Il comitato intende prescindere in modo assoluto dalle questioni squisitamente tecniche - indispensabili in altre sedi e, dunque, devolute alla ben più autorevole competenza degli avvocati della difesa – e per tale ragione vuole sottoporre all’attenzione del lettore gli elementi di maggiore rilevanza emersi nel corso dell’intera vicenda giudiziaria, sia quelli ancora passibili di valutazione da parte dei Giudici della Suprema Corte di Cassazione, sia quelli dati ormai per acquisiti nel corso dei precedenti processi. A tal fine, il comitato vuole indurre a riflettere su alcuni tra i fatti più significativi che riguardano la Strage di Bologna - proponendosi di trattare anche gli altri punti rilevanti nelle iniziative che verranno poste in essere successivamente - con la prudenza del semplice uomo della strada.
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Si rende necessario premettere, da subito, che la vicenda giudiziaria della Strage di Bologna è nata già con un macroscopico peccato originale.
UN COLPEVOLE AL GIORNO: INIZIANO I DEPISTAGGI Sin dalle ore immediatamente successive all’attentato, è stata seguita solo ed esclusivamente la pista dell’estrema destra. Quando le macerie della sala di attesa della stazione di Bologna fumavano ancora, si è assistito ad una sequenza sconcertante di notizie, culminate in fretta nella “verità” ufficiale offerta in pasto agli ignari cittadini: a)sembrerebbe trattarsi di uno scoppio accidentale di una caldaia; b)appare quasi certo che è esploso un ordigno; c)è sicuramente una bomba “fascista”. Dunque, sin dal giorno dell’apertura ufficiale delle indagini, domenica 3 agosto 1980, il colpevole doveva essere ricercato, per forza di cose, solo ed esclusivamente in un’area politica ben delimitata. E’ un fatto illogico ed inspiegabile, almeno in apparenza. E’ un fatto che non trova riscontro in tutte le situazioni analoghe, occorse in altri paesi, nelle quali le indagini relative ad una Strage di enormi proporzioni sono cominciate senza idee preconcette e senza escludere nessuna pista a priori. Le indagini penali devono iniziare, per forza di cose, con ricerche effettuate a 360 gradi. Appare significativo e già di per sé inquietante che in Italia ciò non sia mai accaduto. La logica più elementare, infatti, imporrebbe che le conclusioni si debbano trarre all’esito delle osservazioni e delle riflessioni. Lo Stato di Diritto sembrerebbe pretendere, perlomeno, che i verdetti siano emessi solo all’esito di indagini e di dibattimenti. In questa vicenda è accaduto l’esatto contrario. Le “verità” dei colpevolisti - della cui buona fede non nutriamo comunque alcun dubbio - sono arrivate prima ancora delle riflessioni; la logica ha ceduto il posto al preconcetto; il diritto di difesa è sembrato piegarsi alla “ragion di stato”; l’obiettività è stata sacrificata alla storiografia di partito. Gli esperti del settore spiegano che le Stragi indiscriminate, soprattutto se di proporzioni devastanti, non rappresentano mai il semplice frutto dell’azione di qualche folle sanguinario. Le Stragi costituiscono in realtà un messaggio, un “segnale” ben preciso rivolto ad uno Stato. Non siamo in grado, da semplici cittadini, di azzardare ipotesi su chi abbia inviato tale “segnale” all’Italia, attraverso la Strage di Bologna. Non siamo neppure in grado di spiegare in cosa è consistito concretamente tale “segnale”. Possiamo sostenere a ragione, tuttavia, un fatto ben più semplice ed evidente. La precisa volontà di “chiudere” in poche ore il “caso” relativo all’episodio di terrorismo più grave della storia italiana, individuando aprioristicamente l’ambiente politico responsabile, non sembra essere figlia solo di un evidente pregiudizio ideologico. La precisa volontà di presentare pubblicamente, da subito, un colpevole certo e “rassicurante” è un fatto obiettivamente anomalo che sembra implicare due aspetti non trascurabili. Il diretto destinatario comprese, con ogni probabilità, il “segnale” inviato all’Italia attraverso la Strage di Bologna. Chi comprese il “segnale” fece in modo, con altrettanta probabilità, che non lo capissero invece i cittadini italiani. Solo ponendo queste necessarie premesse, la vicenda storico-giudiziaria della Strage di Bologna, in una con gli innumerevoli atti di depistaggio effettuati da settori “deviati” delle istituzioni, può essere interpretata correttamente. Una vicenda in cui, purtroppo, è stata accordata credibilità a mitomani, stupratori e malati immaginari. Si è assistito ad un numero impressionante di depistaggi. In troppi hanno dato per scontato, sin dall’inizio, che il colpevole dovesse essere per forza di cose fascista. Sullo sfondo dei telegiornali dell’agosto 1980 apparve continuamente una scritta murale che ripeteva a caratteri cubitale il nome di Terza Posizione, un gruppo giovanile della destra radicale. L’opinione pubblica è stata indirizzata da subito sull’obiettivo più semplice e maggiormente delegittimato sotto il profilo morale, culturale e politico. Non sono mai state seguite tutte le altre piste potenziali, nazionali od internazionali. Piste che erano in gran parte conoscibili già nell’agosto del 1980 e che rivestivano un’obiettiva, consistente rilevanza indagativa. Lo dimostra chiaramente il contenuto del verbale che venne redatto in occasione della riunione del CIIS, Comitato Interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza, occorsa in via straordinaria il 5 agosto 1980. Verbale di cui non si ebbe più traccia per circa 15 anni. Verbale che venne acquisito poi dal Giudice Priore, il magistrato che a partire dal 1990 ha condotto l’istruttoria sulla Strage di Ustica, avvenuta solo poche settimane prima dell’attentato a Bologna. Nessuno, ad oggi, ha mai voluto spiegare le ragioni delle inchieste a senso unico condotte sulla Strage di Bologna. Gli esecutori della Strage di Bologna sono stati ricercati per tentativi effettuati, quasi alla cieca, tutti nell’area neofascista. Il 28 agosto 1980 furono spiccati 47 ordini di cattura, tutti nei confronti di militanti di destra. 44 di questi vennero scarcerati poco dopo, 40 furono scagionati completamente già nel 1986. Tra questi 40 scagionati figuravano persino militanti di destra che la mattina del 2 agosto 1980 erano detenuti in carcere. Nessuno tra i detenuti del 28 agosto 1980 è stato condannato per la Strage di Bologna. Nessuno ha mai chiesto scusa a queste persone, neppure a chi ha dovuto subire gravi tragedie familiari in ragione di quegli errori giudiziari dalle proporzioni inenarrabili. Le rivelazioni del detenuto comune Piergiorgio Farina, il primo in ordine a raccontare ai magistrati le sue “verità” - attribuendo la responsabilità della Strage ad alcuni militanti di destra di cui un paio addirittura detenuti in carcere la mattina del 2 agosto 1980 - si erano rivelate delle pericolose sciocchezze. I colpevolisti gli avevano prestato la massima attenzione. Per molto tempo, la “pista” del mitomane Farina era stata considerata dai colpevolisti degna dalla massima attendibilità. Per molto tempo, il mitomane Farina è stato indicato come il super-testimone delle indagini sulla Strage di Bologna. Anche le dichiarazioni rilasciate da Angelo Izzo - lo stupratore del Circeo tornato di recente alle sue attività criminali grazie ai benefici ottenuti mediante le sue sempre puntuali deposizioni, rivelatesi puntualmente volgari calunnie - si erano dimostrate niente più che un cumulo di falsità. I colpevolisti avevano ravvisato in lui un Collaboratore di Giustizia meritevole della massima considerazione. E’ proprio attraverso gli sconcertanti “ragionamenti” di Izzo, rivelatisi presto delle farneticazioni, che Ciavardini venne fatto accomodare nel processo per la Strage di Bologna, accanto a Fioravanti e Mambro: “ io deduco che Ciavardini è coinvolto perché nell’ambiente si parla di ragazzini quali esecutori materiali della strage di Bologna ed indiscutibilmente il capo-fila dei ragazzini della banda Nar-Fioravanti è Luigi Ciavardini” I ragazzini a cui allude Izzo sarebbero due giovani militanti della destra radicale, Nazareno De Angelis e Massimilano Taddeini, che, in realtà, quel 2 agosto 1980 stavano disputando una partita di foot-ball americano, davanti ad alcune telecamere e a centinaia di telespettatori. Un filmato, almeno in quel caso, ha potuto rendere Giustizia agli innocenti. A differenza degli altri due, però, Ciavardini non è stato scagionato. Ciavardini aveva confermato l’alibi di Fioravanti e Mambro, ribadendo che quella mattina del 2 agosto 1980 tutti e tre - latitanti per reati commessi in precedenza - si trovavano a Padova, al mercato comunale. Ciavardini, sino alla vigilia dell’emissione del provvedimento di rinvio a giudizio nei confronti di Mambro e Fioravanti, avrebbe potuto rappresentare il primo testimone della difesa. E’ diventato, invece, il terzo imputato nel processo per la Strage di Bologna. Nell’estate del 1980, Ciavardini aveva solo 17 anni. Per questo motivo è stato giudicato dal Tribunale dei Minori, separatamente da Mambro e Fioravanti. Sul banco degli imputati, dunque, all’esito di un estenuante gioco delle esclusioni, talvolta grottesco - come nel caso del povero Sergio Picciafuoco, un ladro risultato del tutto estraneo alla militanza politica ma che la Corte d’Assise d’Appello aveva condannato inizialmente all’ergastolo - sono rimasti solo in 3. 3 latitanti dell’estrema destra che, quel 2 agosto 1980, a differenza di altri non potevano né essere in carcere, né tanto meno dentro uno stadio di foot-ball americano a calciare palloni ovali. Fioravanti e Mambro sono stati condannati con sentenza ormai passata in giudicato. Una sentenza che ha destato sconcerto nella stragrande maggioranza dei cittadini italiani, a prescindere dalle loro opinioni politiche. Ciavardini, invece, rimane in attesa che la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza di “quinto” grado, si pronunci definitivamente sulla sua posizione.
