebbe cominciare a invertire questa sequenza, ottimizzare i consumi e ridurre gli sprechi per arrivare finalmente a pensare l'acqua come un bene comune. Da salvaguardare e non da privatizzare, aggiungiamo noi. «Il rischio black out e caro-petrolio - dice Della Seta - si combattono cambiando alla radice le politiche energetiche, orientandole al risparmio e all'uso delle fonti rinnovabili. E' tempo che nella gestione dell'acqua si passi dalla pianificazione dell'offerta a quella della domanda: bisogna ridurre i consumi, gli sprechi e i prelievi illegali, e arrivare a pensare l'acqua come un bene comune e limitato perché si possa dare una soluzione duratura ai problemi di approvvigionamento».
E' un fatto che solo il 19% dell'acqua potabile sia utilizzata per essere bevuta, che gli impianti per la produzione di energia ne succhiano inutilmente il 14% (le industrie il 19%) e che l'agricoltura ne beve circa la metà. Senza contare le perdite di rete che in Italia sfiorano il 40%, con punte anche più avanzate.
L'allarme è stato confermato in questi giorni dal presidente dell'Autorità di vigilanza sullo stato dei servizi idrici, Ettore D'Elia, durante la relazione annuale al Parlamento: numerosi sistemi idrici ormai non sarebbero più in grado di fornire le stesse prestazioni in relazione ai servizi offerti. I cambiamenti climatici (siccità, ma anche alluvioni) sono una parte del problema, anche se in teoria permane un sostanziale equilibrio tra il fabbisogno e le risorse di acqua disponibile in Italia (circa 54 miliardi di metri cubi l'anno). Ma le reti sono un colabrodo e gli italiani cosumano molta acqua, mediamente 200 litri al giorno, ovvero 740 metri cubi all'anno per abitante quando la media europea è di 612 mc/anno. Siamo campioni, in negativo, anche per quanto riguarda lo sfruttamento elevato di acqua di falda: il 23% dei prelievi complessivi, contro il 13% della media europea (Lazio e Campania sono le regioni di che utilizzano più acqua di falda per uso potabile).
Ma l'acqua è buona? Sostanzialmente sì, anche se per proteggere gli interessi di chi la vende in bottiglia lo stato di salute dell'acqua pubblica non gode di buona stampa. La relazione dell'Autorità di vigilanza esprime qualche «preoccupazione». Secondo le analisi effettuate nel periodo 2000-2004, il 43% dei fiumi italiani garantisce acqua di qualità sufficiente (classe 3), il 37% buona (classe 2), il 18% non buona e solo il 2% ottima. Molto dipende dalla qualità dei depuratori. Il maggior numero di depuratori non conformi si trovano in Sardegna, Campania e Calabria, e il livello di copertura del servizio di depurazione su tutto il territorio è del 74,8% (ma in Sicilia è inferiore al 50%).
L'acqua costa di più dove è più scarsa e meno buona (nel sud ormai si beve più acqua minerale che al nord). Mediamente la tariffa si aggira attorno a 1 euro per metro cubo, con ribassi in Lombardia e Piemonte (tra 0,60 e 0,90 al m/c) e impennate in Sicilia (1,40 al m/c). Una famiglia tipo in Puglia, per esempio, paga una tariffa di circa 330 euro all'anno, in Molise «solo» 140.
Quanti soldi pubblici siamo disposti a spendere per la gestione dei servizi idrici? Pochini. Su una media di 3,7 miliardi di euro all'anno, quelli pubblici non superano gli 850 milioni. Il tasso di partecipazione del pubblico è alto al sud e nelle isole (41%), contro il 28% del nord e appena il 12% del centro.
Secondo Roberto Della Seta, presidente di Legambiente, bisognerebbe cominciare a invertire questa sequenza, ottimizzare i consumi e ridurre gli sprechi per arrivare finalmente a pensare l'acqua come un bene comune. Da salvaguardare e non da privatizzare, aggiungiamo noi. «Il rischio black out e caro-petrolio - dice Della Seta - si combattono cambiando alla radice le politiche energetiche, orientandole al risparmio e all'uso delle fonti rinnovabili. E' tempo che nella gestione dell'acqua si passi dalla pianificazione dell'offerta a quella della domanda: bisogna ridurre i consumi, gli sprechi e i prelievi illegali, e arrivare a pensare l'acqua come un bene comune e limitato perché si possa dare una soluzione duratura ai problemi di approvvigionamento».
E' un fatto che solo il 19% dell'acqua potabile sia utilizzata per essere bevuta, che gli impianti per la produzione di energia ne succhiano inutilmente il 14% (le industrie il 19%) e che l'agricoltura ne beve circa la metà. Senza contare le perdite di rete che in Italia sfiorano il 40%, con punte anche più avanzate.
L'allarme è stato confermato in questi giorni dal presidente dell'Autorità di vigilanza sullo stato dei servizi idrici, Ettore D'Elia, durante la relazione annuale al Parlamento: numerosi sistemi idrici ormai non sarebbero più in grado di fornire le stesse prestazioni in relazione ai servizi offerti. I cambiamenti climatici (siccità, ma anche alluvioni) sono una parte del problema, anche se in teoria permane un sostanziale equilibrio tra il fabbisogno e le risorse di acqua disponibile in Italia (circa 54 miliardi di metri cubi l'anno). Ma le reti sono un colabrodo e gli italiani cosumano molta acqua, mediamente 200 litri al giorno, ovvero 740 metri cubi all'anno per abitante quando la media europea è di 612 mc/anno. Siamo campioni, in negativo, anche per quanto riguarda lo sfruttamento elevato di acqua di falda: il 23% dei prelievi complessivi, contro il 13% della media europea (Lazio e Campania sono le regioni di che utilizzano più acqua di falda per uso potabile).
Ma l'acqua è buona? Sostanzialmente sì, anche se per proteggere gli interessi di chi la vende in bottiglia lo stato di salute dell'acqua pubblica non gode di buona stampa. La relazione dell'Autorità di vigilanza esprime qualche «preoccupazione». Secondo le analisi effettuate nel periodo 2000-2004, il 43% dei fiumi italiani garantisce acqua di qualità sufficiente (classe 3), il 37% buona (classe 2), il 18% non buona e solo il 2% ottima. Molto dipende dalla qualità dei depuratori. Il maggior numero di depuratori non conformi si trovano in Sardegna, Campania e Calabria, e il livello di copertura del servizio di depurazione su tutto il territorio è del 74,8% (ma in Sicilia è inferiore al 50%).
L'acqua costa di più dove è più scarsa e meno buona (nel sud ormai si beve più acqua minerale che al nord). Mediamente la tariffa si aggira attorno a 1 euro per metro cubo, con ribassi in Lombardia e Piemonte (tra 0,60 e 0,90 al m/c) e impennate in Sicilia (1,40 al m/c). Una famiglia tipo in Puglia, per esempio, paga una tariffa di circa 330 euro all'anno, in Molise «solo» 140.
Quanti soldi pubblici siamo disposti a spendere per la gestione dei servizi idrici? Pochini. Su una media di 3,7 miliardi di euro all'anno, quelli pubblici non superano gli 850 milioni. Il tasso di partecipazione del pubblico è alto al sud e nelle isole (41%), contro il 28% del nord e appena il 12% del centro.