Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / "Islanda chiama Italia", un libro che induce a conoscere e sperare

"Islanda chiama Italia", un libro che induce a conoscere e sperare

di Luigi Tedeschi - 31/01/2014


“Islanda chiama Italia” è un libro che apre nuovi orizzonti, ci fa conoscere l'Islanda, un paese al confine tra le aree geopolitiche dell'Europa e dell'America, che è divenuto il paradigma delle fasi di espansione e successivo crollo del modello finanziario – economico liberista che ha coinvolto tutto il mondo. L'Islanda è un paese che ha vissuto per secoli ai margini della storia europea, già oggetto di migrazioni e conquiste da parte delle potenze marittime di Norvegia e Danimarca, ma che, in virtù del proprio isolamento geografico e politico, aveva mantenuto una sua identità di popolo priva di contaminazioni dovute al progresso e alla industrializzazione selvaggia subita dall'Europa. L'Islanda era ed è tuttora un paese di rilevante importanza strategica, data la sua vicinanza al continente americano. Fu oggetto di contesa come posizione strategica tra Germania e Gran Bretagna nella 2a guerra mondiale, quindi anche nel corso della guerra fredda tra USA ed URSS. Oggi, in conseguenza dei mutamenti climatici e dello scioglimento dei ghiacci dell'Artico, potrebbe essere sfruttato il petrolio della zona artica islandese, e pertanto essa potrebbe divenire nel prossimo futuro una ambita terra di conquista per le multinazionali del greggio. Tuttavia, a seguito delle note vicende del crack finanziario, l'Islanda, già paese autosufficiente dal punto di vista energetico, per via dello sfruttamento delle risorse naturali dei flussi di acqua e gas del sottosuolo  delle terre vulcaniche, è stata costretta a cedere larga parte dei diritti di sfruttamento delle proprie risorse naturali sia nel campo energetico che in quello relativo alla pesca, che ha costituito per secoli l'attività principale della popolazione islandese.

L'esperimento finanziario cui è stata sottoposta l'Islanda ha avuto un rapido successo proprio a causa della sua assenza di barriere difensive (sia politiche che culturali), dinanzi all'avanzata di un capitalismo finanziario guidato dalle elites della politica e dell'economia locale, le cui politiche di trasformazione economica  - finanziaria hanno inciso facilmente e profondamente su una popolazione dedita alle sue attività tradizionali contrassegnate dalla scarsa redditività e del tutto estranea al modello di sviluppo liberista dell'Occidente anglosassone. Il credito facile, l'incremento abnorme dei consumi, il diffondersi di un benessere rivelatosi tanto improvviso quanto instabile, hanno trasformato rapidamente la vita del popolo islandese: all'originario modello di vita comunitario e solidale, si è sostituito un individualismo sfrenato, al welfare redistributivo della ricchezza, una società dominata da una élite finanziaria che ha sconvolto gli equilibri sociali preesistenti. In questo libro vengono soprattutto evidenziati i nuovi paradigmi culturali che hanno presieduto alla radicale trasformazione economico – sociale islandese. L'avvento del liberismo selvaggio presuppone infatti la distruzione del retaggio storico – culturale che è parte integrante dell'identità di un popolo. L'imperativo diffuso in Islanda dai media fu proprio quello di distruggere le strutture sociali ed i valori ereditati dal passato. Con l'ideologia della fede nel progresso illimitato, si è determinata la formazione di una nuova antropologia umana, predisposta all'accettazione passiva del consumo sfrenato e di una psicologia collettiva orientata alla virtualità dei modelli di vita propri del capitalismo finanziario.

Si è quindi affermato nella società islandese un sistema economico che ha potuto svilupparsi creando nel contempo un progressivo indebitamento, che, al manifestarsi delle crisi dei sub-prime del 2008, si è rivelato insolvibile facendo scomparire benessere e consumo con la stessa rapidità con cui si erano diffusi. Il destino dell'Islanda era dunque quello della schiavitù del debito. Gran Bretagna e FMI, proposero strategie austerity economica assai severe per il risanamento del debito, che avrebbero distrutto per sempre la sovranità del paese oltre ad espropriarne le risorse. Fu però emergere di una opposizione radicale scaturita dalla ritrovata coesione popolare a risollevare le sorti di un popolo condannato, al pari di tanti altri nel mondo, alla schiavitù del debito. Il ritorno ai valori della solidarietà comunitaria tra il popolo si è rivelato un ostacolo insormontabile per le strategie colonizzatrici delle potenze finanziarie creditrici. Il risveglio dell'orgoglio nazionale, dinanzi alle politiche fallimentari di una classe politica corrotta è stata l'arma vincente. Dinanzi al rifiuto  assoluto del debito di un popolo nulla ha potuto il ricatto di un sistema usuraio globalizzato che sembra coinvolgere l'intera umanità.