*** Esaurite le debite premesse, il comitato intende ora formulare le sue osservazioni riguardo ad alcuni tra gli elementi di maggiore rilevanza che hanno caratterizzato il processo per la Strage di Bologna.
I GRANDI ASSENTI: MOVENTE E MANDANTI
Dopo ventisei anni di processi, nonostante due sentenze di condanna definitive ed una ancora al vaglio della Suprema Corte di Cassazione, i colpevolisti non sono stati in grado di spiegare due concetti assolutamente fondamentali per questa vicenda. Chi sono i mandanti e qual è stato il movente della Strage di Bologna? Per anni, i colpevolisti hanno individuato i mandanti in Licio Gelli, nella P2 e negli ambienti “deviati” e reazionari dello Stato che avrebbero raggiunto l’obiettivo di colpire - come al solito - il PCI, in una città amministrata in modo moderno e civile dalla sinistra. A sostegno di tale tesi, si è parlato addirittura del famoso convegno all’Istituto Pollio, avvenuto addirittura nel 1965, nel quale Bologna era stata indicata come città “rossa”. A prescindere dalle legittime opinioni politiche di ciascuno, appare evidente che tesi di questo tipo sono affette da una tara ideologica abnorme e da una base storiografica esageratamente faziosa, ai limiti della farsa. Terminata malamente la stagione del compromesso storico, ed incassata la sonora sconfitta elettorale del 1979, il PCI al momento della Strage di Bologna era un partito che versava in uno stato di oggettiva difficoltà e che non nutriva alcuna speranza di divenire forza di governo: esso non poteva costituire alcun obiettivo di manovre politiche di siffatta portata criminale. Il compromesso storico non aveva certo bisogno di “spallate” per il semplice fatto che era, per stessa ammissione dei suoi artefici, naufragato definitivamente da diverso tempo. A sostenerlo, non a caso, è addirittura l’Onorevole diessino Pellegrino che ha presieduto con autorevolezza, proprio per conto dell’Ulivo, la celebre Commissione Stragi. Pellegrino, nel famoso libro “segreto di stato”, all’esito dei lavori della Commissione Stragi: a) ha criticato aspramente gli atteggiamenti di una parte della sinistra che tende per principio a banalizzare ogni tentativo di ricostruzione storiografica della “strategia della tensione”, ponendo dogmaticamente - ed in modo troppo spesso inverosimile – il PCI quale vittima obbligata e privilegiata di qualsiasi episodio stragista accaduto in Italia nei cosiddetti anni di piombo; b) ha osservato come lo scherma storico-interpretativo adottato da certa sinistra per spiegare la vicenda del 1969 di Piazza Fontana, risulti del tutto improponibile nel caso della Strage di Bologna: l’ipotesi di un tentativo di un’involuzione autoritaria del sistema politico, attuato con Sandro Pertini Capo dello Stato, non sembra presentare neppure il requisito minimo della serietà; c) ha evidenziato come le tensioni esistenti in Italia nell’estate del 1980, che potrebbero essere verosimilmente all’origine della Strage di Bologna, non riguardassero questioni di politica interna bensì fattori gravi ed oggettivi di crisi internazionali. Tali riflessioni, fondate su dati inoppugnabili e non certo su pregiudizi ideologici, inducono ad ipotizzare, con riferimento alle tragedie dell’estate del 1980, scenari internazionali di particolare complessità. Scenari che qualcuno ha voluto ritenere “inconfessabili”. I colpevolisti, al contrario, hanno preferito optare per tesi “primitive”, inverosimili e prive di adeguato riscontro, seppure di agevole divulgazione in ragione dell’assoluta delegittimazione dei colpevoli designati. Per costoro, Mambro, Fioravanti e Ciavardini sarebbero stati armati e difesi – con scarso successo, visti gli esiti giudiziari – da ambienti massonici e da poteri istituzionali “deviati”. Alcuni esponenti della generazione precedente dell’estrema destra, secondo i colpevolisti, avrebbero rappresentato l’anello di congiunzione tra i poteri occulti e i giovani presunti esecutori della Strage di Bologna. I colpevolisti, in particolare, hanno tentato di individuare nei crimini attribuiti a Fioravanti l’elemento la dimostrazione del filo nero che avrebbe unito la “manovalanza” stragista ai poteri occulti. Questa tesi è stata completamente sconfessata da numerose Sentenze ormai definitive. Dei pretesi rapporti tra Fioravanti ed i poteri occulti non v’è alcuna traccia. Fioravanti è risultato estraneo agli omicidi Pecorelli e Mattarella che avrebbero dovuto comprovare, secondo i colpevolisti, l’esistenza dei pretesi rapporti con i poteri occulti. Tutti gli esponenti neofascisti, appartenenti alla generazione precedente a quella di Fioravanti e degli altri imputati, sono stati assolti in via definitiva nel processo per la Strage di Bologna. Si è accertato che, nel 1980, non esisteva alcun “calderone complessivo” nel quale erano raggruppate tutte le anime dell’estrema destra. I NAR, in particolare, rappresentarono un’acclarata rottura generazionale dei nuovi fermenti di destra con le organizzazioni neofasciste storiche i cui membri, peraltro, sono risultati innocenti in tutti i procedimenti relativi alle Stragi di civili precedenti a quelle del 1980. La storia tragica dei NAR, a prescindere dai giudizi morali che può indubbiamente suscitare, è risultata immune dall’interferenza dei poteri occulti e dei settori “deviati” dello Stato. Per tali ragioni, le sentenze di condanna emesse nei confronti di Mambro e Fioravanti non contengono neppure una semplice menzione di ipotetici mandanti della Strage di Bologna. I tre giovani esponenti dei NAR, di conseguenza, avrebbero compiuto la Strage di Bologna per conto loro. Fatto questo che è apparso, a chiunque, semplicemente inverosimile. Del resto, se nella dimostrazione dei fatti offerta dai colpevolisti non esistono mandanti, il movente dell’episodio di terrorismo più grave della storia italiana rimane altrettanto misterioso. Nessuno ha saputo spiegare per quale ragione i NAR avrebbero fatto esplodere la Stazione di Bologna. Qualcuno ha teorizzato, seppur a bassa voce, uno scenario grottesco e dichiaratamente offensivo per l’imparzialità della magistratura. Secondo tale curiosa prospettiva, i NAR avrebbero fatto saltare in aria 85 persone indifese, tra cui bambini ed anziani, solo per scatenare contro il loro ambiente politico di riferimento un’azione repressiva di proporzioni inaudite, tale da costringere anche gli “incerti” a sposare la causa della lotta armata. Si è parlato di effetto catartico che la “repressione” giudiziaria avrebbe prodotto nei confronti degli ambienti della destra radicale. Appare questa una teoria grottesca perché tutti sanno, anche le persone più ingenue, che non è certo una Strage - di dimensioni apocalittiche e di ferocia disumana - lo strumento idoneo per convincere gli “scettici” della propria fazione ad impugnare le armi contro lo Stato. Gli effettivi destinatari hanno spiegato, con evidente sincerità, che la “repressione” giudiziaria ebbe nei loro confronti effetti tragici più che catartici. Difficile dare loro torto. Appare questa una teoria anche offensiva per l’imparzialità della magistratura perché presuppone la mala fede di quest’ultima: l’azione repressiva avrebbe dovuto colpire nel mucchio, investendo anche coloro che erano non solo innocenti ma addirittura ignari della Strage. I NAR praticavano quotidianamente il culto tragico delle pistole ma nella loro storia violenta non v’è comunque traccia alcuna di T4, di Tritolo, di Semtex o di esplosivi in generale. I NAR colpivano, seppur in modo spietato, solamente obiettivi determinati e non hanno mai sferrato attacchi indiscriminati contro gente inerme. Attaccarono magistrati, poliziotti, avversari politici, presunti traditori; ma mai persone scelte nel “mucchio”. La verità è sotto gli occhi di tutti. Sono trascorsi 26 anni e, per inseguire le ombre dell’estrema destra, non sono stati ancora individuati né i mandanti né il movente della Strage di Bologna. Appare inevitabile ritenere, purtroppo, che non si potranno mai scoprire mandanti e movente sino a quando il significato reale del “segnale” inviato all’Italia con la Strage del 2 agosto 1980, non verrà finalmente rivelato ai tutti noi comuni cittadini. Senza avere il timore di svelare, insieme alla Verità, scenari internazionali inconfessabili.
