La Fiat – il  maggiore gruppo italiano, che da anni ha assunto una dimensione multinazionale con una presenza in  61 nazioni  dove sono attive 1063 aziende facenti capo ad un gruppo che impiega oltre 223.000 persone - se ne va. Il trasloco sarà compiuto a breve verso l’Olanda e l’Inghilterra, lasciando a casa solo il contentino della produzione legata  al marchio  Alfa Romeo. Al fisco italiano saranno così sottratte  importantissime risorse in un tempo che è già di vacche magre.

Ecco emergere l’atteggiamento della dirigenza ex torinese dopo un secolo e passa di vita intrecciata profondamente con lo sviluppo industriale del penisola grazie anche ad una quantità incalcolabile di contributi a fondo perduto dello Stato: totale indifferenza. E assoluta noncuranza per un’economia e un tessuto produttivo della nazione che subiscono un altro durissimo colpo.  

Una conventicola di affamatori cosmopoliti, capeggiata dal duo Marchionne-Elkann, spara sull’ Italia nel totale silenzio delle sue élites di governo e di opposizione che non hanno la cultura per nemmeno accorgersi del danno e valutare quanto è avvenuto. Si tratta di un gesto annunciato che conferma un processo di internazionalizzazione dell’azienda, la quale, lungi dal conquistare nuovi mercati e assorbire marchi più deboli per consolidare un primato riconducendolo alla sua radice nazionale,  perde progressivamente la sua identità.

Sembra infatti che essa ormai, in linea con il cosmopolitismo familiare degli Agnelli,  non esprima più ormai alcun legame con la patria che le ha permesso di crescere. Sì  perché, al di là degli aiuti di Stato, fino a prova contraria è nel nostro paese, grazie alle sue infrastrutture, alle sue persone, alle sue leggi, all’ordine sociale che vi è stato garantito che i signori Agnelli hanno potuto mettere a frutto il loro genio imprenditoriale. Ma questo per loro non riveste alcun interesse… l’economia non ha bandiera, anzi direi che per questi uomini l’azienda costituisce una sorta di nuova patria, in grado di offrire il vero quadro esistenziale per la loro vita. E’ l’azienda valore, l’azienda morale, l’azienda mamma che insegna ad affrontare la grande sfida della vita: battere la concorrenza.

Lo testimoniano i comunicati dei dirigenti Fiat entusiasti per le capacità della loro impresa di guadagnare nuove posizioni di vertice nella scala globale della produzione. Qui l’obiettivo non è  soddisfare un bisogno, ma, attraverso la soddisfazione di un bisogno, cannibalizzare il concorrente e vincere nella corsa ad una grandezza senza senso. La nuova istituzione aziendale multinazionale rappresenta infatti l’incarnazione della Weltanschauung liberale e liberista fondata su una sorta di darwinismo dove solo il più forte e ricco ha il diritto. Anche gli Stati, le istituzioni politiche, le nazioni, le comunità umane sono solo mezzi…per arrivare primi nella gara.  

Il modello del manager spietato, duttile, tatticamente abile come un giocatore di scacchi, libero da tutti i freni come un pornografo sofista o un signorotto della guerra, è quello che si afferma. La patria ne è nuovamente vilipesa e svenduta. L’idea alta di una politica del bene comune orientato alla totalità spirituale dell’uomo ne è calpestata.

Ciò accade oggi mentre in parlamento risuona significativamente un inno bastardo che potrebbe benissimo essere messo in bocca a coloro che hanno tradito il popolo italiano scegliendo, come sempre, l’Inghilterra, e che adesso salutano con tono di scherno l’Italia: “Bella ciao!!!”… con i tg che parlano delle piccole beghe parlamentari, e relegano il fatto al settimo o ottavo servizio… con  la cosiddetta stampa di opposizione (Il Giornale, Libero etc.) che ne approfitta per una sterile polemicuzza da cortile nella quale si lamenta che in Italia le tasse sono troppo alte – giustificando implicitamente i vertici della Fiat… che trovano in Letta l’utile idiota pronto a dichiarare: “Bisogna abbassare il costo del lavoro”… perché, infine, noi esclamiamo, parafrasando Catullo, non immemori dei nostri antenati: “Che c’è Italia? Che aspetti a morire?”