E' dunque quella della rivolta islandese una strategia di riscatto dei popoli esportabile? Certo, l'Islanda non è l'Italia, ma l'esperienza islandese costituisce un esempio paradigmatico, sia del fallimento di un sistema economico esportato su scala globale, che della possibile fuoriuscita da un modello liberista e della riconquista della sovranità nazionale.

Questo libro si rivela di grande interesse in quanto si interroga, analizzando la società islandese della post crisi, oltre che sui fallimenti economici e sociali del liberismo globalizzato, anche sulle possibili soluzioni alla crisi, ossia sui modelli politici, economici e culturali alternativi ad esso. Oggi i popoli sono vittime di un potere invisibile, che coinvolge profondamente nelle sue logiche di dominio economico gli individui come i popoli. Il potere non abita più nei palazzi, è un potere che agisce attraverso la virtualità mediatica, è difficilmente identificabile. Andrea Degl'Innocenti si interroga sull'avvenire del popolo islandese uscito da questa crisi devastante. Il popolo ha preso coscienza della dimensione sistemica ed epocale della crisi? Esso si è ribellato dinanzi alla scomparsa di un benessere improvviso ed instabile, ma le sue odierne aspirazioni potrebbero orientarsi ancora verso una riproposizione di quella società del consumo e del benessere illimitato. Il sistema liberista si fonda sul dominio dell'economicismo con l'asservimento e la corruzione della politica e sulla cultura del consumo compulsivo: determina la colonizzazione materiale e spirituale dei popoli. Per superare questa crisi e costruire un nuovo sistema politico occorre un ritorno all'etica comunitaria. Il materialismo economicista presuppone infatti l'assenza di qualsivoglia giudizio etico: è il risultato economico a costituire l'unico criterio di giudizio delle azioni umane. La problematica del superamento del capitalismo si articola in tre distinti ambiti, quello economico, quello politico, quello culturale, definiti "i tre pilastri della società", ma nell'attuale contesto storico sono anche, secondo Degl'Innocenti, anche "le tre macro - sfere del potere globale".

L'economia deve avere come obiettivo primario il bene comune, con la fine dell'economia finanziaria fondata sul signoraggio bancario, il ritorno all'economia reale, nelle forme partecipative dell'etica della collaborazione solidale, che comporterebbe la fine dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, richiamandosi ai principi della decrescita.

La politica deve riconquistare la propria sfera di autonomia rispetto all'economia, cui oggi è asservita. La sua dipendenza dall'economia ne determina la corruzione, l'emergere delle "caste", la dissoluzione della sovranità degli stati. Le reazioni più rilevati al dominio finanziario si sono verificate in America Latina. Si pensi al Venezuela di Chavez, all'Argentina di Kirchner, all'Ecuador, paesi che hanno rifiutato il progetto di libero scambio Alca proposto dagli USA, hanno rifiutato la schiavitù del debito, messo alla porta il FMI.

Per quanto concerne la cultura, occorre rifiutare il dogma del progresso illimitato, secondo il quale il destino dell'uomo è determinato dalla linea retta evolutiva di un progresso indefinita ed illimitata. Bisogna invece tornare alla antica concezione della vita umana rappresentata dalla circolarità propria dei processi storici e naturali. Occorre pertanto prendere coscienza del fallimento dell'ideologia del progresso, illimitato ed incontrollabile, che, oltre a produrre crack economici di portata mondiale, ha prodotto guerre, distruzioni, disastri ambientali, ha determinato la perdita di senso nella vita dell'uomo. Non è un caso che oggi la visione del futuro sia ammantata di cupo pessimismo, dominata dall'incertezza e dalla sfiducia, dal non senso di una vita senza scopi ed obiettivi se non quello della mera sopravvivenza. Rimosso il passato e, insieme con esso il futuro, la società resta succube del nichilismo dell'eterno presente.

"Islanda chiama Italia" è un libro che, oltre ad una analisi approfondita della crisi islandese, offre al lettore una vasta visione dei problemi del nostro tempo e  induce alla ricerca di nuove soluzioni e genera nuove speranze che liberino l'uomo dalle angosce di una attualità senza sbocchi e priva di senso esistenziale.