*** Ciò posto, occorre riflettere ora sulla reale consistenza degli elementi indiziari indicati a sostegno della pretesa colpevolezza di Mambro, Fioravanti e Ciavardini.
L’INATTENDIBILITA’ DEL TESTIMONE SPARTI
Tutti coloro che sostengono la tesi della colpevolezza dei 3 imputati sono concordi nel ritenere la testimonianza di Massimo Sparti l’asse attorno al quale ruota l’intero processo, investendo direttamente Mambro e Fioravanti, ed attirando, per l’effetto, il terzo uomo Ciavardini. Aliis verbis, senza le deposizioni di Sparti non vi sarebbe stata nessuna sentenza di condanna; nei confronti di nessuno dei 3 imputati. Massimo Sparti è il teste che, per dirla come gli addetti ai lavori, avrebbe ricevuto de auditu proprio la confessione stragiudiziale di Fioravanti. Quest’ultimo, infatti, si sarebbe recato da lui il 4 agosto 1980, informandolo di essere stato due giorni prima, in occasione della strage, alla stazione di Bologna, insieme alla Mambro, travestito da turista tirolese. Sparti, dunque, racconta che Fioravanti si sarebbe recato alla Stazione di Bologna non con abiti comuni ma, addirittura, con vestiti tradizionali tirolesi. Questo è un particolare fondamentale della sua deposizione che viene ribadito ostinatamente durante più di venti anni di deposizioni. E’ un particolare di estrema rilevanza che non può essere svincolato, in alcun modo, dal nucleo sostanziale delle deposizioni testimoniali fornite da Sparti. Si tratta, all’evidenza, di un particolare grottesco ed inverosimile che mina in modo intrinseco, da subito, la credibilità del testimone. Il clima torrido dell’agosto emiliano avrebbe reso quel travestimento non solo inadeguato ma semplicemente assurdo. E, soprattutto, l’utilizzo di abiti tirolesi - appariscenti e manifestamente anomali per una stazione ferroviaria dell’Emilia-Romagna - avrebbe prodotto l’effetto inevitabile di attrarre al massimo possibile le attenzioni delle persone presenti alla Stazione di Bologna, potenziali e diretti testimoni della Strage. Per mimetizzarsi efficacemente nella folla della Stazione di Bologna, l’ultima cosa in assoluto che Fioravanti avrebbe dovuto fare sarebbe stata senz’altro quella di vestirsi in un modo così teatralmente anomalo. Ma non solo. E’ fatto assolutamente certo che il 2 agosto 1980 Fioravanti circolasse con un documento d’identità falso intestato a tale Flavio Caggiula. Come noto, Caggiula è un cognome di chiara e marcata origine italiana, in particolare meridionale. Nel documento falso, inoltre, il Sig. Caggiula risultava nato e residente a Roma. Il documento falso serve, per principio, al fine di poter essere esibito pubblicamente, anche alle autorità all’occorrenza. Altrimenti non avrebbe senso utilizzarlo a copertura di un’operazione terroristica: questo è fatto chiaro e condiviso da tutti. Ebbene, è possibile che Fioravanti sia andato a compiere l’atto di terrorismo più grave della storia italiana, mascherandosi grottescamente da turista tirolese e, contemporaneamente, tutelandosi attraverso l’utilizzo di un documento falso che indicava un cognome napoletano, attribuito ad una persona nata e residente a Roma? Come avrebbe reagito, ad esempio, un agente di polizia che avesse identificato come un cittadino romano, e dalle appariscenti origini meridionali, un turista tirolese in abiti tradizionali nell’afa soffocante dell’estate emiliana? Di Fioravanti non possono disconoscersi, in alcun modo, i suoi notevoli mezzi intellettivi e la sua rinomata scaltrezza. E’ fatto ampiamente acclarato in ventisei anni di processi che Fioravanti spiccava, tra tanti, per astuzia, avvedutezza e capacità operativa. Ebbene, il quadro ricostruttivo offerto da Sparti fosse in qualche modo attendibile, Fioravanti avrebbe meritato l’ospitalità più degli ospedali psichiatrici che degli istituti di detenzione. E non solo. Sparti, come osservato in precedenza, riferisce che - al contrario di Fioravanti – la Mambro, presente a Bologna vestita come una delle tante persone che circolavano in stazione, avrebbe corso il rischio di essere riconosciuta. Per questo motivo, si sarebbe reso necessario il reperimento di un documento di identità falso in favore della ragazza la quale, per precauzione, avrebbe anche provveduto a tingersi i capelli, di natura castano chiari, nel colore “melanzana”. Lo Sparti, di professione ladro, si sarebbe dunque attivato, proficuamente, per procurare alla Mambro il documento falso. Anche in tale circostanza, è impossibile ritenere Sparti minimamente credibile. E ciò, tra le tante ragioni, perché Sparti si contraddice troppe volte ed in modo spudorato. Ad esempio, nella deposizione iniziale, resa nel 1981, Sparti afferma di incontrare per la prima volta la Mambro proprio il 4 agosto 1980 e, allo stesso tempo, sostiene di accorgersi egli stesso che la ragazza si sarebbe tinta i capelli dall’originale castano chiaro al colore “melanzana”. Ma come avrebbe potuto Sparti, in assenza di una precedente conoscenza della Mambro, rendersi conto del cambiamento di look operato dalla giovane? E non solo. Il 5 agosto 1980, un giorno dopo il presunto incontro con Sparti, Mambro e Fioravanti effettuarono una rapina presso l’armeria Fabbrini di Roma. Al processo, i testimoni Simoncini, Ferretti, Basile e Cavallari descrivono la rapinatrice spiegando chiaramente che la donna aveva i capelli colore castano chiaro. Che fine ha fatto l’asserita tinta color “melanzana” della Mambro che Sparti, pur non essendosi mai visto prima con la ragazza, avrebbe scoperto in occasione del presunto incontro del 4 agosto 1980 ? La Mambro, come visto, ha conservato sempre i suoi capelli naturali, color castano chiaro, sicché i particolari indicati da Sparti, durante la deposizione, risultano essere privi del minimo fondamento. Tali gravi, evidenti inesattezze, militano fortemente contro la credibilità dello Sparti. Sparti continua poi a collezionare un numero impressionante di errori. Ed infatti, Sparti non si limita ad inciampare nella macroscopica svista ricognitiva relativa al colore dei capelli della Mambro. Nelle sue prime tre deposizioni, Sparti sostiene espressamente di essersi recato presso tale Ginesi per richiedere il documento falso necessario per la Mambro. Lo stesso Ginesi, però, nega in modo categorico la circostanza. Preso atto dell’obiezione tenacemente opposta dal Ginesi, al quarto tentativo Sparti inizia ad indicare in tale De Vecchi la persona a cui, in realtà, si sarebbe rivolto per procurare il predetto documento falso. Ma perché Sparti si ostina per 3 volte ad indicare Ginesi? Perché Sparti non fa subito il nome di De Vecchi, atteso che sono trascorsi solo pochi mesi dalla sconvolgente rivelazione ricevuta da Fioravanti e la possibilità di fare confusione tra conoscenti risulta quanto meno improbabile? Perché il nome di De Vecchi compare solo nella quarta deposizione? Perché De Vecchi viene menzionato solo e subito dopo che Sparti aveva preso atto della posizione assunta e ribadita - ormai definitivamente - da Ginesi che lo smentiva? Tale mutamento di versione, investendo un particolare di eccezionale rilevanza nel quadro ricostruttivo offerto dal teste, mina ulteriormente la credibilità di Sparti. Ma non basta. De Vecchi, arrestato proprio qualche mese dopo il rilascio delle nuove dichiarazioni di Sparti - con cui veniva inevitabilmente abbandonato il riferimento a Ginesi - ammette di essere stato contattato da quest’ultimo il quale, effettivamente, si sarebbe messo alla ricerca di un documento falso. Finalmente, Sparti trova qualcuno che confermi le sue dichiarazioni. De Vecchi, tuttavia, afferma di aver visto le foto da apporre e nega espressamente che si trattasse di un documento relativo a persona di sesso femminile. Sparti, ricordiamo, ha sempre sostenuto che il documento fosse per la Mambro. Eppure, De Vecchi parla con certezza di un documento per un uomo e non per una donna. Com’è possibile conciliare le due tesi, attesa l’inequivocabilità delle leggi di natura? Qualche lettore potrebbe ipotizzare che Sparti possa ricordare male quel particolare e che, dunque, il documento in realtà fosse necessario a Fioravanti. Ciò, tuttavia, sarebbe comunque smentito da diverse circostanze. Una, su tutte, è che De Vecchi aveva già incontrato personalmente Fioravanti in occasione di una rapina effettuata insieme, nei primi mesi del 1980. Eppure, nella deposizione in oggetto, De Vecchi assicura di aver visto il volto impresso nella foto ma di non aver riconosciuto nessuno di sua conoscenza. Sparti, dunque, non sembra trovare qualcuno in grado di confermare in modo adeguato le sue dichiarazioni. Il documento a cui si riferisce De Vecchi, infatti, non poteva attribuirsi né alla Mambro, né per assurdo a Fioravanti, a lui già noto da tempo. Il cerchio dei colpevolisti non può chiudersi. De Vecchi dunque, nel corso degli anni, cambia diverse volte versione. Ciò obbliga - già di per sé - a sollevare seri dubbi circa la sua attendibilità. Ad esempio, ad un certo punto inizia a sostenere di non aver mai fatto caso, in realtà, alla foto contenuta nel documento falso. Ma allora perché, in precedenza, aveva affermato di aver visto la foto? Perché aveva dichiarato di aver individuato il sesso maschile del destinatario? Perché aveva sostenuto di non aver individuato persone di sua conoscenza? Ma, soprattutto, perché davanti a questa sconcertante sequenza di versioni contrastanti, i colpevolisti non pongano mai in discussione la credibilità del testimone? In ogni caso, dopo l’arresto della Mambro avvenuto nel 1982, presa visione del documento falso con cui la ragazza era stata arrestata, De Vecchi esclude esplicitamente che sia quello da lui acquisito nell’agosto del 1980. I conti dei colpevolisti, dunque, non possono ancora tornare. Ed infatti, le dichiarazioni di De Vecchi non corroborano - come necessario - quelle rilasciate da Sparti. De Vecchi, in realtà, smentisce Sparti che ha sempre attribuito il documento incriminante proprio alla Mambro. Tuttavia, dopo un suo nuovo arresto, avvenuto nel 1986 - curiosamente, occorso in compagnia proprio di Sparti - De Vecchi rilascia nuove deposizioni; ben differenti da tutte quelle precedenti. Nel 1990, De Vecchi sostiene per la prima volta che Sparti gli avrebbe richiesto espressamente il documento per conto di Fioravanti e della fidanzata. Dopo nove anni dalla prima deposizione, dunque, De Vecchi inizia a fare apertamente il nome di Fioravanti, indicandolo perlomeno come l’autore della richiesta del documento falso. E’ un fatto questo che deve sollevare fortissime perplessità circa la credibilità di De Vecchi. E non solo. A De Vecchi viene sottoposta nuovamente la carta d’identità falsa posseduta dalla Mambro al momento dell’arresto. Alla domanda se nell’occasione precedente - ovvero otto anni prima, precisamente nel 1982 - l’avesse già individuata come quella consegnata effettivamente a Sparti nell’agosto nel 1980, risponde: “mi sembra che io risposi di sì”. De Vecchi viene creduto dai colpevolisti. Ed invece, come visto, De Vecchi nel 1982, subito dopo l’arresto della Mambro, aveva risposto di no! De Vecchi aveva escluso espressamente che si trattasse del documento falso consegnato a Sparti nell’agosto del 1980. Si tratta di un fatto gravissimo che in alcun modo può essere sottovalutato. Si può ritenere credibile un teste - così da convalidare con le sue deposizioni la storia raccontata da Sparti - che cambia sistematicamente versione, arrivando a smentire persino le sue dichiarazioni precedenti ed invertendone completamente il senso, pur di avallare la tesi della colpevolezza di Fioravanti e Mambro? Si può accettare che il senso di una risposta venga capovolto nel suo esatto opposto senza che nessuno obietti nulla? Si può ammettere che un “no” si trasformi in un “sì” in modo così spudorato, violentando l’evidenza di una girandola farsesca di smentite e contraddizioni? I colpevolisti ritengono di sì. E ciò, nonostante vi siano ulteriori elementi che inducono a ritenere inattendibile Sparti. Infatti, le deposizioni di Sparti vengono sorprendentemente smentite anche da una persona al di sopra di ogni sospetto. Sparti, afferma che a casa sua a Roma, in occasione del presunto incontro con Fioravanti del 4 agosto 1980, sarebbero stati presenti sua moglie, i figli e persino la stessa donna di servizio. Eppure la moglie del teste, come la colf, smentisce seccamente questa circostanza, affermando che tutta la famiglia Sparti, il 4 agosto 1980, si trovava in villeggiatura lontano dalla capitale. Sparti, come vedremo, rilasciate le prime deposizioni contro Mambro e Fioravanti, e riottenuta nel modo che approfondiremo più avanti la libertà, continua imperterrito la sua carriera delinquenziale, dimostrando nuovamente il suo assai opinabile senso della legge. Perché, dunque, si dovrebbe ritenere credibile Sparti e non, invece, sua moglie? Che interesse può avere questa donna ad escludere la presenza della famiglia Sparti a Roma, quel famigerato 4 agosto 1980? Del resto, la condotta di vita della moglie, allontanatasi successivamente dal marito, dovrebbe rendere la medesima assai più attendibile di Sparti. Tuttavia, neppure le esplicite dichiarazioni della donna, assolutamente incompatibili con quelle rilasciate dal marito, sembrano impedire ai colpevolisti di nutrire la minima perplessità sull’attendibilità dello Sparti. Sparti deve essere credibile, la moglie no. Sparti, nel corso degli anni, non si limita a fornire deposizioni contraddittorie ma arriva per un periodo anche a ritrattare l’originaria deposizione incriminante. Ritrattazione, però, che viene a sua volta ritrattata dallo Sparti attraverso una nuova deposizione incriminante, dando così vita ad una sconcertante alternanza di dichiarazioni di segno opposto. La prima deposizione, quella in cui spontaneamente il testimone riferisce della presunta richiesta di Fioravanti del documento per la Mambro, avviene l’11 aprile 1981, esattamente due giorni dopo l’arresto dello Sparti, avvenuto per reati comuni. Il 5 maggio 1982, all’esito di una vicenda sconcertante che si tratterà più avanti, Sparti ritratta la prima deposizione incriminante: “Devo per altro rettificare quanto ho precisato nelle precedenti deposizioni circa il giorno della visita di Valerio e della Mambro, infatti quanto ho deposto ho precisato la data del 4 agosto, ma poi riandando ai miei movimenti del mese di agosto e parlandone in famiglia, mi sono dovuto ricredere, non sono cioè affatto sicuro che la visita abbia avuto luogo il 4 agosto e spiego: il giorno 31 luglio ’80, ho chiuso il negozio e ho raggiunto la mia famiglia, cioè la moglie, i bambini, mia suocera Zucchelli Argene e Torchia Luciana, entrambe anche attualmente con noi conviventi, a Cura di Vetralla in provincia di Viterbo”. Anche la ritrattazione però, come anticipato, viene presto ritrattata da Sparti che l’attribuirà addirittura alle “pressioni” (sic!) ricevute dai familiari i quali lo avrebbero invitato a non collaborare con la Giustizia per timore di reazioni da parte dei “neri”. La prova delle pressioni ricevuta sarebbe contenuta, curiosamente, in un’istanza rivolta da Sparti al Giudice Tutelare, per esprimere le proprie doglianze in ordine al fatto che, per effetto della separazione coniugale, non gli fosse più consentito di incontrare suo figlio. Tale istanza risale al gennaio del 1986. Sparti viene arrestato nel dicembre 1986, mentre è in procinto di effettuare l’ennesimo colpo con il suo complice De Vecchi. Insieme agli arnesi del mestiere, nell’albergo di Fidenza in cui i due vengono arrestati, la polizia trova proprio una copia dell’istanza al giudice tutelare che, implicitamente, consente di spiegare le ragioni della precedente ritrattazione. E dunque, Sparti parte da Roma alla volta di Fidenza per realizzare l’ennesimo colpo, portandosi dietro tutto l’essenziale: gli strumenti da scasso e l’istanza al giudice tutelare sottoscritta circa 12 mesi prima. Istanza che consente, guarda caso, di fornire una giustificazione della precedente ritrattazione. Si tratta di un fatto anomalo ed assolutamente sospetto che imporrebbe, di certo, seri ed ulteriori interrogativi circa il ruolo effettivamente assunto da Sparti in questa vicenda. Ed invece, nonostante tali evidenze, il comportamento processuale assunto dallo Sparti viene giudicato dai colpevolisti assolutamente coerente e lineare. La singolare vicenda di Massimo Sparti, testimone chiave del processo per la Strage di Bologna, presenta un ulteriore aspetto, incredibilmente taciuto all’opinione pubblica, che è doveroso definire inquietante. L’11 aprile 1981, due giorni dopo il suo arresto, Sparti rilascia la prima deposizione incriminante. Qualche mese dopo, il 3 marzo 1982, viene dimesso dal carcere di Pisa perché gli è stato diagnosticato un tumore al pancreas, tale da motivare un’aspettativa di vita di pochi mesi. In realtà, nel gennaio del 1982, Sparti è già stato visitato dal dottor Ceraudo, direttore sanitario del carcere di Pisa, il quale però, all’esito dell’esame endoscopico, esclude la presenza di segnali tumorali, accertando al contrario la necessità di un mero intervento alle emorroidi, comunque sconsigliabile per le condizioni generali di salute del paziente definite non ottimali. Due settimane dopo l’effettuazione della diagnosi - a sorpresa - il dottor Ceraudo viene allontanato dall’incarico di direttore sanitario e sostituito dal dottor Biagini. Quest’ultimo, poco dopo l’insediamento, informa il suo predecessore che all’esito di una tac eseguita dal professor Michelassi - solo poche ore dopo l’esito negativo dell’esame endoscopico - è stato riscontrato in Sparti un tumore pancreatico. Il dottor Ceraudo rimane sconcertato dalla notizia perché, come noto, l’esame tac risulta essere assai meno completo ed approfondito di quello endoscopico. E’ credibile il fatto che un tumore venga ignorato in un esame endoscopico e, simultaneamente, individuato attraverso una tac? Inoltre, nella cartella clinica archiviata dal dottor Biagini, si parla stranamente di un carcinoma gastrico e non pancreatico: due forme di tumore ben differenti tra loro e dunque non suscettibili di una così marchiana confusione. Soprattutto ad opera di un medico. Il direttore del Carcere di Pisa, Forte, scrive una lettera al Ministro di Grazia e Giustizia per esprimere le sue doglianze nei confronti del dottor Ceraudo, definito un incompetente per non aver saputo individuare il tumore di Sparti. Il 6 marzo del 1982, dunque, Sparti viene ricoverato d’urgenza all’ospedale San Camillo di Roma. Dopo quasi un mese di ricovero, Sparti subisce un’operazione, di natura solamente esplorativa e dunque non chirurgica, in cui si accerta che, in realtà, l’uomo non è affetto da alcun tumore. Sparti, così, è libero e sano. Nel 1995, il giornalista della RAI Ennio Remondino, notoriamente schierato a sinistra, provò a rintracciare la cartella clinica di Sparti nell’archivio del San Camillo, per tentare di far luce sulla vicenda. Scoprì, in tal modo, che un incendio divampato qualche tempo prima, stranamente, aveva bruciato parte dell’archivio dell’ospedale: proprio la cartella clinica di Sparti era andata in fumo. Per oltre venti anni, il testimone chiave del processo per la Strage di Bologna circolerà vivo e vegeto, dedicandosi con una certa costanza alle sue attività delinquenziali. Un’indagine penale accerterà definitivamente l’inesistenza del tumore di Sparti. Si parlerà tuttavia, in modo stupefacente, non di perizia falsificata ma di semplice diagnosi errata. Tuttavia la dinamica stessa della vicenda, siccome dinnanzi descritta – ad esempio l’assai minore efficacia esplorativa della tac rispetto all’esame endoscopico – presenta tante e tali anomalie da far comprendere che, con ogni probabilità, vi fu una dolosa falsificazione della perizia. Ed infatti, la possibilità che si tratti di un errore commesso in buona fede sono le stesse che potrebbero esservi nel caso in cui esperto avvocato cassazionista scambiasse un atto di appello con un ricorso per decreto ingiuntivo. Inoltre, le indagini che hanno attestato l’inesistenza del tumore di Sparti, incredibilmente, hanno fatto salva la buona fede di Sparti. E ciò perché si è arrivati a sostenere che se Sparti fosse stato a conoscenza del suo effettivo stato di salute, non avrebbe mai accettato di subire un’operazione esplorativa. Si tratta di una motivazione inconsistente, smentita dall’evidenza stessa dei fatti. Sparti, come noto, era un delinquente gravitante nell’orbita della cosiddetta Banda della Magliana, il sodalizio criminale che operava a Roma a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, giovandosi di relazioni assai strette con poteri occulti e settori “deviati” delle istituzioni. Non a caso, tale organizzazione ha rivestito un ruolo fondamentale in molti tra i depistaggi più importanti della storia italiana, alcuni dei quali relativi proprio alle indagini sulla Strage di Bologna. Ebbene, era prassi consolidata degli esponenti di tale banda detenuti quella di ottenere in modo fraudolento la scarcerazione, attraverso false perizie mediche relative proprio a tumori in realtà inesistenti. Lo stratagemma dei falsi tumori, dunque, è stata una preoccupante “costante” nelle vicende carcerarie delle persone vicine alla Banda della Magliana. Ad esempio, uno degli esponenti più noti del predetto sodalizio, Maurizio Abbatino, ha confessato ai magistrati di aver ottenuto la scarcerazione grazie ad una falsa diagnosi medica che gli attribuiva, appunto, un cancro in stato ormai avanzato. E’ fatto certo che Abbatino, per rendere l’inganno più credibile, si sottopose non ad un intervento meramente esplorativo - come quello di Sparti - ma, addirittura, ad una vera e propria operazione chirurgica in occasione della quale gli venne anche asportato un linfonodo! Le conclusioni, dunque, sono obbligate. La diagnosi medica di Sparti, con ogni probabilità, venne falsificata per consentire al detenuto l’illegittima scarcerazione. Al pari di tutti gli altri detenuti gravitanti nell’orbita della Banda della Magliana, Sparti era molto probabilmente consapevole della grave frode ordita in suo favore. Una frode che chiamava in causa complicità di livello elevato. I colpevolisti, tuttavia, preferiscono non parlare mai della sconcertante e vergognosa vicenda medica di Sparti. Ciò costituisce un fatto di eccezionale gravità. I colpevolisti si ostinano a non confrontarsi in qualche modo con tale vicenda, limitandosi a ribadire che il testimone Massimo Sparti è da ritenersi massimamente attendibile. Sparti, si ricorda ancora, è il testimone chiave di tutto il processo per la Strage di Bologna: le sue dichiarazioni costituiscono la base che dovrebbe sorreggere un impianto accusatorio manifestamente fragile. Senza le dichiarazioni di Sparti, non vi sarebbe potuta essere nessuna sentenza di condanna. La sua deposizione incriminante è stata ritenuta definitivamente attendibile e, dunque, nel Giudizio pendente in cassazione nei confronti di Ciavardini, non può essere più oggetto di alcuna censura. Tuttavia, l’incredibile vicenda dinnanzi descritta obbliga ogni cittadino, a prescindere dalle proprie opinioni politiche, ad effettuare riflessioni di estrema gravità. Le stesse che, probabilmente, stanno tormentando il lettore che è rimasto attento sino a questo momento. La vergogna non è soggetta a preclusioni processuali.
IL DEPISTAGGIO DEL SISMI CONTRO LA DESTRA
Il 13 gennaio 1981 viene posto in essere il tentativo di depistaggio più grave di tutti quelli orditi, nel corso degli anni, per impedire che si accertasse la Verità sulla Strage di Bologna. I colpevolisti lo ritengono un elemento sintomatico, di massima rilevanza, dell’esistenza di un’azione sinergica, concertata tra P2, servizi segreti “deviati” ed estrema destra, finalizzata allo stragismo. E’ il piatto forte delle ricostruzioni storiche effettuate dai colpevolisti. Tale fatto, dunque, dovrebbe costituire la dimostrazione che la presunta destra stragista - rappresentata in particolare dai 3 imputati nel processo per l’attentato di Bologna - avrebbe goduto di protezioni, di massimo livello, sia in ambito massonico che di intelligence. Occorrono ora alcune necessarie premesse. I depistaggi orditi per indirizzare le indagini sulla Strage di Bologna sono molteplici e di sconcertante gravità. Il comune denominatore di questi depistaggi è rappresentato dalla collocazione ideologica delle vittime. Si è trattato tratta sempre e soltanto di capri espiatori scelti accuratamente negli ambienti della destra radicale italiana; gli stessi di cui facevano parte – non a caso – Fioravanti, Mambro e Ciavardini. La base dei depistaggi, dunque, hanno sempre riguardato neofascisti italiani, collegati puntualmente – dagli autori delle false notizie - ad ambienti eversivi stranieri. Tali fantasiosi legami internazionali, come ovvio, servivano a rendere i depistaggi assai più complessi da verificare e, dunque, maggiormente nocivi per lo svolgimento di indagini proficue. Deve far riflettere, da subito, il dato obiettivo che le vittime dei depistaggi e le persone condannate per la Strage di Bologna appartengano allo stesso identico ambiente politico. Tale fatto, tuttavia, viene trascurato dai colpevolisti che, per tentare di quadrare il proprio cerchio, preferiscono parlare di generiche e fuorvianti “piste internazionali”. Ciò posto, si rende ora necessario studiare attentamente la dinamica del più grave atto di depistaggio delle indagini sulla Strage di Bologna. Il 13 gennaio 1981, sul treno Taranto-Milano, in sosta proprio alla Stazione di Bologna, viene trovata dalle forze dell’ordine una valigia contenente rispettivamente: un fucile automatico da caccia, un mitra Mab con 2 caricatori, 8 lattine contenenti sostanze esplosive, copie di quotidiani francesi e tedeschi, 2 biglietti aerei dell’Alitalia intestati ai sig.ri Martini Dimitris e Raphael Legrand. L’esplosivo viene immediatamente associato, dai servizi segreti “deviati”, a quello che è stato impiegato dai carnefici nella Strage di Bologna. Secondo le informative del Sismi, i responsabili della “operazione terrore dei treni” sarebbero noti esponenti dell’estrema destra italiani, collegati a loro volta con ambienti eversivi francesi e tedeschi. Il direttore del Sismi, il Generale Santovito, invia una nota alla Procura della Repubblica bolognese che cura l’inchiesta sulla Strage di Bologna con cui si individua, esplicitamente, l’estremista di destra Giorgio Vale come l’acquirente dei biglietti aerei trovati nella valigia. Vale, in particolare, rappresenterebbe un elemento fondamentale dell’operazione, risultando il punto di contatto tra l’area eversiva italiana e i terroristi stranieri. Ora facciamo attenzione. Giorgio Vale è un ex militante del movimento denominato Terza Posizione, amico molto stretto di Ciavardini. Vale, insieme allo stesso Ciavardini, da tempo ha abbandonato TP per unirsi al gruppo armato dei NAR di Fioravanti e Mambro, con i quali ha già condotto – particolare fondamentale - numerose azioni armate. Vale è un uomo, dunque, al momento del fatto vicinissimo a Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Vale è un membro di spicco dei NAR. Fioravanti e Mambro, altro particolare di notevole importanza, al momento del depistaggio in oggetto non sono stati ancora incriminati per la Strage di Bologna: la valigia pre-confezionata viene ritrovata circa tre mesi prima le deposizioni rilasciate da Sparti. L’episodio del Taranto-Milano, ovviamente, produce un’eco mediatica di eccezionale portata, facendo apparire fondata la tesi di quanti si dichiarano convinti delle responsabilità dell’estrema destra nella Strage. Tempo più avanti viene accertato che, in realtà, la valigia trovata sul treno Taranto-Milano è stata collocata da membri del Sismi “deviato”. Giorgio Vale - riconosciuto poi del tutto estraneo alla Strage di Bologna - è stato in realtà la vittima più evidente del più grave atto di depistaggio, al pari di altri militanti della destra radicale. Tale depistaggio ha portato alla condanna, ormai irrevocabile, del Generale Musumeci e del Colonnello Belmonte (due massimi dirigenti del Sismi), del “faccendiere” Pazienza e di Licio Gelli, Venerabile della Loggia P2. Il processo ha accertato, altresì, che a fornire il placet all’operazione di depistaggio contro i militanti di destra è stato proprio il Generale Santovito, ossia lo stesso direttore del Sismi, deceduto prima della definizione del Giudizio. I colpevolisti attribuiscono la massima rilevanza a questo depistaggio, considerandolo un fatto altamente sintomatico del rapporto collusivo esistente tra i servizi segreti “deviati” e la destra. Il Sismi “deviato” - che, come visto, si sarebbe attivato su impulso di Gelli - secondo i colpevolisti avrebbe messo in atto il depistaggio in questione per sviare le attenzioni dai presunti autori della Strage di Bologna: la destra, ovvero Fioravanti , Mambro e Ciavardini. Ora liberiamoci delle opinioni politiche di ciascuno ed iniziamo a ragionare in modo logico. Si può davvero sostenere che se la P2 e il Sismi si fossero effettivamente posti, attraverso il predetto depistaggio, l’obiettivo di fornire una “copertura” in favore della destra - dovuta all’asserito rapporto collusivo – tra tutte le ipotizzabili “vittime” del gravissimo atto di sviamento, avrebbero scelto proprio alcuni noti militanti di destra? L’elementare buon senso, al contrario, induce a ritenere che un ipotetico depistaggio dell’inchiesta sulla Strage di Bologna, realizzato in favore di esponenti della destra, si sarebbe dovuto sviluppare in direzioni diametralmente opposte ad essa. Il contesto storico, come noto, offriva allora molteplici e significative possibilità di sviamento: si pensi all’estrema sinistra ma soprattutto al terrorismo internazionale, di marca araba e non solo. Si può verosimilmente ritenere, dunque, che i servizi segreti e i massoni deviati, collusi dell’estrema destra, avrebbero fornito una “copertura” a quest’ultima scegliendo le “cavie” dell’operazione di depistaggio, tra tutti gli ambienti in astratto opzionabili, proprio nello stesso identico mondo della destra? Possibile che l’ambiente politico degli imputati coincida perfettamente con quello dei reali responsabili della Strage? E’ una contraddizione così palese da non meritare ulteriori osservazioni. Eppure, i colpevolisti sostengono che il predetto depistaggio operato dal Sismi “deviato” su impulso di Gelli, nonostante la dinamica dinnanzi descritta, sia stato proprio un atto di “copertura” in favore della destra. Il nostro senso logico, al contrario, ci porta all’inevitabile conclusione di ritenere tale depistaggio come un artificioso tentativo - il più evidente possibile - ordito per rafforzare le attenzioni degli organi che investigavano sulla Strage di Bologna su un falso obiettivo: la destra appunto. La destra, in altre parole, non venne affatto “coperta” attraverso il predetto depistaggio ma al contrario, fu ingiustamente e manifestamente calunniata. La calunnia ai danni dei militanti di destra, del resto, è stata accertata in Giudizio ed ha comportato la condanna dei vertici stessi del Sismi “deviato”. Possibile che si continui ad ignorare un dato obiettivo di siffatta rilevanza? E non basta. Ragioniamo per assurdo, aderendo alla tesi asserita dai colpevolisti per cui P2 e Sismi “deviato” avrebbero fornito “copertura” alla destra, depistando l’inchiesta sulla Strage di Bologna proprio in danno della medesima. In tale curiosa prospettiva, la “copertura” ipotizzata avrebbe dovuto prefiggersi l’obiettivo di fornire un aiuto non all’intera galassia politica della destra ma, piuttosto, ai soli presunti esecutori della Strage di Bologna: Fioravanti, Mambro e Ciavardini. E dunque, proviamo ad ammettere per ipotesi che P2 e Sismi avrebbero tentato di fornire protezione ai 3 presunti esecutori della Strage di Bologna, andando ad individuare le “vittime” del depistaggio - paradossalmente - nello loro stesso ambiente di appartenenza. La scelta delle “cavie” necessarie per ordire lo sviamento in questione sarebbe dovuta ricadere, a rigor di logica, perlomeno il più lontano possibile da Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Come noto, in quei tempi la destra, anche nelle sue appendici estremistiche, offriva in ambito nazionale, attraverso un fitto numero di gruppi e sigle, un campionario di potenziali “vittime” da depistaggio abbastanza vasto. Nel 1980, a destra c’era quasi l’imbarazzo della scelta. Perché, dunque, la P2 e il Sismi “deviato” avrebbero dovuto individuare la “cavia” del depistaggio, tra i tanti possibili, proprio in Giorgio Vale? Si può davvero sostenere che la P2 e il Sismi “deviato” avrebbero fornito la copertura ai NAR depistando le indagini verso i NAR medesimi? Vale, come detto, sin dal 1980 è un uomo di spicco della banda di Fioravanti. Tutti, inoltre, conoscono Vale come un grande amico di Ciavardini. Vale è un membro dei NAR. Al momento del depistaggio, ha già partecipato ad alcune azioni armate insieme ai 3 futuri imputati per la Strage di Bologna. I giornali parlano dei rapporti con i 3 imputati sin dall’ottobre del 1980. La magistratura, al momento del depistaggio, sta già indagando su Vale, Fioravanti, Mambro e Ciavardini quali esecutori dell’omicidio di un agente di polizia, avvenuto nel maggio 1980 nelle vicinanze del Liceo Giulio Cesare di Roma. Ma non basta. Nelle stesse ore in cui il Sismi trasmette ai magistrati che indagano sulla Strage di Bologna la nota con cui si indica Vale quale uomo-chiave della vicenda del Taranto-Milano, Fioravanti è stato appena arrestato nei pressi di Padova. Facciamo attenzione. Le agenzie di stampa e i maggiori quotidiani italiani, proprio in quelle ore, segnalano Vale come uno dei complici di Fioravanti. E dunque, nel breve arco di poche ore i magistrati di Bologna ricevono a vari livelli queste informazioni: a) il ritrovamento della valigia con l’esplosivo sul Taranto-Milano sarebbe da porre in stretta relazione con la Strage di Bologna; b) Giorgio Vale sarebbe la pedina fondamentale dell’operazione stragista che vede protagonista l’estrema destra italiana che si avvale all’occorrenza di legami con aree eversive straniere; c) Giorgio Vale è un complice di Fioravanti e appartiene alla sua stessa banda terroristica, al pari di Mambro e di Ciavardini il quale al momento del depistaggio già detenuto in carcere da mesi. Le conseguenza logiche di questa sequenza di notizie sono obbligate. Costringere gli inquirenti della Strage di Bologna, attraverso il depistaggio in questione, ad “accendere i riflettori” proprio su Vale, ha significato, quale fatto inevitabile, indirizzare l’attenzione della magistratura proprio sul gruppo armato nel quale il ragazzo faceva parte sia prima, sia dopo il 2 agosto 1980. Ossia i NAR, la banda di Fioravanti, di Mambro e, fino a poco tempo prima, di Ciavardini. E’ possibile, dunque, arrivare a credere che questo depistaggio sia stato ordito per sviare l’attenzione dei magistrati da Fioravanti e complici? Se davvero P2 e Sismi “deviato”, con il depistaggio, si fossero preposti l’obiettivo di fornire una “copertura” a Fioravanti, Mambro e Ciavardini, l’ultima cosa in assoluto che avrebbero dovuto fare sarebbe stata – senza alcun dubbio – quella di “dirottare” l’attenzione dei magistrati su Giorgio Vale. Ciò è semplicemente impensabile. I riflettori puntati su Vale, inevitabilmente, avrebbero ed hanno in effetti illuminato - a fondo - anche i volti dei 3 futuri imputati per la Strage di Bologna. Le tesi dei colpevolisti appaiono in questo caso molto più che inverosimili. Eppure, costoro ritengono che tale depistaggio fu ordito contro Vale, proprio per fornire la “copertura” ai 3 presunti esecutori della strage di Bologna. La logica più elementare ci obbliga a ritenere l’esatto contrario. E’ proprio la fisiologia di tale depistaggio, la collocazione ideologica delle “vittime” prescelte, la scelta specifica del gruppo da incriminare, i prevedibili effetti che si sarebbero andati a ripercuotere in modo diretto ed esplicito sulla banda armata cui Vale apparteneva, i NAR, a costituire un fortissimo elemento in favore dell’innocenza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini.
*** L’episodio del depistaggio, ordito da P2 e Sismi contro i militanti di destra sul treno Taranto-Milano, costituisce a nostro avviso, un fatto di eccezionale ed oggettiva gravità. Il comitato ritiene che tale crimine avrebbe dovuto costituire l’oggetto di inchieste assai più approfondite perché è lecito considerarlo uno dei punti cruciali, forse il più significativo, di tutta la vicenda giudiziaria della Strage di Bologna. Ciò non è avvenuto. Giusta la motivazione contenuta nella sentenza di condanna di Musumeci, Belmonte e Pazienza, gli imputati avrebbero ordito il depistaggio al mero fine di lucro. Del resto, non v’è mai stato, sino ad ora, uno specifico accertamento giudiziario dell’eventuale finalità terroristica del depistaggio in questione. Tale accertamento, al contrario, si sarebbe reso necessario per chiarire alcuni degli aspetti che, ad oggi, rimangono ancora oscuri nella vicenda giudiziaria della Strage di Bologna. Ad esempio, non sì è mai fatta luce su una questione che a giudizio del comitato riveste la massima importanza. Il 13 gennaio 1981, data in cui è stato eseguito il depistaggio sul treno Taranto-Milano, non erano state ancora depositate le perizie finali sull’esplosivo utilizzato nella Strage di Bologna. Com’è possibile, dunque, che le sostanze esplosive rinvenute nella valigia depistante fossero state subito individuate come del tutto simili a quelle dell’esplosione del 2 agosto 1980? La risposta a questa domanda, probabilmente, aiuterebbe a sciogliere molte ombre che avvolgono, ancora oggi, la vicenda giudiziaria della Strage di Bologna. Eppure questa pista, lunga come un’autostrada, non è stata percorsa da nessuno. Il comitato ritiene questo fatto inspiegabile e vergognoso. Alcuni tra i colpevolisti, al contrario, si sono limitati a leggere la vicenda in base alle mere convenienze di partito, al fine di presentarla all’opinione pubblica come una prova definitiva del filo sottile che avrebbe unito i servizi segreti “deviati” a Fioravanti e agli altri. Filo utile per la storiografia faziosa ma che, alla resa dei conti, risulta semplicemente inesistente. Purtroppo, la volontà di taluni di imporre agli avversari politici la propria ricostruzione storica degli anni di piombo ha prevalso sull’esigenza, assai più nobile, di ricercare seriamente la Verità, senza tesi precostituite od interpretazioni di comodo. La Verità non appartiene a nessuno. E’ di tutti. Un ultimo particolare di questo depistaggio avrebbe meritato un adeguato approfondimento. Come si è avuto modo di spiegare, Sparti ha raccontato con insistenza la storia quanto meno improbabile di Fioravanti travestito da turista tirolese, alla stazione di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980. Il fatto, per ovvie ragioni, è stato ritenuto da molti come inverosimile, grottesco e fortemente indicativo dell’inattendibilità del testimone affetto come visto da “malattia immaginaria”. Gli osservatori più attenti, tuttavia, si sono chiesti se la “curiosa” circostanza narrata con insistenza da Sparti potesse trovare, invece, qualche spiegazione razionale, ovvero se l’ostinazione del “malato immaginario” nel riferire la storia del turista tirolese obbedisse - almeno inizialmente - ad indicazioni ricevute da terzi rimasti sconosciuti. Ebbene, un particolare della vergognosa vicenda del Taranto-Milano viene spesso dimenticato. Il Sismi “deviato”, come riferito, aveva indicato Vale come l’elemento di contatto tra l’estrema destra italiana e gli ambienti eversivi francesi e tedeschi. Ai magistrati di Bologna - prestiamo attenzione - i depistatori avevano comunicato l’esistenza di legami particolarmente stretti tra Vale e alcuni pericolosi estremisti tirolesi. L’informativa in questione risale al febbraio 1981: solo due mesi dopo Sparti racconterà ai magistrati la storia di Fioravanti travestito - curiosamente - proprio da turista tirolese. E’ lecito chiedersi, dunque, se possa trattarsi solo della solita, strana coincidenza di quest’incredibile vicenda giudiziaria?
*** Tale documento impone, necessariamente, un’estrema sinteticità. E dunque, non è possibile in questa sede sottoporre all’attenzione del lettore tutti i molteplici aspetti, pur di indubbia importanza, afferenti la complessa vicenda giudiziaria della Strage di Bologna. Affermata e motivata la sua profonda convinzione in ordine all’assoluta innocenza di Mambro e Fioravanti, il comitato intende ora soffermarsi su alcuni fatti, di estrema rilevanza probatoria, che riguardano segnatamente la posizione di Ciavardini, l’imputato ancora in attesa di una sentenza definitiva.
LA TELEFONATA FANTASMA
I colpevolisti attribuiscono un’elevata valenza indiziaria ad una telefonata che Ciavardini si sarebbe curato di effettuare, l’1 agosto 1980, per informare la sua fidanzata ed alcuni amici, in vacanza nella cittadina laziale di Ladispoli, della necessità di posticipare il viaggio che avrebbe dovuto condurre questi ultimi a Venezia, proprio il 2 agosto 1980. Come visto, Sparti nelle sue deposizioni non hai mai fatto riferimento alcuno a Ciavardini. Non esiste un solo testimone, vero o falso, che asserisca la presenza di Ciavardini alla Stazione di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980. Tale dato obiettivo risulta - già di per sé - estremamente indicativo dell’innocenza di Ciavardini. E dunque, a parte la comunanza dell’alibi con Mambro e Fioravanti - ritenuto falso in tutti e 3 i casi - i colpevolisti affermano che sussistono alcuni fatti, riguardanti personalmente Ciavardini, idonei a comprovare un ruolo dello stesso nella Strage di Bologna. Uno di questi fatti sarebbe costituito dalla presunta telefonata dell’1 agosto 1980, dinnanzi riferita. Nello specifico, i colpevolisti ritengono che tale circostanza, pur non costituendo prova effettiva della partecipazione di Ciavardini alla Strage, dimostrerebbe perlomeno che il minore fosse già a conoscenza di quanto sarebbe accaduto il giorno dopo a Bologna. Tale telefonata, dunque, rappresenterebbe un elemento non sufficiente ma pur sempre altamente sintomatico di una ruolo svolto da Ciavardini nella vicenda in questione. Verifichiamo, quindi, l’esistenza della telefonata che contribuirebbe all’incriminazione di Ciavardini. Nell’agosto del 1980, Ciavardini è fidanzato con Elena Venditti, una militante di destra conosciuta durante la precedente militanza nel movimento di Terza Posizione. L’1 agosto 1980, la Venditti si trova a Ladispoli, a casa di Cecilia Loreti, fidanzata a sua volta di Marco Pizzari, amico di Ciavardini. I 3 ragazzi sono in procinto di partire per Venezia, dove si dovrebbero incontrare con Ciavardini il quale, divenuto da tempo latitante, ha trovato rifugio proprio in Veneto. Secondo i colpevolisti, l’1 agosto Ciavardini avrebbe telefonato a Roma, a casa della famiglia Pizzari, pregando il padre del suo amico di avvertire i ragazzi in vacanza a Ladispoli di rinviare la partenza perché il giorno seguente vi sarebbero stati dei problemi. Il padre di Pizzari, a sua volta, avrebbe chiamato per le vie brevi lo zio della Loreti, presso la sua abitazione personale di